Meno tifo stupido e più cultura:
soltanto così si vince la partita

Meno tifo stupido e più cultura: soltanto così si vince la partita
di Ferdinando BOERO
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Lunedì 6 Novembre 2017, 11:33
Non ho il minimo interesse per il calcio. Lo reputo la versione moderna del circo con cui gli imperatori romani accontentavano la plebe. Giocato, è un bellissimo sport. Ma oramai di sport non è rimasto gran che. Le tifoserie non amano il bel gioco, amano insultarsi e magari fare a botte.
Il fatto che i giocatori della squadra di una città non siano di quella città ma provengano da tutto il mondo (se il club riesce a “comprarli”) ha istigato all’odio razziale verso i giocatori di colore. Ai quali vengono lanciate banane.
Ora tocca ad Anna Frank. Ebreo è un insulto per molti sottosviluppati mentali, e Anna Frank è una giovane ebrea finita in un campo di concentramento nazista. È famosa perché ha scritto un diario. Le sue foto si trovano in internet. E’ facile, facilissimo, ritagliare il suo viso e applicarlo sulla maglietta del club avversario. Come dire: siete ebrei, destinati a finire morti in un campo di concentramento.
Come reagire a tanta stupidità? Questi poveri mentecatti non capiscono mica la gravità di quel che fanno, credono di essere spiritosi. Sono un evidente sintomo delle carenze culturali che caratterizzano il paese.
Non mi intendo di calcio e non voglio dare consigli su come giocare. Le varie società, però, potrebbero produrre poster e adesivi con la loro maglia indossata, attraverso un fotomontaggio, da Anna Frank. Il messaggio dovrebbe essere: conosciamo la grandezza di Anna e saremmo orgogliosi di poterla annoverare tra i nostri tifosi. Per gli idioti razzisti, magari un bel poster di Martin Luther King con la maglia della squadra del cuore. Potrebbe essere un modo per far conoscere persone chiave nella storia dell’umanità a chi conosce solo le formazioni delle squadre e i record di gol fatti dai vari cannonieri. Ma poi… chi è ‘sto Martin Luther King?
Le società di calcio potrebbero diventare motori di cultura, adoperando la propria influenza per promuovere l’evoluzione mentale dei penosamente stupidi che non hanno altro punto di riferimento culturale che un gruppo di ragazzotti in calzoncini che danno calci a un pallone. Penso alle reti TV che non fanno che trasmettere partite. Ventiquattr’ore al giorno. Magari potrebbero inframmezzare le partite con dotti discorsi fatti dai calciatori (magari doppiati, se non sono in grado di esprimere concetti compiuti) che, idolatrati come semidei, potrebbero avere qualche influenza positiva sugli imbecilli. Se parla un premio Nobel si cambia canale, ma se parla il capocannoniere si ascolta quel che dice. O, magari, si fa parlare il capocannoniere con il premio Nobel.
Ci sono, ovviamente, moltissime persone normali che amano il calcio e che non sono antisemite, razziste, violente. Molte persone di raffinata cultura hanno anche la passione calcistica. La divulgazione attraverso i calciatori non avrebbe alcun motivo di interesse per loro. Ma sono molti, troppi, ad avere mostruose (direbbe Villaggio) carenze culturali.
A l’Eredità, un gioco a quiz trasmesso da RAI 1, il conduttore offre quattro date tra le quali i concorrenti possono scegliere. Chiede: anno in cui fu assassinato Giacomo Matteotti. Una concorrente risponde 1951, un altro dice 1974. Hitler riconosce l’URSS di Stalin: non sanno collocare neppure questo in un contesto storico. Una dice 1974.
Le cose che diamo per scontate, non lo sono affatto. Chissà se chi ha fatto i fotomontaggi con Anna Frank sa davvero chi sia stata, cosa significhi. Questi non conoscono Matteotti, Hitler e Stalin. Figuriamoci Anna Frank. Certo, se avessero chiesto: anni in cui l’Italia ha vinto i mondiali, le risposte ci sarebbero state.
Siamo il paese che ha tolto l’evoluzione dalla scuola dell’obbligo. Le vie e le piazze delle nostre città hanno nomi che non significano nulla per gran parte dei cittadini.
Non abbiamo una bellissima storia, alle spalle. Chi dimentica la propria storia è condannato a riviverla, disse il famoso centrocampista Primo Levi. Da quella storia, però, deriva il più lungo periodo di pace della storia intera. Talmente lungo che abbiamo dimenticato cosa significhino i conflitti, le guerre tra stati. Chi ha vissuto la guerra sta lasciando la scena. La grande maggioranza degli italiani non sa cosa sia la guerra. Quando dicono dei profughi: perché non se ne tornano a casa loro? e gli si risponde: perché c’è la guerra… non capiscono. Non capiscono neppure la risposta: perché c’è la fame. Non sanno cosa significhino queste parole. Sono concetti astratti, lontani dal vissuto. Non ci appartengono. E si pensa che queste cose, qui, non siano possibili.
Il premio Nobel Bob Dylan ha scritto una canzone intitolata Like a Rolling Stone. Come una pietra che rotola. Si riferisce a una persona che fa una bella vita e che all’improvviso si trova privata di tutto, sballottolata dalla vita come una pietra che rotola. Pensiamo sempre che certe cose non possano succedere a noi. Rinneghiamo l’Europa e ognuno vuole staccarsi, vivere per i fatti propri, perché gli “altri” sono brutti e cattivi. Proprio come i tifosi dell’altra squadra. Ci siamo solo noi al mondo, gli altri valgono meno.
Questi atteggiamenti culturali (chiedo scusa alla parola cultura) sono l’anticamera di eventi che abbiamo troppo presto dimenticato e che potremmo essere condannati a rivivere.
I terroristi lo sanno e, come quei giocatori che provocano gli avversari, ci spingono verso il fallo di reazione, facendoci diventare sempre più intolleranti, violenti ma, soprattutto, stupidi.
Il terrorismo si batte con la cultura. La stupidità lo alimenta. Il fine ultimo del terrorismo è di favorire il dilagare dell’intolleranza e della stupidità, e ci sta riuscendo in modo mirabile.
 
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