Quell'istinto primordiale che ci fa votare un "capo forte"

Quell'istinto primordiale che ci fa votare un "capo forte"
di Tomaso PATARNELLO
3 Minuti di Lettura
Domenica 3 Giugno 2018, 19:41
In fondo siamo animali. Pensanti, ma pur sempre animali. E non dobbiamo dimenticare che la nostra capacità di sviluppare pensieri elaborati e relazioni sociali complesse è relativamente recente. Homo sapiens ha 200 o 300mila anni al massimo. Pochissimo se confrontati con i 4 miliardi anni di esistenza della vita sulla Terra o con i 600 milioni di anni della cosìdetta “esplosione del Cambriano”.

Non è quindi sorprendente che in certe circostanze il nostro istinto animale prenda il sopravvento sulla più sofisticata (ed evolutivamente molto recente) capacità di analisi di situazioni complesse. Quando ci sentiamo in pericolo, minacciati, le decisioni che prendiamo vengono guidate da quella parte del nostro cervello costruita in centinaia di milioni di anni con un preciso scopo: non soccombere nella darwiniana lotta per la sopravvivenza.
I conflitti nel mondo animale sono essenzialmente dovuti alla competizione per le risorse (territorio, cibo, acqua). Vince il più adatto, che quasi sempre è il più forte. Per l’uomo non è molto diverso. Quando viene percepita una situazione di pericolo la risposta è quella ancestrale, l’esibizione di forza che in passato conduceva alle guerre. Oggi i conflitti si cerca di comporli in modo non cruento ma in situazioni di pericolo o in situazioni in cui viene minacciato il nostro “benessere” l’esibizione di forza rimane la risposta più istintiva, sia essa in forma verbale o di comportamento aggressivo. E siccome siamo animali sociali con delle gerarchie e dei capi, abbiamo delegato al democratico sistema elettivo il nostro bisogno animale di avere un leader, un capo a cui affidare la difesa dei nostri interessi. In due parole, il nostro “avvocato difensore”.

Sociologi e i politologi si interrogano su quali siano i meccanismi che orientano le scelte degli elettori spendendo fiumi di inchiostro in elaborazioni di teorie e sottili analisi politiche. Quasi sempre però chi cerca di entrare nella testa degli elettori dimentica che il nostro cervello “ancestrale”, quello istintivo, in situazioni di pericolo e/o difficoltà prende il sopravvento su quello razionale. Lo dimostra con i numeri un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista dell’Accademia delle Scienze USA (PNAS) che ha documentato come, nella aree con alti tassi di disoccupazione e povertà è di gran lunga preferito un leader autoritario rispetto ad un leader che gode di prestigio e stima per la sua competenza. Lo studio ha coinvolto 140.000 partecipanti ed ha considerato votazioni di vario genere (locali, nazionali e referendum) condotte negli ultimi 20 anni in 62 paesi, incluso il referendum per la Brexit e le ultime elezioni USA. Sono state analizzate le condizioni economiche nelle aree oggetto dello studio nelle quali è stata anche valutata la “reputazione” dei candidati in lizza.

Le risposte dei questionari dimostrano chiaramente che nelle aree ad alto tasso di povertà prevale la frustrazione per la propria condizione ed il senso di pericolo dovuto all’incertezza del futuro. Stati d’animo a cui si abbina la consapevolezza di non essere in grado con i propri mezzi di superare la situazione di difficoltà. Questi elettori non hanno dubbi nel ritenere che un capo forte sia la figura più adatta a risolvere i loro problemi e non ha importanza se il suo comportamento sia aggressivo e moralmente discutibile. Competenza e reputazione sono valori apprezzati solo nella are più ricche in cui gli elettori motivano la loro scelta in modo ragionato spesso valutando la moralità di chi deve essere eletto.

Negli ultimi tempi i candidati stimati e competenti non hanno avuto molto successo nel mondo. E nemmeno in Italia. Il loro consenso è stato così limitato e circoscritto ai centri urbani che sono stati definiti i candidati delle ZTL. I partiti che definiamo populisti, invece, hanno intercettano molto meglio il sentimento dei più poveri. Di quelli che si sentono minacciati, in pericolo, e sanno di non essere in grado di poter cambiare la loro condizione. La risposta è una delega incondizionata ad un leader forte, autoritario. Un capo “alfa” che risolva i problemi mostrando i muscoli e sbattendo i pugni sul tavolo. Una scelta non fatta con il lobo frontale, la parte più evoluta del nostro cervello, ma con l’amigdala, la parte più interna ed antica in cui hanno sede l’istinto di sopravvivenza e la risposta alla paura. Per dirla in una frase: “primum vivere, deinde philosophari”.



 
© RIPRODUZIONE RISERVATA