Una casa ai parenti del boss. Monosi: «Marti e D'Autilia continuavano a sollecitarmi»

Una casa ai parenti del boss. Monosi: «Marti e D'Autilia continuavano a sollecitarmi»
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Domenica 21 Ottobre 2018, 10:28 - Ultimo aggiornamento: 11:13
di Erasmo MARINAZZO
Un alloggio per i familiari del boss e l'interessamento dei politici. Anzi, molto più di un interessamento: «sollecitazioni» come dice l'ex assessore comunale Attilio Monosi tirando in ballo il senatore Roberto Marti e l'ex consigliere comunale Damiano D'Autilia, «telefonate e incontri» per trovare una soluzione in tempi rapidi.
Pressioni, insomma, come quelle che lo stesso ex assessore ha descritto in un altro interrogatorio citando anche l'ex assessore Luca Pasqualini. Ora il secondo passaggio: stesso clima, personaggi diversi ma solo in parte. Monosi ha parlato davanti ai pm anche della casa confiscata alla mafia e assegnata al fratello del boss della Scu, Pasquale Briganti meglio conosciuto con il nome di Maurizio. E ha confermato ciò che viene riportato in uno dei 29 capi di imputazione dell'inchiesta sul mercimonio degli alloggi popolari come moneta di scambio con il consenso elettorale. Si seguì una procedura regolare? No. «Effettivamente non vi erano strade che consentissero l'assegnazione di un alloggio a Martina»: Questo l'incipit di Monosi nel secondo e ultimo interrogatorio tenuto con i pm della Procura di Lecce, Roberta Licci e Massimiliano Carducci alla presenza degli avvocati difensori Luigi Covella e Riccardo Giannuzzi e dei finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria.
Fatti che vedono Monosi indagato con Marti, con D'Autilia, con il dirigente comunale Pasquale Gorgoni, con Rosario Andrea Greco (autista di D'Autilia) e con i coniugi Antonio Briganti (fratello del boss della Scu, Maurizio Briganti) e Luisa Martina. Monosi ha parlato e ha di nuovo tirato dentro Marti fornendo su un piatto d'argento alla Procura nuove fonti di prova, mentre prima a carico del senatore c'erano solo le intercettazioni telefoniche che per essere utilizzate avranno bisogno dell'autorizzazione del Parlamento.
Marti, dunque. E, poi, D'Autilia. Senza dimenticare di citare anche l'ex sindaco Paolo Perrone per sostenere che era al corrente del caso Briganti. «In ordine alla così detta vicenda Antonio Briganti, confermo che è nata da una telefonata di Roberto Marti, seguite da telefonate ed incontri con Damiano D'Autilia e Andrea Greco, finalizzata a trovare una soluzione per Briganti e Martina ai quali si era incendiata la casa. Effettivamente non vi erano strade che consentissero l'assegnazione di un alloggio alla Martina, così come confermatomi dal sindaco Perrone. Anzi, mi correggo, nel senso che al sindaco ne parlai quando venne fuori la questione del Gens, società cooperativa con finalità sociali della quale D'Autilia, per quanto ne so, era consulente del lavoro. In effetti l'assegnazione dell'alloggio alla Gens per finalità sociali, poteva essere la strada per ottenere il risultato per il quale venivo sollecitato sia da Marti che da D'Autilia che da Greco: nulla so della richiesta di rimborso, né della richiesta di contributo a carico del fondo di rotazione a favore di Briganti relativamente alle spese sostenute e da sostenere per l'alloggio presso i Giardini d'Atena. Anzi su richiesta di D'Autilia ho contribuito volontariamente a fare una colletta per Briganti di 500 euro per il pagamento dei canoni arretrati».
Ma perché perorare la causa di Antonio Briganti e Luisa Martina quando pendevano decine di richieste di una casa popolare (migliaia di pratiche ferme, secondo quanto detto dallo stesso Monosi)? La risposta fornita dagli inquirenti si trova nella parte del capo di imputazione riguardante i due assegnatari: «provvedendo Rosario Greco, su incarico fornito da omissis (il senatore Marti è indicato così poiché non è stata ancora avviata la procedura per chiedere l'autorizzazione al Parlamento per utilizzare le intercettazioni, ndr) e da D'Autilia, a sostenere gli oneri economici relativi alla gestione della situazione abitativa di Antonio Briganti (fratello di Pasquale Briganti del clan Briganti, costituente bacino elettorale di Luca Pasqualini, delfino di omissis)...». Abuso di ufficio, tentato abuso di ufficio, falso aggravato e tentato peculato: queste le ipotesi di reato ravvisate dalla Procura e vagliate anche dal gip Giovanni Gallo nell'ordinanza che tiene agli arresti domiciliari dal 7 settembre Monosi e gli altri politici. Vagliate escludendo il coinvolgimento di Marti.
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