Le insidie dell’ignoranza e dei tuttologi che minano la democrazia

di Michele CARDUCCI
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Martedì 9 Gennaio 2018, 18:59
“Quando il tuo mondo è piccolo, lo devi allargare con le parole”. Con questa frase, lo scrittore argentino Jorge Luis Borges intendeva definire non solo l’atteggiamento tipico dei chiacchieroni, di coloro che parlano di tutto e su tutto, infarcendo il loro vaniloquio di formule tipo “è ovvio”, “è oggettivo”, “è logico”, “è normale” e via dicendo, così confessando la più pericolosa delle ignoranze, quella che Kant sintetizzò nella formula “pensare un oggetto non significa conoscerlo, e conoscerlo non significa comprenderlo”.
Borges, oltre a redarguirci sulla ignoranza mascherata dalle parole, intendeva dire due altre cose: da un lato, che la conoscenza non è un mero esercizio di pensieri e parole, ma esperienza di vita cosmopolitica, ossia di apertura al di là e oltre il proprio “piccolo mondo” vissuto; dall’altro, che la conoscenza, per accedere alla comprensione, richiede la comparazione ossia il confronto tra mondi. Insomma, conoscere, comprendere e comparare consistono in un vero e proprio impegno, fisico e mentale, di emancipazione dal condizionamento del primato esclusivo del proprio pensiero e della propria esperienza vissuta di “piccolo mondo”.

Per Borges, l’emancipazione dal condizionamento non poteva che realizzarsi in tre modi: studiando non per “discipline”, ossia per meri statuti astratti, ma per “punti di osservazione” della realtà, che è e resta unica; se possibile viaggiando, non da turisti ma da osservatori autoctoni dei luoghi altrui; leggendo, non per informarsi ma per interrogarsi sulle proprie lacune. La circostanza che le Costituzioni del Novecento abbiano differenziato, nel riconoscimento e nella tutela, la libertà di manifestazione del pensiero da quella della ricerca e dell’insegnamento, il diritto allo studio dal mero diritto all’informazione, la libertà di informazione da quella di circolazione, riflette le tre acquisizioni borgesiane.
Gli scritti autobiografici e filosofici dei più grandi scienziati condividono tutte e tre le indicazioni di Borges. Valgano due grandi: Darwin, con i suoi appunti risalenti al 1836-1844 ma pubblicati in Italia solo nel 1987, dove si denuncia l’assuefazione di chi predilige la comodità del pensiero alla fatica dello studio; le lettere che Einstein inviava a studenti e giovani colleghi per discutere sull’uso pubblico della scienza, a partire dall’insegnamento. L’insegnamento, infatti, è il primo degli esercizi pubblici della conoscenza e della scienza. Richiederebbe pertanto le più accorte cautele di responsabilità sociale, per non cadere nell’ignoranza denunciata da Borges, ancora più dannosa, perché riversata come “verità” sui propri allievi. Questo era il suggerimento che Einstein, nel 1944, rivolgeva a un giovane docente che gli chiedeva consigli su come insegnare: “Non invocare la tua esperienze per giudicare il mondo e gli altri. Chi invoca l’esperienza come fonte di verità ricorda colui che, avendo incrociato tanti alberi nella sua lunga vita, pensava di aver conosciuto la foresta, ma nella foresta non esistono solo alberi”.
Un bel monito di onestà e umiltà rispetto alle facili certezze di chi assolutizza “dati”, magari di piccola esperienza, per declamare “verità” di giudizio e di azione su tutto e per tutti.
Non dimenticare tutto questo, oggi, è più importante che mai, perché il mondo di oggi, nonostante la sua completa immersione nella “società dell’informazione” transitata sulla rete globale, si sta spaventosamente impoverendo nelle sue esperienze di conoscenza e comprensione cosmopolita della realtà globale. Siamo più informati dal mondo e nel contempo pericolosamente più ignoranti sul mondo. Non a caso, il nuovo secolo è stato definito “dossologico” (il secolo della doxa come scontro di mere opinioni su cui costruire consenso), rispetto al Novecento, secolo “epistemologico” (il secolo delle grandi acquisizioni della conoscenza, attraverso cui comprendere e indirizzare il mondo).
È vero: il Novecento ha partorito anche mostruosità nelle sue diverse “comprensioni” (dai totalitarismi nazifascisti alle misere facciate del socialismo reale e del comunismo). Tuttavia, l’alternativa dossologica non è meno carica di insidie. Un neo-assolutismo concettuale riprende piede in Europa, non più come certezza di una propria “superiorità” di fronte alle “razze che esistono”, come recitava il documento fascista italiano del 1938, e “ai popoli non progrediti”, come pretendeva l’art. 22 della Società delle Nazioni, né di una propria comprensione del mondo “migliore” delle altre, come rincorse l’utopia comunista, bensì come rifiuto della fatica della conoscenza/comprensione della complessità dei problemi del mondo, per rivendicare invece la “superiorità” di un giudizio o di un’azione “a prescindere” dal confronto appunto su conoscenza e comprensione. Del resto, chiunque può osservare che oggi, ad essere messe in difficoltà o ridimensionate, sono proprio le libertà “differenziate” del costituzionalismo novecentesco: libertà di manifestazione del pensiero, di ricerca e insegnamento, di informazione, di circolazione, diritto allo studio e all’informazione. Basta che una di queste sia ostacolata, perché l’umanità sia ferita nelle sue capacità di conoscenza e comprensione del mondo.
Almeno sei considerazioni ci inducono a non affidarci esclusivamente alla dossologia: dalla cosiddetta “post-verità” e dalle fake-news ci si salva solo studiando; le scuole, non solo in Italia, si stanno trasformando in luoghi del “saper fare” piuttosto che del “saper conoscere e comprendere”, indirizzando le nuove generazioni verso inconsapevoli ignoranze; la semplice rivendicazione della propria libertà di opinione isola dal mondo, alimentando intolleranza verso il mondo, lì dove lo sforzo dello studio, della conoscenza, della comprensione e della comparazione abitua alla tolleranza e alla democrazia; il primato del pensiero trasforma libertà e diritti individuali in poteri assoluti, opinioni sovrane di sé (un diritto è ciò che io penso sia tale e per questo lo pretendo); fanatismi e fondamentalismi sono direttamente connessi a condizioni di estrema carenza di diritto allo studio e di libertà di ricerca e insegnamento (in base a una serie di rilevazioni, la forbice tra numero di abitanti e numero di scuole e università si sta allargando proprio nei luoghi di fermentazione dei fondamentalismi); è sempre più diffuso il fenomeno di News Avoidance, ossia di rifiuto deliberato delle persone alfabetizzate di informarsi sul mondo (un recente Rapporto del Reuters institute è piuttosto desolante). Allora, il futuro della democrazia passa anche da qui.

 
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