Acqua dall’Albania? L’idea è del 1992
Tubo a San Foca e già si parlava di gas

Acqua dall’Albania? L’idea è del 1992 Tubo a San Foca e già si parlava di gas
di Francesco G.GIOFFREDI
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Mercoledì 29 Novembre 2017, 06:05 - Ultimo aggiornamento: 19:01

Nel 1992 i Balcani sono la polveriera d’Europa, nella pancia dell’Italia lievita fino a esplodere la stagione di “Mani pulite” avviando il crepuscolo della Prima Repubblica, la Danimarca vince a sorpresa gli Europei di calcio, la Puglia è periferia di ogni impero. E però, nel 1992, viene gettato più o meno inconsapevolmente un primo seme dell’affaire Tap. È un germoglio lontano e forse flebile, ma che ha resistito a cicli economici, governi, rivoluzioni sociali: un tubo anche più ampio del Tap può approdare («è un sito idoneo») a San Foca, all’epoca sconosciuta e puntiforme marina del Salento. Così era sancito nelle “carte” di allora. Può portare acqua, tanta acqua, dall’Albania alla Puglia potenziando dunque una capacità d’approvvigionamento idrico a quel tempo già vacillante - argomentavano sempre le stesse “carte”. Poi un domani, chissà, quel tubo di circa 80 chilometri e 2 metri di diametro potrebbe anche essere il «supporto» per «aumentare le disponibilità energetiche dell’Italia» - e anche questo era scritto nelle “carte”.
Già, ma quali “carte”? Si tratta di una proposta di legge, e della collegata relazione introduttiva, presentata alla Camera il 30 giugno 1992 da 19 deputati in larga parte pugliesi. Nel database di Montecitorio è consuetudine marchiare la pdl col nome del primo firmatario: “Norme per la realizzazione e la gestione di un acquedotto sottomarino tra l’Albania e l’Italia” ha come frontman Damiano Potì, salentino, quattro legislature sul curriculum, socialista, padre di Marco (attuale sindaco di Melendugno, alfiere della protesta No-Tap) e fratello di Vittorio (compianto ex consigliere regionale, e sindaco di Melendugno peraltro anche nelle prime battute della vicenda Tap). Materia di cristallo, e allora occorre andare con ordine. Essendo però “1992” anche una fortunata serie tv sull’anno che appallottolò e ridisegnò le mappe socio-politiche italiane, noi comunque vi spoileriamo il “nostro” finale: quella proposta di legge s’incanalò su un binario morto; sì, il jolly di un acquedotto sottomarino per succhiare acqua dall’Albania riaffiora ciclicamente; e ovviamente sì, il sito di San Foca 25 anni fa non era una boutade, ma anzi quando prese forma il progetto Tap quel sito fu pure ripescato, forse da chi sapeva che il terreno era in parte dissodato, oltretutto con uno studio di fattibilità commissionato e realizzato nel 1992. Insomma, negli anni 2000 la marina salentina fu proposta come punto d’attracco di Tap magari perché era un’opzione che aleggiava da tempo nei conversari su tubi e dintorni. In definitiva: può essere un ulteriore tassello nel “giallo-non-giallo” sul cambio d’approdo del gasdotto, migrato da Lendinuso a San Foca (ricostruzione fatta nei mesi scorsi: qui l'articolo)

L’acqua dall’Albania e la proposta di Emiliano. Ha sempre osteggiato l’approdo a San Foca, preferirebbe localizzare il Tap nel Brindisino e ogni mossa sulla scacchiera è irradiata da questo credo. Il vicolo rischia però d’essere cieco, e allora Michele Emiliano propone, ipotizza, rilancia: decarbonizziamo Enel e Ilva col gas dell’Azerbaijan, o anche - ha congetturato nei giorni scorsi - facciamo correre in parallelo al Tap, dall’Albania al Salento, «un tubo per portare qui l’acqua». L’idea sembrava talmente estemporanea da non esserlo affatto: la proposta di legge del 1992 non dev’essere del tutto sconosciuta in Regione, e inoltre da un biennio Emiliano tesse la tela col premier albanese Edi Rama («Potrebbe nascere una multinazionale dell’acqua», scandì il presidente dell’Aquila bicipite nel 2015; di «compartecipazione azionaria dell’Albania nell’Aqp», parlò invece Emiliano).

