Il sindaco Salvemini: «Patto per la città fino al 2022 o mi dimetterò»

Il sindaco Carlo Salvemini
Il sindaco Carlo Salvemini
di Paola ANCORA
8 Minuti di Lettura
Domenica 25 Febbraio 2018, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 17:56

«Non è sufficiente approvare il bilancio. Chi intende continuare a lavorare al servizio della città, evitando il commissariamento, deve siglare un patto politico chiaro fino al 2022». Non ci sono altre strade, per il sindaco Carlo Salvemini, se non quella di un’alleanza larga, plurale, fondata «sull’arricchimento del programma votato dagli elettori». No alla navigazione a vista, dunque, né ai ricatti o agli accordicchi.
Sindaco, venerdì il centrodestra ha ribadito di non avere le 17 firme necessarie per lo scioglimento del Consiglio. Lei ha parlato di una «strategia fallita». Ci spieghi perché.
«Chi, come il candidato sindaco Mauro Giliberti e l’ex sindaco Perrone, aveva un seggio in Consiglio e ha comunque firmato i ricorsi per contestare l’assegnazione del premio di maggioranza, intendeva chiaramente impedire la governabilità, non - come si è detto - ristabilire la rappresentatività in Aula. Hanno avuto mesi per giungere a questo appuntamento, convinti sin dall’inizio delle loro ragioni. Ma alla fine, sono mancate le dimissioni e persino il coraggio politico di riconoscere che una strategia lungamente predisposta è fallita. È stato emblematico che a prendere la parola ieri - dopo il fallito tentativo di raccogliere le 17 firme - non siano stati né Giliberti né Perrone, firmatari dei ricorsi, quasi a non volersene nemmeno assumere la responsabilità».
Qualcuno dei consiglieri di centrodestra ha cercato un confronto con lei in questi giorni?
«No. L’evoluzione dei fatti è stata molto rapida. Mi si è prima rimproverato di non aver rassegnato le mie dimissioni e poi si è detto che avrebbero raccolto le firme per mandarmi a casa. Infine ci si è fatti scudo dell’assenza di una consigliera comunale per nascondere divisioni che erano evidenti. Un tentativo confuso, maldestro e anche ben compreso dalla stragrande maggioranza dei leccesi».
Ha sostenuto che non si deve equiparare una qualsiasi intesa a un inciucio, mentre il suo vice Delli Noci apriva a tutti «gli uomini liberi del centrodestra». Qual è il perimetro ideale e valoriale che definisce un’alleanza politica, rendendola diversa da un inciucio? O di inciucio è lecito parlare soltanto quando a concludere accordi sono i propri avversari?
«La politica ha il compito di costruire spazi di dialogo e mediazione, ai quali non si può preventivamente assegnare il significato di una decadenza politica o di un arretramento etico. L’inciucio allude a un accordo sottobanco. La politica è costruzione di accordi alla luce del sole e sono quelli che io intendo sottoscrivere, come ho fatto con Alessandro Delli Noci. Nessuno, oggi, può sostenere che in quella occasione si sia costruita una intesa al ribasso. Dobbiamo liberarci dall’idea che ogni compromesso sia un accordo siglato a danno dell’interesse generale. Diversamente non capiremmo come in Germania conservatori e socialdemocratici governino insieme da anni. Ne parlava lo stesso Sabino Cassese ieri in università. Intendo gestire questo passaggio allo stesso modo, partendo dal bilancio di previsione. Misurerò la possibilità di siglare un patto di governo per Lecce sino alla scadenza del mandato nel 2022. Non sono interessato solo ai voti per il bilancio. Chiedo qualcosa di più importante. Non per me, per la città».
La metà dei consiglieri dell’attuale maggioranza sono personalità che lei ha combattuto per anni. Con chi immagina di siglare questo accordo? Chi sono gli «uomini liberi del centrodestra?
«In Aula siedono amministratori di lungo corso e nuovi consiglieri. Si tratta di capire se in questa eterogeneità di biografie, prevalgano quelle fortemente segnate dal passato e da una “concezione “proprietaria” delle istituzioni, invece di quelle di chi si è posto e si pone come amministratore al servizio della propria città. Bisogna capire chi, fra i 17 consiglieri eletti con le liste a sostegno di Mauro Giliberti, si riconosce nelle parole dell’ex sindaco Perrone quando afferma che «è meglio il commissariamento di 15 mesi del governo Salvemini», a prescindere da quello che proporremo».
Il centrodestra l’accusa però di essere stato sordo alle proposte presentate fino a oggi.
«Chi mi rimprovera chiusure, non si è finora nemmeno predisposto a presentare proposte. Quando ne sono arrivate di buon senso e valore, allora le abbiamo approvate senza difficoltà. Penso all’utilizzo dell’imposta di soggiorno per investimenti sui servizi turistici proposta dal consigliere Antonio Finamore o all’attenzione sui temi della sicurezza urbana, mozione predisposta dal consigliere Alberto Russi (entrambi di Grande Lecce, ndr). Quando invece una lunga discussione sulla mobilità si è risolta con una mozione in cui si chiedeva al sindaco di ripristinare il senso di marcia su viale Marconi, abbiamo affermato la volontà politica di mantenere le cose come stavano. Non ci sono chiusure pregiudizievoli, ma spazi di confronto. Anche Giliberti, che non ho ancora compreso se è il capo della coalizione, mi ha rimproverato di non tenere conto delle sue idee. Ma io sono quello che gli ha proposto la presidenza del Consiglio: mai prima di oggi quel ruolo era stato offerto a un avversario. Per il resto, non è colpa mia se non riesce a partecipare ai lavori nelle commissioni e se la sua presenza in Consiglio è intermittente».
