Il bar di Oronzo e l'elogio della Cotognata, nata da un bacio rubato

Il bar di Oronzo e l'elogio della Cotognata, nata da un bacio rubato
di Leda CESARI
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Martedì 24 Aprile 2018, 20:53 - Ultimo aggiornamento: 21:22

Si innamorarono filtrando il latte di mandorla. Lei teneva in mano il velo che tratteneva i residui solidi; lui colava il liquido, e ad un certo punto le disse, con quegli occhi maliardi che avevano inutilmente fatto sospirare molte signore bene di Roma: “Ti posso dare un bacio?”. “Non ti permettere”, fu la risposta di lei, ma fu tutto inutile: bacio fu. Quando quell’incanto si dissolse Luciana, fintamente arrabbiata, lo redarguì: “Appena finiamo ti do uno schiaffo”. Mai lasciati da quel momento. Era il 1967. Così, sotto gli auspici di quella candida delizia ch’era oggettivamente tutto un programma, si avviarono i presupposti di una delle dinastie del gusto più idolatrate del Salento: la famiglia De Matteis, motore pulsante della “Cotognata leccese” di via Marconi a Lecce.
Che inizialmente, dal ’75 al ’91, era al civico 63 – nata dalle “ceneri” della vecchia pasticceria Cesano, altro mito gourmand della città di un tempo. Poi, nel 1992, Oronzo e Luciana De Matteis, forti di una vita di sacrifici e amore, amore e sacrifici, decisero di spostarsi qualche passo più in là: al civico 51. Così nacque uno dei bar più gettonati di Puglia nella versione in cui ancor oggi lo conosciamo. La stessa che fa impazzire grandi e piccini, autoctoni e turisti, comuni mortali e vip di varia caratura: messaggi e foto appesi dietro la cassa parlano chiaro.
Una vita di lavoro, quella del Cavaliere del Lavoro Oronzo De Matteis – “Mesciu Ronzu” per gli intimi, cioè la famiglia e migliaia di clienti - nominato appunto benemerito della Repubblica italiana, nel 2000, dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nato a Lecce in periodo bellico, il 5 marzo 1943 (un giorno dopo Lucio Dalla, stesso anno di Mick Jagger), ultimo di otto figli, presto orfano di padre, Oronzo comincia a lavorare a dieci anni nella pasticceria Cesano, appunto. Ma appena maggiorenne, e dopo aver bruciato tutte le tappe «per quella sua incapacità di stare fermo, di rilassarsi», racconta la figlia Barbara, se ne va a Roma a lavorare al “Gran Caffè Berardo”, storico locale nella Galleria di Piazza Colonna. Sono anni di impegno serrato e di lusinghe da Dolce Vita, ma alla fine prevale il richiamo della foresta. Dopo un intermezzo per ottemperare agli obblighi della leva a Caserta («da bersagliere: infatti in questa famiglia non si smette mai di correre»), Oronzo torna a casa, dove i Cesano lo aspettano a braccia aperte. Non più garzone, diventa prima banconista e poi pasticcere. Nella pasticceria lo aspetta infatti il suo destino: Luciana, che sposa nel 1969. Nel 1971 nasce Davide, nel 1973 Maria e nel 1976 Barbara. Così, tenendo famiglia, nel 1975 Oronzo decide il gran passo: rileva la pasticceria Cesano, con annessi tutti i segreti del mestiere. La “Cotognata leccese”, dunque, è già all’orizzonte.
Piccola parentesi personale: tu cominci la giornata con acqua tiepida, limone e zenzero per depurarti e tentare una disperata manovra dimagrante. Poi, appunto, vai a intervistare Barbara De Matteis alla “Cotognata leccese”: subitanea fine della dieta, rinvio della stessa all’indomani, o più probabilmente al lunedì successivo (come tutti i lunedì). «Quando mio padre decise di comprare il bar lavorava 20 ore al giorno, di giorno come banconista e di notte come pasticcere», racconta infatti Barbara tra un rustico fumante e un confettone, glorie casalinghe che gli autoctoni e i turisti spediscono in tutto il mondo (anche se la Signora incontrastata della situazione rimane Lei, la Regina Cotognata). «E per certi versi tutto funziona ancora così, in questo posto: undici persone al lavoro – la famiglia de Matteis e i collaboratori - apertura alle 5/5.30, chiusura alle 21.30, con lui a dirigere il tutto. Tutti i giorni, senza turno di chiusura. Dai tempi in cui il sindaco Poli decise di rendere facoltativo il giorno di riposo».
 