La mossa del 1992. Il 28 giugno 1992 nasce il primo governo Amato (Psi, Dc, Pli, Psdi), una specie di convulso e drammatico ponte tra Prima e Seconda Repubblica. Due giorni dopo, i 19 deputati presentano la proposta di legge: oltre a quella di Potì c’è la griffe anche di Ernesto Abaterusso (Pds), Biagio Marzo (Psi), Antonio Bruno (Psi), Giuseppe Caroli (Dc), Gaetano Gorgoni (Pri), Antonio Lia (Dc). L’Albania un anno prima aveva celebrato le prime elezioni libere dell’era post-comunista, e sotto il profilo economico luccicava come un incontaminato eldorado. E in effetti la proposta di legge disserta sulle relazioni tra l’Italia e i cugini, per poi spiegare: «Il 26 settembre 1991 è stato costituito il Consorzio Acquedotto Albania-Italia, partecipato dall’Iri, dalla cooperativa Edilter e da un gruppo di primarie imprese private aderenti all’Irsi (associazione imprese realizzatrici schemi idrici)». L’interconnessione idrica tra i due Paesi avrebbe avuto due funzioni, si legge nella relazione introduttiva: primo, accrescere l’offerta d’acqua in Puglia, portando a 4 metri cubi al secondo la «portata occorrente»; secondo, «essere volàno per la sistemazione idraulica interna all’Albania». Ma c’è una «terza funzione impropria, ma non meno importante» citata nelle carte: «L’adduttrice sottomarina può essere utilizzata come supporto per un elettrodotto per aumentare la disponibilità energetica dell’Italia, e di un metanodotto per il trasporto e la distribuzione del metano nei grossi centri dell’Albania e della penisola balcanica».

Stesso sito, vent’anni dopo. Dove sarebbe dovuto approdare il tubo? Piccola nota a margine: “i” tubi, perché «la soluzione ritenuta più conveniente - è scritto - è quella di un attraversamento con quattro condotte in acciaio a diametro variabile». I siti, si diceva: due opzioni, candidate «a seguito di sopralluoghi». La prima era «in località San Foca, a 1,8 chilometri a sud di Torre Specchia Ruggeri, dove la costa è abbastanza bassa e l’approdo agevole e facilmente raggiungibile». Ricorda nulla? Sì: è di fatto lo stesso punto d’attracco del Tap. La seconda opzione era invece «località Masseria di Barone di Muro, nel tratto compreso tra Sant’Andrea e Torre dell’Orso», ma «l’approdo è più difficile del precedente». E poi: «Per entrambi i tracciati è prevista la posa in opera di una condotta di acciaio del diametro di 2 metri», la connessione sarebbe stata invece al serbatoio di Galugnano. Per tutti e due i siti «indagini svolte presso la Regione hanno confermato l’idoneità dei siti», anticipava la relazione. I costi? Nella migliore delle ipotesi si accennava a 930 miliardi di lire.

Come sono andate le cose? La proposta di legge di Potì e co. s’è arenata lì. Ma traccia dell’interconnessione Albania-Salento c’è sempre stata, in filigrana: per esempio, a realizzare lo studio di fattibilità nel 1992 fu il Consorzio Uning, che fornisce servizi di ingegneria e ha sede a Bari; o, ancora, il progetto come un fiume carsico è riapparso nel 1997 (nell’intesa tra governi albanese e italiano), nel 2007 (proposta di legge a firma del deputato Simeone Di Cagno Abbrescia, Forza Italia), nel 2015 (altra proposta di legge, stavolta di Roberto Marti, all’epoca ancora in Forza Italia), fino agli anni delle relazioni Emiliano-Rama.

Da Lendinuso a San Foca. L’orologio corre fino ad oggi. Tap e il governo hanno sempre difeso a scudo alto l’approdo del gasdotto, corazzato da iter autorizzativi e sentenze. Il territorio e gli enti locali viceversa contestano senza sosta quantomeno la scelta del sito prescelto. Sullo sfondo, il rebus: perché il progetto, inizialmente ipotizzato a Lendinuso, dopo una fase di buio rispuntò a San Foca? La Regione amministrata da Vendola, rassicurata probabilmente da esponenti della politica locale, ritenne che il territorio melendugnese avrebbe metabolizzato l’opera. Sbagliava: la mina esplose tra le mani, le successive fasi furono governate dalla diffusa incapacità di indicare un sito alternativo mentre le autorizzazioni si accumulavano irrimediabilmente. Del resto, la vicenda Tap ha rappresentato in modo plastico un segno del tempo: la politica soverchiata dai suoi stessi ingranaggi e dalle “non scelte”. Ora s’aggiunge una domanda, sullo sfondo: quella proposta di legge del 1992 incise almeno un po’ sul dirottamento del Tap da Brindisi a San Foca?

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