Lecce, lettere dal carcere con francobolli falsi: quattro condanne

Il palazzo di giustizia di Lecce
Il palazzo di giustizia di Lecce
di Roberta GRASSI
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Venerdì 3 Marzo 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13:25

Un sistema di falsificazione dei francobolli, stratagemma architettato nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce, che è costato la condanna, in primo grado, per quattro detenuti. 
Il giudice monocratico di Lecce ha deciso due condanne a un anno di reclusione e altre due a due anni di reclusione per i quattro imputati. Un quinto aveva patteggiato la pena. 

Le pene inflitte

La pena più alta è stata stabilita per Cantigno Servidio, di Scalea (in provincia di Cosenza) e Andrea Reho, di Brindisi. La più bassa per Giuseppe Polito, di Brindisi; e Roberto Napoletano, di Squinzano, ritenuto uno degli esponenti di spicco della criminalità del Nord Salento.
L’inchiesta del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero, e della polizia penitenziaria che hanno contestato le ipotesi di reato di ricettazione e di contraffazione a sei detenuti, nelle date del 10 settembre e del 9 marzo del 2018. 
L’inchiesta nasce dal sequestro di una missiva che uno degli indagati avrebbe voluto inviare dal carcere: la polizia penitenziaria notò qualcosa di anomalo.

Il francobollo aveva un disegno e dei caratteri troppo grossolani. Partirono i controlli e nella cella di questo detenuto ne furono trovati in tutto 116 di quei francobolli con il valore indicato di 0,95 centesimi cadauno. Un quantitativo, quei 116 francobolli, che spalancò la porta alla possibilità che non se ne servissero solo per spedire le proprie lettere. Ma che potesse averli messi in giro nel carcere. Non ci sono contestazioni in questo senso a carico degli indagati. Tuttavia quei francobolli furono trovati già appiccicati su quattro buste che avrebbe voluto spedire Servidio. Altri tre ne aveva Reho, quattro Polito ed udici Napoletano.

La produzione

Secondo quanto emerse, la produzione di francobolli, sarebbe partita da un laboratorio di editoria che aveva dato accesso ai computer della struttura penitenziaria. Il fine, probabilmente, era quello di poter spedire la corrispondenza senza dover pagare il francobollo. Una “finezza” certamente non paragonabile all’arguzia più hi-tech di chi si è garantito la possibilità di detenere in cella i micro cellulari, fenomeno ampiamente investigato in tempi più recenti, perché testimonianza della possibilità per alcuni componenti della criminalità organizzata di mantenere i contatti con l’esterno nonostante la detenzione. 
La corrispondenza cartacea è consentita a chi si trova dietro le sbarre, con i dovuti controlli. Ma nel caso specifico, c’era stato comunque - anche a parere del giudice - un comportamento che si era spinto al di fuori del recinto della legalità. Si tratta di una sentenza di primo grado, che potrà essere impugnata dagli avvocati non appena saranno depositate le motivazioni della stessa, entro un termine di novanta giorni. 
Le difese sono state sostenute dagli avvocati Antonio Savoia, Roberto Bray ed Elvia Belmonte.

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