L’allarme, innanzitutto. A lanciarlo è Silvio Astore, direttore dei Centri per l’impiego di Maglie e Poggiardo e rappresentante sindacale per la Cisl. «Il problema - dice - risiede nell’incapacità dei governi di gestire quelli che una volta si chiamavano uffici di collocamento e, dunque, di alimentare le attività funzionali incrociando domanda e offerta». Astore non parla esplicitamente di flop, ma il senso è quello.
Colpa della politica? Astore annuisce: «Sono stati dimenticati». E al nuovo Governo che con il ministero del Lavoro affidato a Luigi Di Maio oggi intende riportarli al centro attraverso la gestione del reddito di cittadinanza e un investimento di 2,1 miliardi di euro per il potenziamento del personale e l’ammodernamento delle strutture, il messaggio del sindacalista-dirigente è ancor più diretto: «Cari politici, li rimetterete in moto solo se saprete creare le opportunità di lavoro senza disperdere il patrimonio professionale esistente».
Sono parole che giungono a due settimane dalla scadenza - 1 luglio - del passaggio dei dipendenti dei Cpi dalla Provincia alla Regione: uno snodo che in tanti temono perché potrebbe comportare per gli stessi la perdita lo status di dipendenti pubblici.
I numeri, dunque. E qui il quadro complessivo non è edificante. I dati (Eurostat, Istat e Anpal) dicono che l’Italia è fanalino di coda in Europa per dimensionamento dei Cpi. Sono attivi 556 centri con 8mila operatori a fronte dei 110mila in servizio in Germania e dei 60mila della Gran Bretagna. E il budget riservato alle politiche del lavoro in funzione dei servizi per l’impiego? Di 650 milioni di euro all’anno. E cioè vuol dire che per ogni disoccupato l’Italia spende 200 euro circa a fronte dei 6mila che se ne investono in Germania: sono medie nazionali che trovano riscontro, stime alla mano, anche in provincia di Lecce. Sempre secondo Anpal, per altro verso, si calcola che a fronte di un flusso complessivo agli sportelli di 2,5 milioni di persone nel 2017 (Istat), la percentuale di collocamento dei 556 centri per l’impiego italiani sia stata pari circa al 3%, che in Francia e Germania diventa il 20. Il Mezzogiorno, anche in questo caso, risulta la porzione più carente del Paese. E il Salento non fa eccezione, anzi. Anche qui le code per trovare un posto di lavoro non mancano, «ma l’indice di collocamento è davvero molto basso», ammette Astore.
Occorre ricreare un modello da zero. E rilanciare le sedi, implementare e riqualificare il personale ma, soprattutto, favorire le attività che consentano ai funzionari di fornire risposte concrete alle persone che cercano un lavoro è l’unico modo, per il dirigente salentino, di restituire un senso reale ai centri per l’impiego che, in provincia di Lecce, sono in tutto 10 e occupano 106 dipendenti.
«È la politica che deve dare lavoro – insiste il dirigente – ed è questo che nessuno comprende. L’attività dei centri è copiosa. Noi abbiamo le file di disoccupati allo sportello perché, da un anno a questa parte, con l’introduzione dei cosiddetti “Patti di servizio” riceviamo tante persone con le quali svogliamo dei colloqui di un’ora per definire
Il problema è che il sistema non funziona. «E’ assurdo che, dopo anni di abbandono, i centri per l’impiego siano sbattuti sotto i riflettori perché ritenuti inutili, come se la mancanza di lavoro dipendesse dal loro mancato funzionamento. I Cpi sono il luogo dell’incontro di domanda e offerta ma, se manca la materia prima, che colpa ne abbiamo? Nemmeno il nuovo Governo credo che abbia focalizzato il problema: non basta potenziare il personale, la politica deve creare i presupposti perché si generi lavoro e attraverso nuove competenze – conclude Astore - potremo gestire in maniera più efficace le richieste di lavoro riuscendo meglio a competere anche con le varie agenzie interinali».