La guerra di posizione scaricata sulla città

La guerra di posizione scaricata sulla città
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Sabato 24 Febbraio 2018, 10:43 - Ultimo aggiornamento: 13:56

La farsa è finita: il centrodestra aveva i numeri, ma non ha avuto né la forza, né la voglia di sciogliere il Consiglio comunale e di andare al voto in primavera, la via maestra per uscire dall’impasse della cosiddetta “anatra zoppa”. E non tanto per la paura dei consiglieri di seconda e terza fascia di lasciare la “poltroncina”, quanto per l’evidente timore di ulteriori e ancora più profonde lacerazioni nella scelta del candidato sindaco e, soprattutto, per la guerra di posizione che i maggiorenti della coalizione - in gran parte candidati alle prossime politiche - saranno costretti a giocare dopo l’incerto responso di domenica prossima. Non c’entra nulla la consigliera comunale in vacanza in Thailandia, che pure ha avuto cinque giorni per tornare e che poteva recarsi ieri in Consolato per firmare o inviare la delega. Non c’entrano le resistenze dei consiglieri di prima nomina. E non c’entra l’appello farlocco al consigliere del M5S perché si dimettese e facesse raggiungere la fatidica quota 17. Erano solo alibi, come del resto ha confermato la sceneggiata inscenata ieri davanti al segretario comunale, per coprire il bluff che a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato il centrodestra ha inteso giocare. Un gioco irresponsabile, scaricato interamente sulle spalle della città. La pesante sconfitta di otto mesi fa non ha fatto scuola. C’è chi ancora, con spregiudicata arroganza, si sente “padrone” di Lecce e ha la presunzione di poter disporre delle istituzioni a suo piacimento e per i suoi giochini, senza capire che quell’era è definitivamente chiusa. Basterebbe rileggere le preferenze personali uscite dalle urne un anno fa. E basterebbe ascoltare la rabbia degli elettori di centrodestra riversata in queste ore sui social per la resa dei propri rappresentanti rispetto al ritorno al voto, una rabbia pari alla sincera delusione di Giliberti, Messuti e dei consiglieri di Direzione Italia, i soli che coerentemente fin da lunedì hanno manifestato davvero l’intenzione di dimettersi. Ora si aprono due possibilità: un accordo (accordicchio) sul bilancio con un paio di transfughi o il commissariamento. In entrambi i casi, si tratta di soluzioni di ripiego, deboli e, soprattutto, dannose per la città. Ma le responsabilità stavolta sono chiare. Non c’è più alcuna sentenza da aspettare dopo la farsa di ieri pomeriggio. cs

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