Tutti in coda per un lavoro
Centri per l’impiego al bivio
«Ma qui manca tutto»

Tutti in coda per un lavoro Centri per l’impiego al bivio «Ma qui manca tutto»
di Pierpaolo SPADA
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Lunedì 18 Giugno 2018, 05:55 - Ultimo aggiornamento: 10:22
Centri per l’impiego sotto i riflettori, ma sempre meno in grado di offrire opportunità di lavoro alle persone che vi si rivolgono. La “fame” di posti è altissima, le risposte sempre più scarse. Il Governo promette una svolta con un pieno di assunzioni, ma anche nel Salento le strutture sono sempre meno capaci di dare risposte tra personale scarso (e in bilico nel passaggio dalle Province alle Regioni) e computer obsoleti. Tra l’incudine e il martello. E a pagare, in un territorio ancora in forte crisi, sono i disoccupati.
L’allarme, innanzitutto. A lanciarlo è Silvio Astore, direttore dei Centri per l’impiego di Maglie e Poggiardo e rappresentante sindacale per la Cisl. «Il problema - dice - risiede nell’incapacità dei governi di gestire quelli che una volta si chiamavano uffici di collocamento e, dunque, di alimentare le attività funzionali incrociando domanda e offerta». Astore non parla esplicitamente di flop, ma il senso è quello.
Colpa della politica? Astore annuisce: «Sono stati dimenticati». E al nuovo Governo che con il ministero del Lavoro affidato a Luigi Di Maio oggi intende riportarli al centro attraverso la gestione del reddito di cittadinanza e un investimento di 2,1 miliardi di euro per il potenziamento del personale e l’ammodernamento delle strutture, il messaggio del sindacalista-dirigente è ancor più diretto: «Cari politici, li rimetterete in moto solo se saprete creare le opportunità di lavoro senza disperdere il patrimonio professionale esistente».
Sono parole che giungono a due settimane dalla scadenza - 1 luglio - del passaggio dei dipendenti dei Cpi dalla Provincia alla Regione: uno snodo che in tanti temono perché potrebbe comportare per gli stessi la perdita lo status di dipendenti pubblici.
I numeri, dunque. E qui il quadro complessivo non è edificante. I dati (Eurostat, Istat e Anpal) dicono che l’Italia è fanalino di coda in Europa per dimensionamento dei Cpi. Sono attivi 556 centri con 8mila operatori a fronte dei 110mila in servizio in Germania e dei 60mila della Gran Bretagna. E il budget riservato alle politiche del lavoro in funzione dei servizi per l’impiego? Di 650 milioni di euro all’anno. E cioè vuol dire che per ogni disoccupato l’Italia spende 200 euro circa a fronte dei 6mila che se ne investono in Germania: sono medie nazionali che trovano riscontro, stime alla mano, anche in provincia di Lecce. Sempre secondo Anpal, per altro verso, si calcola che a fronte di un flusso complessivo agli sportelli di 2,5 milioni di persone nel 2017 (Istat), la percentuale di collocamento dei 556 centri per l’impiego italiani sia stata pari circa al 3%, che in Francia e Germania diventa il 20. Il Mezzogiorno, anche in questo caso, risulta la porzione più carente del Paese. E il Salento non fa eccezione, anzi. Anche qui le code per trovare un posto di lavoro non mancano, «ma l’indice di collocamento è davvero molto basso», ammette Astore.
Occorre ricreare un modello da zero. E rilanciare le sedi, implementare e riqualificare il personale ma, soprattutto, favorire le attività che consentano ai funzionari di fornire risposte concrete alle persone che cercano un lavoro è l’unico modo, per il dirigente salentino, di restituire un senso reale ai centri per l’impiego che, in provincia di Lecce, sono in tutto 10 e occupano 106 dipendenti.
«È la politica che deve dare lavoro – insiste il dirigente – ed è questo che nessuno comprende. L’attività dei centri è copiosa. Noi abbiamo le file di disoccupati allo sportello perché, da un anno a questa parte, con l’introduzione dei cosiddetti “Patti di servizio” riceviamo tante persone con le quali svogliamo dei colloqui di un’ora per definire una profilazione propedeutica al riconoscimento dello stato di disoccupazione e, dunque, della relativa indennità (Naspi). E questo flusso crea anche un problema di sovraccarico che fa emergere la conseguente esigenza di implementazione». Astore riconosce anche una timida ripresa delle adesioni al sistema da parte delle imprese: «Abbiamo qualche azienda operante nel settore della ristorazione che si è rivolta a noi per cercare camerieri che, però, non si trovano. Come pure calzaturifici in cerca di manodopera specializzata».
Il problema è che il sistema non funziona. «E’ assurdo che, dopo anni di abbandono, i centri per l’impiego siano sbattuti sotto i riflettori perché ritenuti inutili, come se la mancanza di lavoro dipendesse dal loro mancato funzionamento. I Cpi sono il luogo dell’incontro di domanda e offerta ma, se manca la materia prima, che colpa ne abbiamo? Nemmeno il nuovo Governo credo che abbia focalizzato il problema: non basta potenziare il personale, la politica deve creare i presupposti perché si generi lavoro e attraverso nuove competenze – conclude Astore - potremo gestire in maniera più efficace le richieste di lavoro riuscendo meglio a competere anche con le varie agenzie interinali».
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