La Sinistra che non c'è in questa fase delicata per il Paese

di Michele DI SCHIENA
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Lunedì 23 Aprile 2018, 18:31
Le tante voci che nei giorni scorsi hanno chiesto al Partito Democratico di rivedere la scelta di una pregiudiziale opposizione a un governo allo stato inesistente con l’intento di trarne vantaggio anche a costo di recare danno agli interessi generali del Paese appaiono certo condivisibili come lo sono anche i rilievi secondo i quali una forza politica che rappresenta un quarto degli italiani non può stare alla finestra pensando di potersi sottrarre ai suoi doveri. Responsabilità che in un sistema largamente proporzionale, come quello introdotto dal Rosatellum, incombono su tutte le forze politiche compreso il PD che ha ideato e voluto una legge elettorale confezionata con l’occhio ai sondaggi e con l’intento di favorire alcune formazioni danneggiandone altre per pervenire a una maggioranza parlamentare all’insegna di quel “patto del Nazareno” fra renzismo e berlusconismo che, nonostante la sua formale risoluzione all’indomani dell’elezione del Presidente Mattarella, si è protratto nei fatti fino al responso elettorale del 4 marzo che ha sancito la pesante e definitiva sconfitta di tale progetto.

Meno convincenti però si appalesano quei commenti che, a fronte della gravità della crisi che ha investito l’intera sinistra nel nostro Paese, si limitano, come ha fatto Claudio Tito (“la Repubblica” del 14 aprile) ad auspicare un generico ripensamento delle “ragioni della sinistra” e la “difesa della sua identità” senza precisare quali siano queste ragioni e quale dovrebbe essere l’identità da recuperare. Il fatto è che la “via crucis” che la sinistra sta vivendo non potrà concludersi con alcuna “resurrezione” se quell’insieme di sensibilità (scelte in favore dei ceti più deboli, dei disoccupati, dei lavoratori precari, degli esclusi e degli emarginati), di lotte sociali (per cancellare lo scandalo delle vecchie e nuove povertà), di impegni politici (per promuovere l’uguaglianza contro tutte le discriminazioni e tutte le prevaricazioni), di domande operose di fratellanza e di pace (contro tutte le guerre e tutte le violenze) e di speranze nella costruzione di una società più giusta e più solidale (per contrastare gli egoismi, gli abusi e le corruzioni dilaganti) non diventeranno forza politica trasformatrice capace di fare una scelta di campo ponendosi come netta ed efficace alternativa al sistema economico neoliberista.

Ciò che occorre insomma è un movimento di popolo in grado di superare i complessi, i cedimenti, gli errori e talvolta anche i tradimenti di quel riformismo sedicente progressista che ha finito per muoversi solo all’interno del recinto tracciato dalla nuova destra liberista comunque etichettata e che ha perciò contribuito a fiaccare le coscienze degli ultimi e dei meno tutelati, condannandosi ovunque alla insignificanza e alla sconfitta anche quando ha ottenuto qualche successo elettorale destinato a consumarsi in gattopardesche politiche in linea con i dettami del sistema economico egemone. Nessuno immagina invero di ritornare a un passato di conflitti ideologici oramai superato e nessuno vuole volare nell’atmosfera rarefatta dei principi astratti e dei sogni irrealizzabili. Ma l’economia dominante è iniqua e va contrastata: compito che in primis grava sulle responsabilità di una sinistra che non voglia rinnegare la sua ragion d’essere e sia in sintonia col messaggio di don Tonino Bello, ricordato il 20 aprile in Puglia da Papa Francesco, per il quale “al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità”.

Un compito quindi da assolvere rilanciando i valori e attuando le indicazioni degli Statuti più avanzati, nazionali e internazionali, varati all’indomani del secondo conflitto mondiale a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e dallo Statuto dell’ONU (messo sotto i piedi dai recenti bombardamenti in Siria ad opera degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Francia) per giungere alla nostra Costituzione che dovrebbe essere davvero la stella polare della sinistra italiana. Così come dovrebbe essere tenuto nel debito conto un recente documento che su scala mondiale ha rilanciato valori di grande rilievo economico-sociale e cioè “l’Agenda 2030 per lo Sviluppo delle Nazioni Unite” approvata dai governi nel 2015. Un documento che esprime un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo non solo sul piano ambientale ma anche su quello economico e sociale e che fra i 17 Nuovi Obiettivi da raggiungere entro il 2030 indica quelli di “promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile, una piena occupazione produttiva e un lavoro dignitoso per tutti; costruire infrastrutture resilienti; promuovere una industrializzazione inclusiva e sostenibile e sostenere l’innovazione; ridurre le disuguaglianze all’interno e fra le nazioni; assicurare modelli di produzione e di consumo sostenibili; adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le loro conseguenze”. Ed è amaro dover constatare che il Governo italiano, nella scelta dell’interlocutore che dovrebbe rapportarsi con l’ONU su tale documento, abbia indicato il Ministero dell’Ambiente come se l’Agenda 2030 riguardasse solo problemi di settoriale interesse ambientale.

Mentre le consultazioni per la formazione del nuovo governo procedono con lentezza in un labirinto di giochi tattici con proposte riduttive centrate su pochi punti e prive di qualsiasi progetto di ampio respiro e mentre si susseguono conflitti internazionali con sbocchi imprevedibili, la sinistra tace su tutto e appare o espropriata dei compiti che storicamente le sono appartenuti (tutela dei poveri, lotta alla corruzione, ripudio della guerra) o incapace di insorgere contro il profilarsi di scelte in aperto contrasto con la sua cultura (aliquota unica, immigrazione, sovranismi). Per la prima volta nella storia repubblicana del nostro Paese in una fase così delicata e decisiva la sinistra non c’è e non ha nulla di rilevante da dire. E per quanto attiene ai contenuti politici le cose non cambierebbero qualora il PD, con una decisione corrispondente agli interessi del Paese, decidesse di favorire la promozione di un governo a guida del Movimento pentastellato dal momento che non ha avviato alcuna riflessione autocritica che lo metta in condizione di fare scelte diverse da quelle bocciate dal corpo elettorale. E bloccati appaiono anche i “Liberi e Uguali” quasi che il deludente risultato ottenuto dal loro raggruppamento giustifichi scoramenti e tentennamenti invece di stimolare la correzione degli errori commessi, la coesione interna e un coraggio propositivo tale da colmare il vuoto di sinistra lasciato dal renzismo. Un coraggio propositivo che dovrebbe coinvolgere l’intera sinistra con l’intento di mobilitare energie spirituali e sociali capaci di rilanciare gli ideali di uguaglianza del “sogno” socialista, gli aneliti di fratellanza del solidarismo cristiano e le istanze di liberazione delle forze e dei movimenti impegnati ad affermare quella “pari dignità sociale” indicata come valore primario dall’art. 3 della nostra Costituzione.

 
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