L'orizzonte perso nello sguardo della Puglia di Emiliano

L'orizzonte perso nello sguardo della Puglia di Emiliano
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 14 Ottobre 2018, 18:57 - Ultimo aggiornamento: 17 Ottobre, 12:00
Nella politica e nel governo delle istituzioni, come in quasi tutte le attività umane, c’è sempre uno scarto netto, una inevitabile discrasia tra i tempi della semina e quelli del raccolto. Le scelte politiche e di governo, soprattutto quelle incisive e di visione, quasi mai producono effetti in tempi ravvicinati. Anzi, quanto più incisive e di visione sono le scelte, tanto più hanno bisogno di tempo per dispiegare i loro effetti e far percepire la loro efficacia. Questo scarto emerge, ovviamente, anche quando si tratta di cattiva (o mancata) semina e di cattivo (o mancato) raccolto, cioè per i danni e i guasti provocati da scelte (o non scelte) politiche e di governo. Nel senso che anche gli effetti negativi dei fallimenti non si percepiscono subito. Così come si pagano con il tempo, e pure con gli interessi, le occasioni perdute e le opportunità non colte. In altre parole, quasi mai tempi storici e tempi politici coincidono. Sta qui la grande difficoltà del riformismo, il cui dispiegamento è necessariamente lento e complesso, perciò messo in crisi dalla velocità e dalla voracità dei tempi nostri. E sta qui anche la differenza tra uno statista e un politico. Basta ricordare le fin troppo abusate ma sempre valide citazioni di De Gasperi e Churchill sull’argomento: un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione. Superfluo aggiungere che di statisti se ne vedono sempre meno in giro, considerato che la politica sta scadendo sempre più a cronaca quotidiana, rinunciando a proporre e perseguire visioni lunghe. È sempre bene tenere a mente questo principio quando si giudicano uomini e cicli politici, fasi amministrative, bilanci istituzionali.

A un anno e mezzo dalle elezioni regionali in Puglia sarebbe il caso di una riflessione seria e senza infingimenti sui risultati ottenuti e su quelli mancati dalla gestione Emiliano, soprattutto sul fronte della “visione” e delle scelte (o non scelte) compiute in questi anni e sul raccolto (o mancato raccolto) che nel futuro si potrà ottenere. Non da oggi, ma da almeno un paio di anni scriviamo su queste colonne che la Puglia, con il governatore Emiliano, è diventata per prima in Italia una sorta di laboratorio del “surfing” politico e di governo, con non pochi imitatori tra sindaci emergenti e amministratori comunali. Una regione dove la “mediatizzazione” della politica, grazie soprattutto alla comunicazione digitale, ha raggiunto livelli parossistici con il cavalcare e inseguire le onde dell’immediatezza, dell’emotività e dell’estremismo della rete, e con l’assecondare ribellismi e spontaneismi, a tutto svantaggio della profondità, dell’indicazione di marcia e della ricerca di sintesi tra interessi contrapposti e visioni divergenti. Ne è scaturita una sorta di “movimentismo immobilista” o, se si preferisce, di “immobilismo movimentista” al governo, non di rado alimentato da uno specioso ricorso all’identità territoriale da porre in contrapposizione con il “nemico esterno” di turno. Da sfidare soprattutto a colpi di post e di tweet. E da suggellare con la collocazione della Puglia all’opposizione della politica nazionale (soprattutto - e non caso - quando a Roma governava il Pd).

