Cuccioli sequestrati nel 2009: «Restino con i nuovi padroni»

Cuccioli sequestrati nel 2009: «Restino con i nuovi padroni»
di Erasmo MARINAZZO
2 Minuti di Lettura
Domenica 21 Gennaio 2018, 06:45 - Ultimo aggiornamento: 16:59
Ha chiesto la restituzione dei 42 cani di razza sequestrati a febbraio del 2009 quando erano ancora dei cuccioli. E che intanto erano stati affidati ad altrettante famiglie. Ora che è stato assolto. Assolto, ma per prescrizione, dalle accuse di maltrattamento e di abbandono di animali, nonchè di falso per aver dichiarato che quei cuccioli di Pinscher, Spitz, Cavallier King Charls, Labrador e Maltesi non superassero il numero massimo previsto per l’importazione Diciotto. Ed anche per aver dichiarato che l’età fossero superiore alla soglia minima di 50 giorni fissata dalle norme sulla commercializzazione dei cani.
Il caso continua a passare attraverso i giudici di diversi gradi di giudizio, dopo il recente ricorso presentato in Cassazione da A.A., 42 anni, di Lecce, originario di Uggiano La Chiesa, con l’avvocato Francesco Vergine. Il commerciante di animali vuole la restituzione di quei 42 cani diventati ormai adulti. E come tali, visto anche il numero, avrebbero un valore economico non indifferente.
Non sono stati di questo avviso i giudici della Corte d’Appello di Lecce (presidente relatore Pietro Baffa, a latere Carlo Errico e Giovanni Surdo): sia perché l’assoluzione per prescrizione non ha capovolto le condanne di primo e di secondo grado a nove ed a sei mesi di reclusione. Ricordando anche che la confisca sia obbligatoria per l’accusa di maltrattamento di animali. Ed anche tenendo conto che quei cani sono cresciuti e si sono affezionati ai loro padroni. Lungo nove anni: «Sulla base di tali considerazione ritiene che questa Corte debba confermare la decisione adottata in data 9 settembre del 2017 (il giudice dell’Esecuzione assegnò definitivamente i cani alle persone che li avevano avuti in affidamento nel 2009) e debba conseguentemente disporsi la permanenza degli animali presso le persone cui sono stati affidati e che sino ad ora si sono presi cura del loro allevamento, per un arco temporale di quasi un decennio.
 Tale decisione si conforma a parametri quanto meno di ragionevolezza ed opportunità, osservandosi come un’improvvida sottrazione di quegli animali, definiti per l’appunto “d’affezione” nella più recente normativa in materia, ai soggetti preso i quali vivono, divenendo così parte integrante del contesto familiare, si declinerebbe in un grave “vulnus” non solo per i soggetti che se ne prendono quotidianamente ed amorevolmente cura, ma anche per gli animali stessi. Obiettivamente dotati di spiccata sensibilità e di una comprovata percezione degli stimoli e dei vicendevoli rapporti affettivi con i loro padroni».
Diversa la prospettiva del difensore di A.A.: l’avvocato Vergine ha sostenuto l’illegittimità della decisione del giudice dell’Esecuzione, perché in contrasto con la normativa che regola il diritto di proprietà.
L’ultima parola ai giudici di Cassazione.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA