La pace, la guerra, l'accoglienza: dialogo con Veltroni e monsignor Neri. «Un giardino di parole per recuperare l'umanità»

Un momento dell'incontro con Veltroni e monsignor Neri a Castrignano dei Greci
Un momento dell'incontro con Veltroni e monsignor Neri a Castrignano dei Greci
di Rosario TORNESELLO
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Mercoledì 12 Luglio 2023, 12:34 - Ultimo aggiornamento: 16:05

Temi importanti, ma anche ospiti illustri. Oppure ospiti illustri, ma anche temi importanti. Non è tanto l’ordine a determinare l’evento, quanto l’insieme. Perché molte parole sono dentro a un appuntamento che porta in piazza, nel cuore del Salento, in una calda sera di mezza estate, tante persone per una tappa del Salento Book Festival. Si presenta un libro, ma un libro è sempre un pretesto: è un varco spazio-temporale con affaccio su realtà diverse e complesse, ognuna con significato e attualità evidenti. “Non arrendiamoci”. Nel titolo del lavoro edito da Rizzoli il senso di un ragionamento condensato in un dialogo a due voci, anzi tre, perché nel volume a tessere la trama del confronto tra i due protagonisti, Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, cardinale e presidente della Conferenza episcopale italiana, e Walter Veltroni, ora giornalista, scrittore e regista dopo essere stato vicepremier, sindaco di Roma e segretario Pd, c’è un raffinato autore e conduttore televisivo e radiofonico, Edoardo Camurri. Qui lo schema si ripete in piazza Sant’Antonio, a Castrignano dei Greci. Con qualche variante, di persone e di temi. C’è Veltroni. Al posto di Zuppi, in missione lungo i fronti caldi del pianeta, padre Francesco Neri, consigliere generale dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini prima di essere nominato – pochi giorni fa – arcivescovo di Otranto, alle spalle una laurea in Giurisprudenza e, sorpresa della serata, il concorso vinto in Magistratura, poi accantonato per altra vocazione. La separazione delle carriere tra giustizia umana e giustizia divina.

Non arrendiamoci, dunque. Declinato in sette temi e molti esempi. Non arrendiamoci all’egoismo, alla paura, all’indifferenza, alla tristezza, alla guerra, ai confini, alla morte. E perciò non arrendiamoci al dominio dell’egolatria, alla tirannia dell’io, al tramonto delle utopie, ai timori indotti (del povero, dell’altro, dell’immigrato, del diverso), alla catastrofe ambientale, al consolidamento delle solitudini, alla privatizzazione della speranza che diventa passione triste che genera preoccupazione e paura. Una montagna di negatività in un’epoca cruciale davanti alla quale non soccombere ma reagire. Con coraggio, certo, ma soprattutto con amore, ricorrendo ai principi della natura, e non solo della natura umana, dove pure si afferma il criterio della solidarietà come prevalente nella contrapposizione tra lotta e aiuto reciproco. Vivendo e pensando perciò circolarmente, ad esempio. Considerando identità e apertura come alleate e non come nemiche. E coltivando il giardino dell’esistenza, che vale più della somma di ogni singolo componente, con rimando al “Candide” di Voltaire ricordato nell’introduzione al testo. «L’utopia, quando si realizza, è una profezia che si autoavvera», spiegano i due protagonisti nel libro. Una premessa prima di arrivare all’appuntamento in piazza. Dialogo a tre, incluso chi scrive. Il mondo non è perfetto, si era detto.

Veltroni: «Matteo e io siamo cresciuti insieme. Pur condividendo ideali e valori, abbiamo compiuto scelte diverse. Ma i riferimenti sono rimasti quelli della nostra gioventù: il dialogo e l’ascolto; essere utili agli altri, includendoli e non escludendoli. Ora le persone hanno ridotto il vocabolario a una sequenza di pietre da scagliarsi addosso. Eppure noi siamo il risultato delle parole: quelle dei genitori, degli insegnanti, degli amici, dei libri, dei film, delle canzoni. Ecco l’idea del giardino: la natura ha un’intelligenza che gli uomini stanno perdendo. Con Matteo abbiamo aperto un giardino di parole per non arrenderci».

