Quando al Martinica entrò Alain Delon (e il mondo si fermò)

Quando al Martinica entrò Alain Delon (e il mondo si fermò)
di Leda CESARI
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Martedì 24 Aprile 2018, 21:18
Ah, se quei divanetti di pelle rosso amaranto potessero parlare…
Racconterebbero per esempio lo sgomento di quel giorno dei fantastici ’70 in cui, illuminato nella sua bellezza un po’ gaglioffa dal lampadario di cristallo che ancora accoglie i clienti come il primo giorno del suo fedele servizio, si presentò Alain Delon, a Lecce per il Premio Valentino, a prendere un caffè. Così, come se nulla fosse, uscito come per magia da un set di gangster movie: bello e dannato, come da copione, e avvolto in un cappotto di pelle nera lungo fino a terra, come moda degli anni Settanta imponeva.
Ma voi pensate che il signor Antonio Attanasio, classe 1941 e memoria da Pico della Mirandola, fosse all’epoca rimasto impressionato da cotanta avvenenza, da cotanta divistica allure? Macché. Di quel momento fulgido per la storia del suo bar, infatti, il signor Antonio Attanasio, «figlio della guerra» – così si autodefinisce pensando all’anno della sua nascita – non conserva
neppure una foto, un’immagine, un selfie che dir si voglia.
Nulla di nulla: non uno straccio di testimonianza di quell’“evento” – ma quello lo era davvero, un evento - affidato quindi solo alla capacità mnemonica di un giovanotto che ancora battaglia, appunto, come il giorno di primo sollevamento delle serrande di corso Vittorio Emanuele 23: 50
anni di presenza sul campo giusto domenica scorsa, l’8 aprile. Una ricorrenza festeggiata a bar chiuso, «come ogni domenica», racconta con piglio deciso e di piccata replica alle presenti circostanze, e forse con qualche ragione. Sono infatti assai diversi i tempi da quando, quell’8 aprile del 1968, Attanasio inaugurò il Bar Martinica rilevandolo da un arredatore-torrefattore
Mokaffé, Antonio De Vitis, che ne aveva inizialmente fatto il suo biglietto da visita e aveva affidato la questione arredamento all’architetto Beppe Genovesi di Lucca, chiudendolo poi
nel 1966. «La mia famiglia era numerosa: eravamo 7 figli », continua il signor Antonio,
«ed io avevo iniziato a lavorare quando avevo 9 anni, cioè quando facevo la quarta elementare». Così bar fu, e «“Martinica”, Paese da cui arrivava il miglior caffè del
mondo», racconta ancora il signor Antonio, cui però non sfugge la grande diffusione
del gusto esotico di quegli anni, perché a Lecce nacque negli stessi anni, «e per mano
dello stesso arredatore», il Bar Paranà (vicino all’Aci) e poi pure il Bar Commercio, anch’esso più o meno coevo. Arredamento firmato iniziale, quindi, lo stesso che si può ammirare oggi; furono aggiunti invece i tre deliziosi tavolini francesi d’antiquariato che arrivavano direttamente
dagli Champs-Élysées e che andarono ad arricchire i divanetti rossi iniziali, tinti per l’occasione ma poi riportati al colore primigenio («“Chi ti ha autorizzato?”, mi rimproverò
»). Corso Vittorio Emanuele, ça va sans dire, era strada profondamente diversa da
quella odierna. E il signor Antonio, con la sua memoria prodigiosa, ricostruisce ogni sfumatura
di quell’affresco: «Andando dal Duomo a piazza Sant’Oronzo, la prima era la cartoleria De Vergori, che c’è ancora. Accanto c’era la pellicceria Campobasso, i cui locali vennero poi venduti ai gioiellieri Vitti - prima Oronzo e poi il figlio Giuseppe – dove ora ci sono De Leo e di
fronte il negozio di ricami per turisti. Accanto a Vitti c’ era il negozio di dischi La Greca, che poi si trasferì nei locali di Andretta… Di fronte c’erano la farmacia Giubba e poi un negozio di oggetti sacri che nel 1973 andò via…». E poi la Pelletteria Abruzzese, durata fino a ieri, i Fratelli Rossi,Di Battista, il fotografo Pino Leone, la gioielleria Leone, «che c’è ancora, e poi la Profumeria Franca…».
Ecco perché al Bar Martinica non c’è bisogno di foto: perché ogni particolare di quei tempi è scolpito nella mente del signor Antonio («Ho speso una vita qua dentro »), che prosegue: «Di fronte a noi c’era la scuola Oriani, e sopra abitavano il dottor Tortorella e, al primo piano,
il tenore Giuseppe Mantovano. Quasi di fronte avevamo l’asilo delle Suore del Saraceno.
