Credit Suisse, il crollo e la bufera sulle Borse: cosa è successo oggi (e perché il "no" degli arabi fa paura)

Credit Suisse, il crollo e la bufera sulle Borse: cosa è successo oggi (e perché il "no" degli arabi fa paura)
Credit Suisse, il crollo e la bufera sulle Borse: cosa è successo oggi (e perché il "no" degli arabi fa paura)
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Giovedì 16 Marzo 2023, 09:12

Cos'è Credit Suisse? Perché si è arrivati al crollo di oggi? Cosa c'entrano gli arabi? Con una capitalizzazione di 6,83 miliardi di franchi (7 miliardi di euro) Credit Suisse è la seconda banca svizzera dopo Ubs (59,67 miliardi di franchi, pari ad oltre 61 miliardi di euro) ed è in mano agli arabi. Tra i principali azionisti figurano infatti Saudi National Bank (9,88%), Qatar Holding (5,03%) e Olayan Group (4,93%), che insieme formano un blocco che sfiora il 20% del capitale. 

I soci

Lo scorso dicembre Credit Suisse ha lanciato un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi (4,11 miliardi di euro) per far fronte a un rosso di 7 miliardi. Tra i soci anche il fondo Usa BlackRock con il 4,07%, che è anche azionista di Ubs con il 5,23%, affiancato però da altri soci americani come Dodge & Cox al 3,02%, la Massachusetts Financial Services Company (3,01%), Artisan Partners Limited (3,15%) e da Norges Bank (3,01%).

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La storia

Fondata nel 1856 da Alfred Escher, Credit Suisse ha sede a Zurigo, dove è quotata in borsa oltre che a New York. Il gruppo opera infatti in tutto il mondo con tre divisioni (Private Banking, Investment Banking e Asset Management). L'organico mondiale del gruppo raggiunge i 50.110 addetti, con 3.520 manager e 1.614 miliardi di franchi (1.656,37 mld euro) di masse gestite. La storia recente del gruppo non è stata certo facile. Dopo l'esposizione nei fondi speculativi Archegos e Greensil falliti nel 2021, costati complessivamente oltre 6 miliardi di franchi (6,16 mld euro), il gruppo non si è più ripreso. Nel 2021 il rosso è stato di 1,5 miliardi di franchi (1,54 mld euro) dopo accantonamenti per 4,3 miliardi di franchi (4,41 mld euro). Lo scorso novembre S&P ha abbassato il rating a Bbb- e un mese dopo, in vista del rosso da record, si è partiti con l'aumento di capitale, che ha aperto le porte ai sauditi, i quali ora però hanno annunciato di non poter più intervenire in soccorso della banca. 

Cosa è successo

Il contagio arriva dalla Svizzera.

Il tonfo di Credit Suisse sulla piazza di Zurigo sui minimi di sempre, con un calo del 24,2% a 1,69 franchi, ha innescato una tempesta di vendite sull'intero comparto bancario in Europa. L'indice Stoxx ha perso il 7,11%. Non è più la piccola Silicon Valley Bank americana a fare paura, ma la seconda banca elvetica, che oggi è in mani arabe.

Proprio la Saudi National Bank, partecipata per il 37% dal fondo sovrano saudita, è il maggior azionista del Credit Suisse e, quando ha escluso un nuovo sostegno finanziario, ha scatenato la bufera su Zurigo. Alla fine dello scorso anno aveva acquistato una partecipazione del 9,88% dell'istituto in concomitanza con l'aumento di capitale da 4 miliardi di franchi. Al suo fianco ci sono Qatar Holding con il 5,03% e Olayan Group al 4,93% e insieme formano un blocco che sfiora il 20% del capitale. Fuori dall'area del Golfo si va negli Usa, con BlackRock appena sopra al 4%. 

Come si spiega il tracollo

Secondo l'amministratore delegato del fondo americano Larry Fink si paga oggi il prezzo di «decenni di denaro facile» e Robert Kiyosaki, l'investitore che aveva previsto il tracollo di Lehman Brothers nel 2008, ritiene che Credit Suisse sarà la prossima vittima. Nouriel Roubini afferma invece che la banca sia «troppo grande per fallire ma anche per essere salvata».

Il crollo delle Borse

Il "no" saudita ha avuto pesanti contraccolpi nel Vecchio Continente, tornati in negativo dopo il rimbalzo della vigilia, bruciando complessivamente 355 miliardi di euro di capitalizzazione. Milano ha perso il 4,61%, Londra il 3,83%, Parigi il 3,58%, Francoforte il 3,27%, mentre Zurigo ha limitato il calo all'1,87%. A metà giornata anche Wall Street segnava un pesante rosso con il Down Jones a -2,14%, il Nasdaq in calo dell'1,40% e lo S&P 500 in flessione dell'1,94%.

 

Il recente passato

Che la banca svizzera navigasse in cattive acque lo si sapeva da tempo. Nel 2021 erano falliti i fondi speculativi Usa Archegos e Greensill, con un costo per Zurigo di oltre 6 miliardi di franchi (6,16 miliardi di euro). Da allora Credit Suisse ha cercato di fare quadrato con l'avvicendamento tra Thomas Gottstein e Ulrich Korner alla guida del gruppo e mettendo a punto una strategia di rilancio e di tagli, ma il 2021 si è chiuso con un rosso di 1,5 miliardi di franchi. L'anno prima invece era in utile per 2,7 miliardi di franchi (-22%). Il 2022 invece è stato ancora più difficile, con una perdita annunciata di oltre 7 miliardi di franchi. Un dato previsto da S&P, che lo scorso 9 febbraio ha tagliato il rating a "Bbb-", ma indicativo di una situazione deteriorata. Dopo i rilievi della Sec, l'autorità dei mercati Usa, che ha messo in dubbio l'attendibilità delle comunicazioni finanziarie precedenti, l'allarme rosso è scattato già ieri. Alla Morgan Stanley Conference l'amministratore delegato Ulrich Koerner ha spiegato sì che l'esposizione in Svb di Credit Suisse «non è rilevante» e che i deflussi di depositi si sono «moderati significativamente» anche se non si sono fermati del tutto, ma ha ammesso anche «sostanziali debolezze» sui controlli interni della banca. Il definitivo affossamento del titolo però è avvenuto oggi dopo che il presidente della Banca Nazionale Saudita Ammar Al Khudairy ha fatto un passo indietro per motivi statutari. Al di là degli azionisti e delle dinamiche di mercato, su Credit Suisse si è concentrata anche l'attenzione delle istituzioni e della politica internazionale. 

La reazione della Bce

La Bce sta chiedendo alle banche di tutta Europa di comunicare la loro esposizione sull'istituto di Zurigo. La presidente del consiglio Giorgia Meloni, senza fare nomi ha annunciato la «massima attenzione del governo sui mercati finanziari», mentre il primo ministro francese Elisabeth Borne ha chiesto alle autorità svizzere di «intervenire» direttamente, annunciando un incontro tra il ministro dell'economia Bruno Le Maire ed il suo omologo a Berna.

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