L'arte è riconoscenza nei confronti degli antenati

L'interno della Grotta dei Cervi
L'interno della Grotta dei Cervi
di Antonio ERRICO
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Domenica 8 Ottobre 2017, 21:00
In un articolo sulla “Lettura” del Corriere della Sera il regista Davide Ferrario ricorda quello che disse Andy Warhol cinquant’anni fa: in futuro tutti saranno famosi per quindici minuti. Ma oggi - dice Ferrario - Warhol completerebbe la sua frase più o meno così: tutti saranno famosi per quindici minuti ma dopo nessuno si ricorderà di loro.

Nell’era del digitale, che accumula tutto ma che nulla ricorda, l’arte e l’artista si consumano e si esauriscono nel presente. Dopo i quindici minuti che spettano a tutti e a tutto, si precipita nel pozzo senza fondo dell’oblio. Non c’è scrittore straordinario di questo tempo che possa essere tanto innocente da pensare di poter durare quanto Dante Alighieri, né pittore quanto Cimabue. Di quello che è oggi, domani non resterà niente se non un ammasso confuso, le opere non avranno gerarchia, sarà difficile compilare una qualsiasi storia dell’arte, della musica, della letteratura, del teatro, del cinema, perché tutto sarà durato un tempo uguale, tutto sarà durato quindici minuti, senza alcuna differenza di qualità, d’importanza. Certo, per fare una storia si potrà adottare il criterio delle classifiche, delle vendite. Ma questa è un’altra storia: è una storia di mercato.

L’arte è diventata provvisoria, come tutte le altre cose. L’era del digitale che ammassa la memoria produce questo destino.

Ma se si volesse portare il ragionamento all’estremo, se si volesse per un po’ travestirsi da provocatori, oppure se si volesse assumere la prospettiva del senso radicale, che è quello esistenziale, allora si potrebbe anche dire che poi, alla fine, non c’è nulla di nuovo, che è sempre stato nel modo in cui si ha paura che sia diventato o che possa diventare, che cambiano le forme ma non la sostanza dell’oblio. Probabilmente quello scrittore prodigioso di Lisbona che si rifugiava negli eteronimi di Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Alvaro de Campos, Bernardo Soares, quel signore che in realtà si chiamava Fernando Antònio Nogueira Pessoa, il senso radicale lo aveva compreso.

In una poesia – una delle sue più belle poesie – c’è un uomo che si avvicina alla finestra e guarda fuori. Vede le botteghe, i marciapiedi, le macchine passare, le creature che s’incrociano, i cani per la strada, il padrone di una tabaccheria che si affaccia sulla porta.

L’uomo che guarda dalla finestra pensa che il padrone della tabaccheria “lascerà l’insegna, io lascerò dei versi./ A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi./ Dopo un po’ morirà la strada dove fu stata l’insegna,/ E la lingua in cui furono scritti i versi./ Morirà poi il pianeta che gira in cui tutto ciò accadde”.
Poi pensa che forse in altri satelliti di altri sistemi, qualcosa di simile alla gente continuerà a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne, “sempre una cosa di fronte all’altra,/sempre una cosa inutile quanto l’altra,/sempre l’impossibile, stupido come il reale,/sempre il mistero del profondo certo come il sonno del mistero della superficie,/sempre questo o sempre qualche altra cosa o nè una cosa nè l’altra”.

Allora, se tutto finisce, se tutto deve finire, non è possibile pensare che l’arte possa durare più di qualsiasi altra cosa. Per un’opera – un poema, un dipinto, una musica - che dura cent’anni, centomila poemi, musiche e dipinti muoiono negli stessi anni, e nessuno può essere certo che l’opera che sopravvive sia migliore di quella che scompare. E’ solo il caso che decide il destino dell’arte. Nient’altro.

Si dice, dunque, che nell’era digitale i prodotti dell’arte dureranno di meno. Ma in fondo il processo è coerente con tutto quello che è accaduto nell’era pre-digitale. Prima si è scritto sulla pietra, per esempio; poi sulla pergamena e sulla carta; poi sui supporti digitali. La scrittura digitale probabilmente durerà meno di quella sulla carta come quella sulla carta dura di meno di quella sulla pietra.

I pittogrammi nella Grotta dei Cervi a Badisco sono lì da migliaia di anni. Se così è, ci si potrebbe anche domandare se e quanto valga la pena porsi il problema della memoria e della durata dell’opera.

L’uomo di Fernando Pessoa che guarda dalla finestra il problema non se lo pone oppure considera che è assolutamente inutile porselo: pensa che è una speculazione che non può produrre risultato. Lui continua a scrivere versi. Per se stesso, prima di tutto. Forse anche per i pochi che gli sono intorno. Forse, addirittura, per i molti della contemporaneità. Certamente non per i posteri, non per l’ambizione di durare, non per aspirazione verso la memoria. Forse per il passato. Per gli antenati.

Ecco. Magari si scrive, si dipinge, si fa musica, semplicemente per gli antenati. Per giustificare a chi c’è stato prima il proprio essere qui e ora. Come per dire: vedete? non sono inutile; non passo senza traccia; cerco di ripagarvi di quello che ho avuto da voi con quello che so fare meglio o soltanto con l’unica cosa che so fare.
Forse è questo solo il motivo per cui si lascia un colore su una tela, una pagina scritta sopra un foglio o su un file, una musica incisa in un disco.

Oltretutto si potrebbe anche sospettare che il pensare un’arte in funzione dei posteri costituisca un gesto di arroganza mentre il pensiero di un’arte per gli antenati rappresenti un sentimento di umiltà, di riconoscenza.
Ma poi. E’ difficile e forse anche insensato fare qualcosa per chi non esiste. E’ facile e anche doveroso fare qualcosa per chi è esistito. I posteri non esistono. Sono un’astrazione. Sono un’illusione.

Se si fa un percorso di ragionamento di questo tipo, il problema non riguarda più la durata della memoria dell’opera che facciamo ma la profondità della memoria che noi abbiamo e per la quale pensiamo ed elaboriamo un’opera.

Semmai, alla fine, chiunque faccia un’arte può solo avere speranza che un giorno, quando anche lui diventerà antenato, ci sia qualcuno che per gli antenati scriva un capolavoro o soltanto il suo inizio, che affreschi una volta o dia soltanto una pennellata, che componga una sinfonia o che strimpelli i quattro accordi del giro di Do.
 
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