L’evoluzione è tema spinoso e terreno di scontro. L’idea di un’identità data una volta per tutte crea divisioni e fratture, alimentando inutili tensioni. Si potenziano i confini, si chiudono i porti. È evidente come il problema non possa gravare su un solo Paese. E tuttavia verrebbe da dire: quanta fatica sprecata, quando le emergenze, a partire dallo sconvolgimento climatico e dalla desertificazione demografica, sembrano essere oggettivamente altre.

Veltroni: «Questo è il tempo della semplificazione e della riduzione della complessità. Scendere in piazza e urlare contro l’immigrato attira applausi. Ma l’esito finale è l’inferno: violenza, guerra, sopraffazione. Occorre recuperare l’umanità. Noi siamo stati un popolo e un Paese di migranti. La cultura cattolica e anche quella della migliore tradizione democratica nascono dalla solidarietà. Ma ora si aggiunge anche un principio di realismo, per due fattori concomitanti: primo, da noi l’età media è raddoppiata rispetto a cento anni fa; secondo, abbiamo il più alto numero di anziani e il più basso tasso di natalità. Dove va un Paese che chiude le frontiere?».
Nel volume compare il riferimento alle “xylelle” come elementi devastatori dell’ambiente sociale: la droga, il terrorismo. Qui la xylella, quella vera, ha devastato paesaggio e, con esso, tradizioni e riferimenti culturali. Cosa colpisce di più, arrivando da fuori: l’ambiente rinsecchito, le comunità invecchiate o la fiducia dei giovani emigrata altrove?

Neri: «C’è, ed è evidente, la fuga delle nuove generazioni che, o per studiare o lavorare, devono lasciare il Salento e la Puglia, con un ridotto tasso di ritorno. Vorrei credere nella speranza. Dopo il mio insediamento, mi è stato inviato un articolo sulla capacità delle piante di attivare anticorpi. Come in natura convivono forze negative e positive, con prevalenza di queste ultime, così in ambito sociale spero che il bene possa superare il male. Io sono molto razionale, ma prendo il riferimento alla xylella come elemento di speranza».
Veltroni: «Non c’è nulla di più migrante della natura. È ovvio: arrivano anche i problemi, non solo le opportunità.

Ricordo con piacere una frase del filosofo russo Pëtr Kropotkin sulla dimensione comunitaria della natura: in una foresta l’albero che prende più luce trasferisce attraverso le radici la linfa alle altre piante. Siamo circondati da paure assurde, mentre dovremmo essere spaventati da quello che noi abbiamo fatto alla natura. Per questo siamo chiamati al mutuo sostegno. L’idea di un mondo separato tra pochi che hanno tutto e tanti che hanno poco è insieme tragica e sbagliata».

Sembra mancare una visione di lungo respiro, lo sguardo proiettato oltre le contingenze, le urgenze e anche le convenienze del presente. La politica ha smarrito da tempo questa funzione. Personalità come Aldo Moro ed Enrico Berlinguer trascolorano in un passato sempre più lontano. E nel presente rimangono gli appelli di papa Francesco ad avviare processi, a costruire percorsi. Parole bellissime versus parole scagliate come pietre. Dove si interrompe il conflitto?

Veltroni: «Gli elettori possono dire basta e chiudere con coloro che urlano e seminano odio. È successo tante volte nella storia. Sul futuro sono molto ottimista, non solo perché chi ha un ruolo pubblico non ha diritto di essere pessimista. Non sopporto il qualunquismo di chi dice che tanto non cambia nulla, che è tutto un magna magna. Il mondo è cambiato enormemente, e lo hanno cambiato le persone. Pensi al sapere, all’evoluzione ed estensione dei diritti, all’istruzione. Martin Luther King pronunciò il suo discorso per la libertà e contro le discriminazioni razziali a Washington, “I have a dream”, davanti a 200mila afroamericani, e trasferì con le sue parole l’energia necessaria per avviare il cambiamento. Ecco, sì, è vero: c’è bisogno di recuperare progettualità. Moro, Berlinguer, ma anche Nenni, La Malfa ed altri avevano progetti, con valori e contenuti. Oggi viviamo in un presentismo dominato dal cellulare. Ed è tutto corto, breve, asfittico».