Inutile sottolineare quindi come in molti, in via Marconi 51, sperino in un ripristino dell’obbligo di serrande abbassate una volta a settimana. Qui, dove ogni giorno entrano centinaia di persone alla pervicace ricerca di qualcosa di buono – puntualmente trovandolo - Oronzo praticava il cake design in tempi non sospetti, la cotognata è diventata appunto affare da gourmet planetari e l’aperitivo roba da stomaci capienti, altro che olivette e noccioline. E oggi, ancora una volta, si distribuiscono caffè salvavita e rustici ammazzadieta con sfoglia assolutamente artigianale («è una fissazione di mio padre: sostiene che quando tocchi la pasta con il matterello si crea un feeling tra te e lei, che devi accarezzarla come se fosse la donna della tua vita»). Insomma, pienone ogni giorno, «anche se ultimamente c’è crisi, e dipende certamente dal nuovo senso di marcia di via Marconi. Ce lo dicono anche i clienti storici, che arrivano tutta la provincia: “Non vi stiamo tradendo, ma è diventato difficile arrivare qui”. Aspettiamo di vedere i benefici di questa novità… per ora ne subiamo solo gli effetti negativi».
Per fortuna, a dar manforte a bancari e impiegati in trepida attesa di pizze e aperitivi made in Cotognata, arrivano gli habitué vip. Un giorno, ai tempi di “Mine vaganti”, arrivò pure Ferzan Ozpetek, e per Barbara fu film. E poi un’amicizia che si nutre soprattutto di lontananza, perché il regista, perennemente a dieta, spesso evita anche solo di passare da via Marconi per non essere irresistibilmente attratto da quel posto che pure ama molto (l’ha messo anche nel film, con Ennio Fantastichini-padre che va a comprare le paste per il pranzo domenicale) e continua ad amare («In “Allacciate le cinture” ne ha rifatto uno uguale, il “Caffè Italiano”, vicino al Convitto Palmieri»). Il che porta ad esempio molti turchi, alla “Cotognata leccese”, ma anche americani, sedotti dallo stesso fascino che ha ammaliato Ozpetek, «forse perché i bar moderni sono tutti asettici e modernissimi e qui, invece, c’è il respiro della storia. E il nostro desiderio di coccolare i clienti: quelli che arrivano qui per caso, spesso, poi vogliono tornare qui tutti i giorni».
Con Albano, poi, lo show di “Mesciu Ronzu” è quasi quotidiano: «Si assomigliano molto, sono entrambi tipi sanguigni. Lui sfotte mio padre, “un giorno di questi ti porto in Russia”. Mio padre gli risponde “Vengo, ma solo per le belle donne”». Da poco c’è stata anche Elena Sofia Ricci, «incazzata con me perché dice di essere ingrassata di due chili in poche ore»; Paola Minaccioni entra e gira dietro il bancone per farsi il gelato da sola, «e quando Kasia Smutniak viene nel Salento a fare kitesurf passa di qua».
Non sono comunque gli unici personaggi riforniti di dolcezza firmata De Matteis. Negli anni, tra una turista affacciatasi chiedendo “Scusi, per il Colosseo?” («e io risposi: “Sempre dritto, signora!») e un Francesco Arca alla ricerca di mostaccioli, dalla “Cotognata leccese” sono partiti paste di mandorla e confettoni alla volta di ogni luogo conosciuto del mondo, da Washington a Malindi, passando per Tokyo. Doni privati, però, non esportazioni: produzione troppo di nicchia per accontentare le richieste, come quella volta dei texani che volevano aprire un negozio made in Puglia a New York, ma non ci fu verso: merce troppo limitata e deperibile. Nel 1994, poi, Giovanni Paolo II in visita a Lecce degustò una fantastica torta al Vescovado; di recente anche Papa Ratzinger e il presidente Mattarella hanno potuto gradire realizzazioni dolci della premiata ditta. E venerdì anche Papa Francesco ha ricevuto una splendida riproduzione delle Chiavi di San Pietro fatte interamente con la cotognata: «I miei sono molto credenti». E molto generosi. “Mesciu Ronzu” – «che adesso, dopo il Lecce e la pesca, ama zappare la terra e coltivare pomodori da regalare a mezza città» - ha formato alla “Cotognata” tanti ragazzi, «e poi li ha esortati a camminare sulle loro gambe, mai geloso di loro. Qui, ogni giorno, arrivano tanti extracomunitari che lo chiamano papà: lui ha sempre qualcosa per tutti».
Insomma, dolcezze e valori. «Chi viene qui a lavorare entra in famiglia e rimane per sempre. Come mio cognato Emanuele, che fa il pasticcere. E poi ci sono i nipoti: Andrea, per esempio, è il futuro della “Cotognata leccese”: fa già dolci buonissimi». Davide, infatti, primo figlio di “Mesciu Ronzu”, ha preferito continuare da solo: «Ha iniziato qui con i gin tonic, e già allora era fissato con la qualità. Poi è andato all’estero a imparare il mestiere e le lingue – ne parla cinque- e tornando ha comprato il vecchio Bar Roberto. Realizzando il suo sogno di bambino: un bar con un bancone lunghissimo», racconta ancora Barbara. «Stessa testa di mio padre, stesso motto: “La passione, la qualità e la costanza possono darti quello che vuoi”». E il sacrificio, ovviamente: «Spesso abbiamo trascorso il giorno di Natale mangiando chiusi qui dentro per poi essere pronti a lavorare. L’importante è stare insieme. Si può anche litigare, ma poi è necessario andare a letto sempre in pace: mia madre, la mediatrice di tutto – l’unica che riesca a domare mio padre – ce lo ricorda sempre».


 

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