È una figura nuova sulla scena politica cittadina. Non lo riconosce come un interlocutore?
«Lo considero meno segnato da pregiudizi, da ruggini, arroganze e solipsismi e avrei piacere e interesse ad averlo come interlocutore, ma purtroppo non ho spesso modo di incontrarlo e parlarci. Vorrei anche capire da lui che ruolo intende assolvere in questa fase: è interprete della linea politica che sostiene che il commissariamento sia meglio del dialogo con l’amministrazione Salvemini?».
Direzione Italia e il consigliere Messuti del gruppo misto hanno proposto la sottoscrizione di un patto anti-inciucio. Cosa ne pensa?
«È la traduzione della linea politica di chi ritiene il commissariamento una opzione preferibile, per la città, a un governo di consiliatura su scelte condivise. Tradisce il sentimento politico con il quale è stata vissuta l’elezione del giugno 2017, ritenuta una imprevista e insopportabile anomalia, da risolvere al più presto. Chi si sente padrone del consenso e delle istituzioni non accetta l’idea che esse siano al servizio della comunità».
Non teme che un accordo, pur stretto alla luce del sole, di fatto la renderebbe strumento dei suoi avversari che potrebbero staccare la spina al momento a loro più congeniale?
«Ho avuto la serenità e la forza di siglare un accordo politico con Delli Noci, che è stato il candidato sindaco del 17% dei cittadini di questa città. Anche in quella occasione si scatenò un profluvio di offese politiche che anticipava una spartizione vergognosa di incarichi e postazioni a danno dei leccesi. Poi le cose sono andate diversamente. Non sono interessato a cercare voti per l’occasionale approvazione del bilancio, che mi metterebbe nelle condizioni di una navigazione a vista. Io chiedo un accordo politico programmatico per governare Lecce fino al 2022».
Sindaco sulle future alleanze, quanto pesano i rapporti fra la sua amministrazione e la Regione di Emiliano? In molti ritengono che regista di tali accordi sia proprio, in queste ore, il capo di gabinetto del presidente di Puglia, Claudio Stefanazzi. È così?
«Posso farle leggere i messaggi scambiati con il capo di gabinetto che mi ha incoraggiato ad andare avanti. Nel centrodestra leccese non si accetta l’idea che si possa vivere la politica e il proprio impegno al servizio delle istituzioni in modo diverso da come lo si è praticato negli ultimi 20 anni. Io non ho trasformato Palazzo Carafa in un comitato elettorale in questi mesi. Lo sanno tutti: dirigenti, funzionari e dipendenti. Abbiamo consentito a ex sindaci candidati alle Politiche di muoversi liberamente per lasciare santini e fac simile elettorali nei corridoi. È un modo diverso di vivere le istituzioni e chi non ne coglie la differenza è incredulo rispetto al fatto che non io non abbia avuto nessuna conversazione con la Regione nella gestione di questo passaggio. Con il presidente Emiliano sono impegnato in ben altro, cioè nel creare le condizioni per far giungere a Lecce milioni attraverso una intesa negoziale su contenuti e scelte strategiche di sviluppo».
Bilancio di previsione: ci dica tre proposte in esso contenute dal forte significato politico.
«Non voglio dare anticipazioni sul bilancio. Ma confermo che ci sarà certamente la Tari sociale, cioè l’esenzione totale per le fasce deboli fino a 5.000 euro e al 50% entro i 10mila euro».
Le modifiche apportate negli anni passati al Regolamento sul funzionamento del Consiglio comunale hanno abbassato il numero di consiglieri necessario all’approvazione del bilancio. Le basterà poco a farlo passare, anche solo l’assenza di qualche consigliere di centrodestra.
«Come ho detto, non è rilevante la sola approvazione del bilancio, per la quale teoricamente potrebbero bastare anche i 14 voti della nostra coalizione. Sarebbe una condizione insufficiente, mi dimetterei. Chi vuole veramente che questa esperienza prosegua, deve manifestarlo apertamente in Aula, con una dichiarazione di voto e con la sigla di un patto fino al 2022 alle condizioni che si determineranno nel confronto politico. Il programma non può essere cancellato, ma può essere integrato e migliorato. Esiste una unica condizione inaccettabile».
Quale?
«Qualcuno ha sostenuto una tesi originale, in base alla quale io dovrei attuare il programma di Mauro Giliberti. È impraticabile, non solo per ragioni di lettura dello spirito delle leggi, ma per coerenza e dignità politica».

© RIPRODUZIONE RISERVATA