Addio ad Alessandro Leogrande, stroncato da un infarto a soli 40 anni

Addio ad Alessandro Leogrande, stroncato da un infarto a soli 40 anni
di Rossano ASTREMO
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Martedì 28 Novembre 2017, 20:37 - Ultimo aggiornamento: 20:40
Nel Salento, il “suo” Salento, era tornato appena qualche giorno fa, anche per partecipare alla Città del Libro di Campi Salentina. E sabato, proprio dopo l’ultimo incontro tenuto a Campi, aveva fatto ritorno a Roma. Nulla faceva presagire che solo qualche ora più tardi, nella notte tra domenica e ieri, un infarto improvviso non gli avrebbe lasciato scampo. Alessandro Leogrande aveva 40 anni, era nato a Taranto ed era una delle migliori menti della nostra generazione. Giornalista e scrittore acuto, appassionato e generoso. «Uomo di grande fede nel Cristo e nell’uomo», scrive il padre Stefano nella commovente lettera con cui ieri ha confermato sul web la notizia della tragedia. E aggiunge: «Questo l’ha portato, già da giovanissimo, nello scoutismo e successivamente nei campi di volontariato della Caritas Diocesana di Taranto in Albania e, come giornalista e scrittore, si è impegnato in difesa degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi contesti».
Grande l’emozione, lo sgomento provocato dalla notizia. Tantissimi i messaggi di cordoglio da ogni ambito sociale. Nelle prossime ore gli esami necroscopici cercheranno di appurare l’esatta causa del decesso, poi i familiari stabiliranno data e modalità dei funerali.
Alessandro aveva iniziato a scrivere negli anni del liceo, nella sua Taranto, quando pensava ai compiti in classe di italiano più come ad articoli o a minisaggi con cui confrontarsi, che non come a prove scolastiche. Poi il passaggio naturale ai giornalini studenteschi. «Il piacere di scrivere su questi giornalini, di imbastire polemiche, era pari a quello per l’odore della carta e dell’inchiostro che impregnava le narici quando andavamo a ritirare le prime copie in piccole tipografie», raccontava. In seguito, dopo la laurea in Filosofia, la sua bravura e dedizione lo hanno portato a firmare articoli per le più prestigiose pagine del “Corriere del Mezzogiorno”, di “Internazionale”, di “Lo Straniero”, cooptato, una volta giunto a Roma, da Goffredo Fofi, una delle figure più importanti nella vita professionale di Leogrande, il quale gli affidò la vice-direzione del mensile. E poi collaborazioni con “Il Riformista”, “Pagina 99” e “Rai Radio 3”.
La costante tematica della scrittura di Leogrande è rappresentata dalla sua mirata, analitica e lucida attenzione rivolta alla difesa degli ultimi e degli sfruttati. La Puglia è sempre stata il contesto privilegiato dei suoi reportage narrativi, diventati punto di riferimento per molti giovani scrittori. E dei suoi libri, da “Un mare nascosto” a “Le male vite: storie di contrabbando e di multinazionali”, da “Nel paese dei viceré: l’Italia tra pace e guerra” a “Uomini e caporali: viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud”, da “Il naufragio: morte nel Mediterraneo” a “Fumo sulla città” e “La frontiera”.
Di grande forza emotiva è il racconto fatto in “Uomini e caporali” delle decine di migliaia di immigrati che ogni anno accorrono per la stagione della raccolta del pomodoro in Capitanata, soffermandosi sulle condizioni di lavoro durissimo ai quali sono sottoposti. La sua opera più matura, “Il naufragio”, è un analitica ricostruzione del naufragio della Kater i Rades, la piccola motovedetta albanese stracarica di immigrati, speronata da una corvetta della Marina militare italiana e colata a picco nel Canale d’Otranto. “Il naufragio” gli valse la vittoria dei prestigiosi premi Volponi e Kapuściński.
Nella sua costante ricognizione delle peripezie di cui sono vittime gli esclusi del nostro tempo, non può non essere citato “Fumo sulla città”, un importante reportage che mostra come Taranto sia stata il laboratorio di alcuni tra i fenomeni più devastanti degli ultimi anni: la politica televisiva, le emergenze rifiuti, la crisi dell’industria.
«Scrivere aiuta a ordinare le idee che hai in testa, il guazzabuglio che hai dentro di te. Non è importante solo tirarlo fuori, l’essenziale è “come” lo tiri fuori. Per affinare quel “come” ci vogliono molti anni e molte pagine. Ci vuole tempo per capire quali sono le parole giuste, quale è il ritmo giusto», disse in un’intervista sulle pagine del Nuovo Quotidiano. Era l’idea di scrittura di Leogrande: raccontare le storture illogiche del nostro tempo con una prosa raffinata e decantata. Un maestro di stile, ma non solo: «Alessandro era la Gioia, che entrando in casa ci coinvolgeva e travolgeva, roboante e trascinante - scrive ancora il papà Stefano - ma era anche il lavoro fatto bene, analitico e profondo; tutto alla ricerca della verità; ed era anche la denuncia, fatta con lo stile dell’annuncio che, nonostante tutto, un mondo migliore è ancora possibile».
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