Si scelga anche il meno peggio, ma andiamo a votare

di Giacinto URSO
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Domenica 25 Febbraio 2018, 20:57 - Ultimo aggiornamento: 21:02
Una doverosa, personale premessa non guasta. Pur essendo in età avanzata, non si è soggiogati dal passato. Si è, invece, fortemente impauriti per l’attuale presente, che, senza appropriate revisioni, sostenute dall’impegno corale, non conoscerà salutare futuro. Perciò, a costo di ripeterci ancora una volta, è d’obbligo rammentare che le campagne elettorali, in Italia, mai sono state un compendio armonioso di belle maniere, di misurati comportamenti, personali e collettivi, o di sobrie promesse. Anche dopo la proclamazione della nostra Repubblica attraverso il voto, quasi plenario, del 1946, esteso alla designazione dei Padri Costituenti, non sono mancati gli scontri tra le forze politiche e tra i candidati in campo per accaparrarsi il maggior numero di consensi.

Infatti, secondo i vari tempi, si sono alternate furiose battaglie ideologiche di notevole portata, che non sempre hanno concesso soverchia serenità di giudizio nelle scelte, essendo le stesse gravate da terribili tensioni internazionali e da un vero e proprio conflitto tra civiltà opposte. Però, tutto sommato, la sequela delle numerose occasioni elettorali, già svolte, nazionali, europee e locali, è riuscita, con ordine, a comprendere la posta in gioco, tessendo – a parte gli estremismi, mai mancanti – una normalità sufficiente anche sul piano dell’esatta contabilizzazione dei risultati numerici.

Purtroppo, da qualche tempo, i cangianti sistemi elettorali, tallonati da nuove norme, hanno inferto crescenti usure, rapportate, di sovente, allo stato di salute, dei partiti. Questi, negli ultimi lustri, hanno patito pesanti disservizi, opacità reiterate e serrate contestazioni. Spesso, sfrattati da miopie, dissacratorie oltre misura, sono divenuti macilenti, eticamente compromessi, stritolati da soverchie intemperie giudiziarie e surrogati, per modo di dire, da formule ambigue, da autocrazie crescenti, da movimenti sgangherati e da “civismi”inconcludenti di fantasioso, recente conio. In contempo, a seguito delle baldanze personalistiche di qualche personaggio, avido di potere esclusivo, sono state messe in angolo anche le rappresentanze dei corpi sociali intermedi, compresi importanti strumenti di mediazione e di inclusione. A ciò, sicuramente deplorevole, si è aggiunto un pauroso stato di palese catalessi della società nel suo complesso, precipitata nell’abulia, irrigidita negli orti domestici dal proprio interesse, pronta per comodo, a concedere deleghe e, in contempo, a maledirle attraverso sordi rancori e insani preconcetti. Fattori, con altri, di diffuso degrado, in parte provocato dalla lamentata vuotaggine politica e partitica, accompagnata da una decennale, devastante crisi economica, che ha accentuato le deviazioni, già praticate, e occluso qualsiasi ravvedimento operoso.

In conseguenza, anche il Parlamento, assieme ad altre Istituzioni significative, ha conosciuto un allineamento perverso nel mentre insorgenti artifici elettorali e anticostituzionali, passati per innovativi, hanno inquinato le salutari sorgenti del raccordo cittadini e politica, elettori ed eletti, provocando ripulse, foschi orizzonti e proiezioni nefaste di maleducazione democratica. Nel seno di queste anomalie, per giunta confusionarie e spesso aberranti, è nata mesi or sono, la nuova legge elettorale vigente, chiamata “rosatellum” in omaggio al suo primario autore, l’onorevole Rosato, capo-gruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati nella morente legislatura. Una invenzione spuria e poco meditata, che, oggi, per voce unanime, viene riconosciuta come “demenziale” e come “sciagura umana”, dotata di aspetti astrusi, che difficilmente consentiranno seria governabilità e qualità rappresentativa, avendo praticato distorsioni molteplici nella stravagante compilazione delle liste con danno ai territori e con salvagenti plurimi per gli intimi, garantiti da tracotanze insopportabili.

Aspetti insani, che ci stanno regalando una pessima, inedita campagna elettorale, appesantita dal disgusto marcato di vanità abbondanti, di promesse strabilianti, di dissidi intestini giornalieri e di stellari panzane.
Quest’ultime invase da una prosopopea, che condanna tutto un passato con buffe vanterie. Come rimediare a tutto ciò? Innanzi tutto, con la volontà di sortir fuori dai disagi esposti. Di riflettere, mille volte mille, prima delle scelte del prossimo quattro marzo, istruendosi e votando il meno peggio, che, anche nel più nero peggio, sussiste. In ogni caso, mai disertare le urne, né rifugiarsi, volutamente, nella scheda bianca o nulla. Lo impone la nostra Costituzione. Lo reclama la grave situazione. Lo esige il rischio dello sfascio, non lontano, lo pretende il buon senso civico da ritrovare. In poche parole, occorre raddrizzare assieme lo storto, costi quel che costi. Richiami, che valgono particolarmente per chi, afflitto da valide ragioni, si è trincerato nell’astensionismo, che non è la soluzione per contenere il malfatto e il malvissuto.

Non è accettabile che milioni di elettori decidano di non contare nulla e di agevolare i giochi delle minoranze, divenendo esuli in casa. Alzare le braccia rimane, in ogni caso, un segno di resa. Si ricordi, pure, da parte di tutti, che i nostri padri e nonni compirono sacrifici notevoli per non assentarsi dal voto. Perfino, tornarono appositamente in paese, in città da luoghi lontani di migrazione per partecipare alla comune festa delle Libertà ritrovate. E seppero donarci - tenendosi per mano e con flussi elettorali oltre il 90% - la Democrazia, la Repubblica, la Costituzione e scelte epocali, impedendo, in tal modo, la morte della Patria.


 
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