Morandi, l'ingegnere ai pm: «Il ponte è crollato per una bobina di acciaio caduta da un tir»

Morandi, l'ingegnere ai pm: «Il ponte è crollato per una bobina di acciaio caduta da un tir»
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Venerdì 2 Novembre 2018, 18:58 - Ultimo aggiornamento: 21:33

Una «cannonata», effetto della caduta da un tir di una bobina di acciaio di 3,5 tonnellate, potrebbe essere stata la causa del crollo del viadotto Morandi, il 14 agosto scorso. Ad avanzare questa ipotesi è Agostino Marioni, ingegnere, ex presidente della società Alga che si occupò dei lavori di rinforzo della pila 11 del ponte nel '93. Il tecnico è stato sentito come persona informata dei fatti in procura dal pm Massimo Terrile che indaga sul crollo di Ponte Morandi. 

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«In un primo momento avevo pensato che la causa del crollo del Morandi fosse la corrosione degli stralli. Poi vedendo alcuni video ho iniziato a ipotizzare che a far collassare il viadotto potrebbe essere stata l'eventuale caduta del rotolo di acciaio trasportato dal camion passato pochi secondi prima». Non è ancora stato accertato se il camion ha perso quel carico, ma l'ingegnere dice: «Secondo i calcoli che ho fatto, se il tir, che viaggiava a una velocità di circa 60 chilometri orari, avesse perso la bobina da 3,5 tonnellate avrebbe sprigionato una forza cinetica pari a una cannonata. Verificarlo è semplice: basta controllare se sulla bobina ci sono tracce di asfalto». L'ingegnere ha poi spiegato come mai Autostrade decise di eseguire i lavori sulla pila 11. 
 

«Aveva problemi di corrosione legati a un difetto costruttivo. I cavi all'interno degli stralli di quella pila non vennero sistemati bene per cui il calcestruzzo non li aveva perfettamente avvolti. Per questo si sono corrosi. Anche le pile 9 e 10 presentavano qualche problema ma in misura minore, di poco rilievo». L'ingegnere parla con 'passione di quel viadotto e si schiera per non demolirlo. «Sarebbe come buttare giù il Duomo di Milano perché è crollata una guglia». In attesa di conoscere le cause del crollo, nel giorno della commemorazione dei defunti, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, per la prima volta ha visitato il luogo della tragedia. Lo ha fatto dopo aver celebrato la messa per i morti e per tutti coloro che ancora soffrono per il crollo del ponte nella chiesa di Certosa. Era piena. Tra i familiari delle vittime c'era Giuseppe Altadonna, padre di Luigi, il 35enne genovese che ha lasciato moglie e quattro figli. «La ricerca di giustizia è quello che ci manda avanti - ha detto - perché ci sono colpe precise che devono emergere. Queste persone non possono essere morte invano».

Se il meteo lo avesse permesso, Bagnasco avrebbe celebrato messa in via Perlasca, sotto i monconi del ponte. «Oggi non volevo non essere qui», ha detto. Ha deposto un mazzo di fiori. «I monconi sono due braccia senza un corpo, è impressionante ma ritornerà tutto».
Prima di deporre i fiori ha visitato i tendoni degli sfollati e ha parlato con la portavoce del comitato Giusy Moretti. «Cardinale, nell'omelia ha parlato della casa del Signore. Noi siamo senza casa. Ci aiuti con le preghiere», ha detto la donna. Bagnasco ha risposto: «Con preghiere e anche con qualcosa di concreto». E ha aggiunto: «Le diatribe non rallentino la rinascita, nessuno a livello nazionale crei difficoltà che possono frenare la ricostruzione», e gli enti locali «vadano avanti determinati e compatti come è stato finora».

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