Il richiamo della Lupa in un caffè

Il richiamo della Lupa in un caffè
di Leda CESARI
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Domenica 9 Dicembre 2018, 11:10 - Ultimo aggiornamento: 12:16
Dalla Svizzera, da Ferrara, da Caserta. Il primo cameriere, la seconda tecnica radiologa, il terzo agente immobiliare, e tra loro vincoli parentali e sentimentali che hanno funzionato come una calamita. Portandoli qui, dove sono oggi: a Lecce, in corso Vittorio Emanuele II, al civico 60. Caffè della Lupa: a presidio e servizio – ogni giorno – di transumanze indigene e turistiche in cerca di un rustico fumante, di una salutare spremuta di melagrana, di un momento di chiacchiera davanti ad un – lo dice il nome stesso – buon caffè. Affidati alle cure amorevoli di colei che spicca nello stemma di Lecce – la Lupa, appunto - e sotto l’occhio vigile di Sant’Oronzo benedicente a pochi passi da lì. 

L’Amore, insomma, non è un dardo, come diceva Baricco, ma un imbuto. La storia la racconta per tutti e tre Carlo Scardino, 29 anni,  nato a San Cesario ma presto veleggiato verso la Svizzera, al seguito di suo padre, che lavorava in un’azienda come ragioniere e che nel  2000, in una delle periodiche crisi economiche che ammorbano l’Italia (e soprattutto le imprese del Sud), si era ritrovato con un part-time, i figli piccoli e un mutuo da pagare. Sicché la decisione era stata presa: tutti a Ginevra, a lavorare nel ristorante degli zii.  E Carlo si era iscritto all’Alberghiero di Stresa, in quel luogo di bellezza divina che è il Lago Maggiore, alloggiando durante la settimana al Collegio Rosmini – nelle immediate vicinanze dell’istituto - e riunendosi alla famiglia nel weekend. “A scuola con giacca, cravatta e tesserino, rifarsi il letto, studiare fino a sera: ecco la vita di quegli anni”. E l’inizio del corso da esperto degustatore presso l’Associazione Italiana Sommelier di Novara. “Mi preparavo per andare a fare il cameriere nel ristorante dello zio”, racconta ancora l’interessato, “invece, a un certo punto, cominciai a sentire la nostalgia del Salento. Me ne tornai a San Cesario a casa della nonna, lasciando la mia famiglia a Ginevra, e terminai il corso per diventare sommelier con AIS Lecce, nel 2013”. 

Inizia dunque per Carlo la stagione dei lavoretti: Villa Madama a Lizzanello, poi all’Hotel Risorgimento di Lecce, sempre come cameriere, per tre anni. Ma la voce del sangue e il desiderio di un futuro più stabile mordono, così nel 2015 il ritorno a Ginevra, a casa con i suoi, per lavorare nel campo ancora una volta con lo zio. “La Svizzera è un altro mondo. La vita costa molto, ma ciò che paghi per i servizi ti viene restituito al cento per cento. Se hai un problema puoi risolverlo, e comunque è come vivere al centro dell’universo: su un pullman puoi anche trovare venti persone di altrettante nazionalità”.  Due anni di lavoro, poi – per incomprensioni familiari – l’ennesima svolta: Carlo lascia il ristorante, e con lui suo padre. “Ci sarebbe piaciuto prenderlo in gestione da soli, ma non se ne fece nulla.  Cominciai quindi la trafila dei curriculum lasciati negli hotel migliori di Ginevra; andavo in giro tutto il giorno per farmi conoscere, perché di persona è un’altra cosa”. 