Per questo, pensi, sono stato quasi dieci anni senza licenza di somministrazione degli
alcolici: ci avevano concesso solo quella per la vendita estiva della birra, che durava quattro mesi. Però si lavorava comunque una meraviglia: venivano da tutta la provincia di Lecce, per comprare al Bar Martinica, perché ero fornito di tutto e avevo ben 8 collaboratori che mi consentivano di effettuare anche servizio a domicilio.
Servivamo le Poste centrali, la Chiesa greca… inviavamo granite e gelati p r a t i c a m e n t e
ovunque». Alta qualità, poca concorrenza: «All’epoca il Bar del Duomo già esisteva, ma aveva cambiato diverse gestioni. Poi c’era il Bar Cin Cin, che era della famiglia Guido e lavorava da quando era stato costruito il palazzo, nel 1938». Il centro storico, poi, era densamente popolato:
c’erano gli uffici comunali, per esempio quelli dell’Anagrafe, e nelle case abitavano magari in 7/8 persone, «ma il pasticciotto se lo compravano». E non solo quello: centinaia di caffè al giorno, rustici («allora me li faceva il Bar Domino»). Piazza Mazzini era ancora più affine alla campagna che alla città: «C’erano solo il Jolly Hotel e un muretto a secco della proprietà Martirano… via Nazario Sauro», ricorda ancora Antonio Attanasio, «non era neanche asfaltata».
Al Bar Martinica, Alain Delon a parte, approdavano molti vip a passeggio per la
città, da Arnoldo Foà dopo il teatro a Enrico Beruschi negli anni Ottanta, passando per Romano Prodi negli anni Novanta, all’epoca del suo tour in pullman pro Ulivo; poi pure il magistrato Francesco Saverio Borrelli. Ma ospiti vip arrivano inattesi ancor oggi: «Qualche settimana fa è arrivato Tullio Solenghi a prendere un caffè. Il dottor Cataldo Motta, invece, ama le mie granite e la mia cioccolata calda.
Così anche molti suoi colleghi ». E poi, sì, davanti al “Martinica” passano tanti, tanti turisti: «Con la bottiglietta d’acqua già in mano, però, per chiedere di usare il wc».
D’altronde i bagni pubblici, in città, scarseggiano, è noto, «ed invece nel ’56 il sindaco
Oronzo Massari aveva fatto piazzare più toilette in giro per Lecce – alle spalle dell’Oriani,
al vecchio Fazzi, in via Lazio, al Costa, in viale Marconi, in via Cavallotti, e non c’era la
gente che c’è in giro oggi… un po’ di più giusto nei giorni del mercato. Però si consumava.
Oggi no. Anche per questo sto chiuso la domenica».
Difficile, infatti, far sopravvivere bene un bar abituato a un centro storico un tempo pieno di studi
professionali, dunque di potenziali clienti: giusto perché la gestione è familiare, e il signor
Antonio condivide onori e oneri con la moglie Rina e i figli Alessandro e Luca: «Prima, qui, c’erano quattro studi notarili in 200 metri: Falco, Di Pietro, Costa e Franco, sul Credito Italiano. Idem dicasi per gli avvocati: Petrucci, Rella, Lisi. Ora c’è l’ufficio Cultura del Comune, per esempio, ma i clienti sono purtroppo molti di meno», osserva Attanasio, che però si re-illumina
prontamente quando la conversazione tocca un’altra delle attrattive del bar (oltre ai gelati fatti come una volta): i quadri. Il signor Antonio, infatti, è un estimatore d’arte, e al “Martinica” ha di tutto, da Edoardo De Candia («Veniva al bar e mi vendeva le sue opere, poi gli compravamo
le bottiglie di Martini facendo le collette ») a Ugo Tapparini e Sandro Bellomo, pittore
romano che in estate dipinge sul corso, a pochi passi dal bar. Regolarmente appesi o poggiati alle vetrinette interne del bar, tra un bacio di dama e un fruttone, muti testimoni di tutto quel tran-tran e di quel cambiare continuo di insegne e di volti in un centro storico all’epoca invaso dalle auto senza alcuna regola, all’epoca, ma pure vivo e pulsante: «Qui c’erano i migliori negozi della città, da Di Varese a Console, dalla Singer a Luisa Spagnoli. Ma c’erano anche i
giocattoli del “Disco rosso”, il macellaio Archimede, Andretta, il fioraio Franco Puzzovio, un rigattiere, un ciabattino a palazzo Carrelli, Marasco e Mannarini, che vendevano vestiti, le calzature del “Sotterraneo”. Era tutto pieno di vita e di gente, con le Bianchine
degli impiegati Enel e Sip la mattina…. Bisognava spingere, una volta, per entrare
al Bar Martinica».
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