Neri: «Vorrei porre l’accento su alcuni aspetti di straordinaria importanza. Intanto la questione del cambiamento climatico. Il papa lo dice da tempo, soprattutto nell’enciclica “Laudato si’”. Ci sono forze negative nella natura, ma altri problemi derivano dall’uomo. L’ecologia integrale deve prendere piede sempre di più. Bios è più grande di Thanatos, ricordiamocelo. Penso alla ginestra: nel deserto, nasce una pianta meravigliosa. E per quanto riguarda il cambiamento, con Moro voglio ricordare Paolo VI: la più alta forma di carità è la politica, quella buona, praticata da ciascuno per il suo ambito e secondo la propria competenza. Abbiamo parlato di giardino e di bosco; vorrei aggiungere l’oceano ricordato da Madre Teresa di Calcutta: ogni singola goccia d’acqua, per quanto piccola, è indispensabile. Serve una nuova utopia».

Un ragazzo, Damiano, nel libro pone un quesito fondamentale dopo il devastante terremoto ad Haiti nel 2010: se Dio consente questo nel Paese più povero del mondo, non voglio averci nulla a che fare; se non è onnipotente, di un Dio così non me ne faccio nulla. Come si risponde al problema del male?

Neri: «Sono un cercatore di Dio con un unico riferimento come capocordata nella salita: Gesù Cristo. Il problema del male è il fattore più sconcertante nella ricerca di Dio. Ma non voglio fare l’errore dei difensori di Dio del libro di Giobbe, sconfessati proprio da Colui che vogliono proteggere. Se in alcuni casi la sofferenza fa perdere l’interesse verso Dio, in altri casi fa partire la ricerca. San Francesco la comincia dopo la sconfitta contro Perugia. Siddharta avvia il suo percorso spirituale dopo essere fuggito dal palazzo dorato del padre e aver vissuto l’impatto sconvolgente col mistero del male. Davanti alle tragedie scattano le forze migliori dell’umanità. Dove Dio sembra non esserci, lì siamo chiamati noi a renderlo presente».

E fin qui il cercatore di Dio. Ognuno ha un suo cielo stellato e una sua legge morale. Molto più umilmente, ma non meno urgentemente, ora cerchiamo soprattutto la pace per il bene dell’umanità. Su quali percorsi conviene avviarsi? E con quante possibilità concrete di successo?

Veltroni: «Siamo a 500 giorni di guerra in Ucraina. Pace e libertà sono indissolubili. Quando ho sentito dire che gli ucraini dovrebbero arrendersi per ottenere la fine delle ostilità, mi sono chiesto cosa faremmo noi al loro posto. Non riesco a non pensare ai soldati alleati morti nei luoghi dello sbarco in Normandia: erano giovani arrivati in Europa dall’altra parte dell’oceano a morire per noi che, invece, avevamo consegnato in mano a dei pazzi la nostra vita e la nostra libertà. La difesa della libertà è la condizione per la pace. Al di fuori c’è solo violenza».

Neri: «A Roma un monumento come l’Ara Pacis celebra la pace come risultato delle vittorie. Ma è una pace effimera: lo sconfitto prima o poi tornerà e ti batterà. L’esperienza di don Tonino Bello testimonia il legame indissolubile tra pace e solidarietà. Il conflitto nasce dalla paura e dalla non conoscenza dell’altro. E sono i signori della guerra, gli imperatori di oggi, quelli che producono le armi, a voler rompere qualsiasi progetto di convivenza. Guardiamoci allo specchio: siamo tutti uguali, tutti fratelli. Ma possiamo vivere bene solo se ci apriamo all’accoglienza».
 

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