Arriva dicembre 2016, e Carlo riceve una telefonata dalla sua ragazza, Alessandra Moramarco, ventisettenne from Lequile che nel frattempo si è laureata in Tecniche di radiologia medica a Ferrara e se n’è tornata a Lecce anche perché è rientrato Carlo, che poi però è ripartito alla volta di Ginevra. A Lecce Alessandra cerca il lavoro per cui ha studiato e si è laureata, ma – naturalmente – invano. Ha fatto uno stage al Fazzi, vari concorsi – tra cui uno “famoso” per motivi giudiziari, ovvero per essere stato annullato in quel di Taranto – ha lavorato come babysitter, immaginato di trasferirsi anche lei in Svizzera, ma senza costrutto, perché è difficile approdare in certi Paesi se non hai già un lavoro e un’azienda che ti reclami: un anno e mezzo di prova, poi se ne torna a Lecce. “Aveva insomma cercato di sistemarsi anche lei, ma senza risultati. Era sconfortata. Poi, a dicembre 2016, aveva appunto trovato quell’annuncio di vendita attività in pieno centro a Lecce, ne aveva ragionato con sua madre e aveva cominciato l’iter burocratico di approccio all’acquisto. E mi aveva chiesto: “Ti interessa?”. Io ero titubante: situazione incerta a Ginevra, situazione incerta a Lecce. Un punto interrogativo grande come una casa”, racconta ancora Carlo, “ci ho messo due mesi a decidere”. 

Riapprodato a Lecce a gennaio 2017, ma con molti dubbi, “visto che lavorare in Svizzera è molto gratificante e ti apre gli orizzonti, perché interagisci con gente fantastica”, Carlo è appunto estremamente combattuto: le possibilità professionali e sociali di Ginevra o la sfida nel cuore di Lecce, accanto ad Alessandra? 

Si sa, l’amore vince ogni cosa. Anche le perplessità, anche la ragionevolezza. Così Carlo torna a Lecce per la seconda volta e si butta a capofitto nella nuova gestione del Caffè della Lupa, nel frattempo rilevato dalla sua ragazza. Un’avventura, nel vero senso della parola: lui cameriere e sommelier (“Ma un bar è una cosa assai diversa”), Alessandra ex tecnica radiologa e, a completare il terzetto, Claudio, fratello di Alessandra, che, dopo essersi diplomato allo scientifico Banzi di Lecce e iscritto all’Istituto di Lingue Orientali a Napoli, lascia il suo lavoro a Caserta come agente immobiliare e trascina con sé nel Salento anche la sua ragazza, che oggi lavora poche vetrine più in là. I genitori e la sorella di Carlo sono rimasti a Ginevra, “e mi dispiace essere tornato per la seconda volta nel Salento, perché dopo i miei anni di collegio era la prima volta che si ricreava la nostra intimità familiare”. Ma che fare se lavoro e cuore ti portano lontano?

E’ la legge della vita: “Tu, uomo, lascerai tuo padre e tua madre etc. etc.”. Il Caffè della Lupa gestione Moramarco-Scardino è stato inaugurato il 5 maggio 2017, e va che è una bellezza, potendo contare su una posizione oggettivamente strategica e un’atmosfera giovane e frizzante come i suoi occupanti. “Nessuno di noi aveva mai pensato di poter gestire un bar, un giorno, ma poi siamo stati catapultati in questo mondo e oggi siamo molto contenti. Tra noi c’è grande sinergia: dove non arriva uno, c’è l’altro. Sempre col sorriso, perché per gestire un bar bisogna essere anche un po’ psicologi”. Non che la vita sia ogni giorno rose e fiori, beninteso: “Vita dura, quella del barista. Apriamo alle sette del mattino, facciamo i turni e d’estate si chiude solo quando decidono i turisti. Però ci divertiamo, abbiamo un bel rapporto tra noi – ho potuto approfondire grazie a questo lavoro la conoscenza con mio cognato – e con i nostri clienti. I miei sono lontani, e divisi su questo: tornare nel Salento o no? Mio padre vorrebbe”, conclude Carlo, “mia madre e mia sorella stanno bene a Ginevra. Ed è giusto, non si può lasciare il certo per l’incerto, soprattutto a una certa età. Noi, però, siamo più giovani e l’abbiamo fatto. E ci è andata bene”.
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