«Un cittadino temporaneo: ecco cos'è chi verrà da noi»

«Un cittadino temporaneo: ecco cos'è chi verrà da noi»
di Alessandra LUPO
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Domenica 13 Gennaio 2019, 12:31 - Ultimo aggiornamento: 12:34
Paolo Verri, direttore generale della Fondazione Matera - Basilicata 2019, un percorso che lei ha seguito dall'embrione e che finalmente vede i suoi frutti. Vi sentite pronti per l'evento del 19 e per tutto quello che accadrà dopo?
«Prontissimi, ci lavoriamo da tre mesi e anche i cittadini non vedono l'ora di scendere in piazza e vivere da protagonisti tutto quello a cui hanno partecipato, di incontrare i tanti ospiti che renderanno questo momento indimenticabile».
Lei ha portato qui la sua formazione da manager culturale costruita in una grande città come Torino. Com'è stato l'incontro con il ritmo meridiano della provincia meridionale?
«Ho scoperto di essere terrone nell'anima ma a parte gli scherzi resto convinto che la centralità geografica al giorno d'oggi non sia necessaria ad avere un'intelligenza smagliante. Ho un network di persone capaci. Ma ho trovato persone altrettanto preparate a tutte le latitudini e qui a Matera il gruppo si è coagulato attorno a un progetto del tutto nuovo, costruito da zero».
Di fatto lei arriva da esperienze di primo piano, dal Salone del Libro in poi, un bagaglio non da poco. Le è servito?
«Io arrivo da un'esperienza di grandi cambiamenti collettivi e questo è certamente un ottimo bagaglio. Ma anche Torino ha imparato da altre città, come Barcellona, Pittsburgh. Quello che ho portato con me è piuttosto la convinzione, comune nella generazione piemontese cui appartengo (Baricco, Littizzetto, ecc), che con la cultura si possa cambiare il modo di vivere. Proprio ieri Baricco in un'intervista parlava dell'importanza della centralità della responsabilità civile. Ecco questi sono valori che in qualche modo hanno guidato anche il nostro lavoro a Matera».
Alla base del suo lavoro c'è un apparato teorico molto forte, centrato sulle grandi domande dell'umanità, trasformate in altrettante tematiche del percorso culturale. Una visione ambiziosa e complessa.
«Matera è una piccola città del Sud che come tante altre si chiede cosa farà da grande, soprattutto in questa fase storica di impoverimento progressivo dei piccoli centri. La risposta che abbiamo voluto dare è in aperto contrasto con la politica di chiusura che in questo momento pervade l'Europa: Matera e la Basilicata tutta hanno puntato sull'apertura, sulla condivisione, sull'accoglienza. In risposta anche alle esperienze drammatiche che la Storia ha riservato a questa terra, impoverendola ed evacuandola, noi abbiamo voluto puntare sui neuroni invece che sui mattoni».
A un certo punto la fragilità di Matera vi ha posti di fronte a delle domande sul modello di sviluppo da adottare, che risposte avete trovato?
«Abbiamo puntato su uno sviluppo partecipato ma anche equilibrato: ora tutti vogliono venire a Matera ma occorre capire in che modo farla visitare. Come non sentirsi invasi».
Per questo avete sostituito il concetto di cittadino temporaneo a quello di turista?
«Si, nonostante la sua origine nobile, risalente a Keats, il termine turista oggi è quasi screditante. Noi vogliamo che i visitatori siamo accolti in un'ottica di scambio reciproco di conoscenze. Che viaggino nello spazio e nel tempo».
Chi è il temponauta, che accoglierete a Matera?
«Un viaggiatore cui chiederemo di usare altri occhi: al suo arrivo riceverà un passaporto e degli occhiali nuovi con cui guardare la realtà. Vogliamo che chi arriva adotti uno sguardo di lunga durata, in grado di superare la contingenza, anche a livello storico e architettonico, superando la mera visione terrena del qui e ora».
Matera sarà un laboratorio permanente di visioni dunque?
«Assolutamente sì, di convivenza, di riflessione ma anche in qualche modo di autoanalisi: è da qui che emergono le questioni legate ai valori universali. Ma il tutto succederà in una festa attraverso attività ludiche, spettacoli, una sollecitazione vivace».
In questo percorso avete molti partner e anche la Puglia ha in qualche modo affiancato il vostro percorso, quali sono i rapporti di collaborazione con la regione e con le città pugliesi, non ultima la vecchia rivale Lecce?
«La Regione ha fatto due bandi molto interessanti di cui abbiamo tenuto conto e lavoriamo molto bene con città come Bari, Laterza, Altamura. Tuttavia credo che per strutturare un programma condiviso andasse costituito un organismo stabile. Stesso discorso per Lecce: siamo riusciti a portare avanti un percorso con Ravenna e altre città candidate ma nonostante la collaborazione con alcune realtà salentine come Ama, di Franco Ungaro, non si è strutturato un percorso comune con Lecce 2019. Sono molto dispiaciuto che nella Fondazione (per la quale noi per primi abbiamo rischiato di mettere in pericolo il lavoro fatto) non ci siano state le città che con noi avevano condiviso la fase della candidatura. Quando partono i referenti accade purtroppo che non si riesca a dare continuità a un progetto integrato».

 
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