Non ci riferiamo soltanto alle tre grandi e complesse questioni che hanno occupato il centro dell’agenda politica regionale in questi anni, e cioè Ilva, xylella e Tap. Sarebbe come sparare sulla Croce rossa, considerato che su tutte e tre le questioni l’incasso delle politiche regionali - quasi sempre interdittive - è largamente deficitario. Il “ricorsismo” è stata la cifra del (non) governo della Puglia: ricorsi sull’Ilva, ricorsi sulla xylella, ricorsi sul gasdotto. Al Tar, al Consiglio di Stato, alla Corte costituzionale. Tutti previsti dalle leggi, per carità. Dunque, legittimi. E, tuttavia, se il “ricorsismo” diventa la regola di un’istituzione importante come la Regione, e non l’eccezione, vuol dire che siamo in presenza di una situazione patologica, soprattutto se la “coazione a ripetere” dell’opporsi avviene anche in presenza di sentenze sfavorevoli e definitive. Trasferire continuamente nelle aule giudiziarie ciò che, invece, la politica è chiamata ad affrontare e risolvere, vuol dire abdicare alla funzione fondamentale propria di chi governa e rappresenta le istituzioni, che è quella dell’etica della responsabilità, della soluzione dei problemi, della ricerca delle mediazioni e dei compromessi. Indipendentemente dallo schieramento politico di provenienza. Il risultato è che nessuno dei problemi sul tappeto è stato affrontato nelle sedi adeguate, mediato, risolto. Nessuno. E alla fine su Ilva e Tap la Regione non ha toccato palla, mentre sulla xylella il disastro è sotto gli occhi di tutti. L’elenco potrebbe continuare con la sfasciata e peggiorata rete dei trasporti regionali (in particolare nel Salento), con ciò che è davvero cambiato (?) nella sanità, con i primi ed evidenti segnali di criticità nel turismo e nell’agricoltura dopo anni di oggettivi risultati positivi.

Ma il deficit più marcato è da registrare su due importanti e strategici punti della “visione” della Puglia che verrà. Possiamo sbagliarci per la scarsa frequentazione dei social, ma a nostra memoria non ricordiamo un post o un tweet del governatore Emiliano, men che meno un’iniziativa reale e non virtuale, sul drammatico decremento demografico che renderà, tra il 2030 e il 2040, anche gran parte delle città pugliesi socialmente ed economicamente insostenibili per la prevalenza della popolazione non attiva su quella potenzialmente attiva. Davanti a noi, qui in Puglia, qui nel Salento, si sta aprendo un pericoloso baratro per l’intrecciarsi di tre fenomeni: il crollo della natalità, la fuga dei giovani, l’invecchiamento della popolazione. Città insostenibili. Cioè, agonizzanti. Da cui scappare. Lo confermano quasi ogni giorno tutte le statistiche degli istituti di ricerca, lo dimostrano convegni recentemente svolti dalle associazioni territoriali degli imprenditori. Eppure di questa “Puglia che verrà” da qui a vent’anni non se ne parla. Mentre nelle città che competono sul piano globale si aggiornano piani urbanistici anche approvati di recente, per adeguarli alle nuove sfide demografiche e per mettere in campo politiche attrattive dei giovani, in Puglia solo 37 comuni (nessun capoluogo di provincia) su 258 sono dotati di un Piano urbanistico generale. Un destino segnato. Ma non un post, non un tweet. Non una larvata minaccia di commissariare i Comuni inadempienti. Forse perché si tratta di temi che non danno visibilità, eppure di vitale importanza se pensiamo a chi verrà dopo di noi su questa terra e non solo a vincere le prossime elezioni.

Né, a nostra memoria, ricordiamo un post o un tweet, men che meno un’iniziativa reale e non virtuale, sulla grande scommessa per il futuro del Mezzogiorno, e della Puglia prima di tutto per la sua posizione geografica, rappresentata dalle vie della seta che intende realizzare il gigante cinese. Nelle regioni del Nord, dalla Liguria al Veneto e al Friuli, da almeno un anno c’è un pullulare di iniziative, convegni, progetti e studi di adeguamento delle infrastrutture per “accaparrarsi” questa grande fetta di futuro e di sviluppo. La Puglia, invece, è del tutto marginale nella discussione, oltre che nelle rivendicazioni territoriali, pur avendo due porti come Taranto e Brindisi che sono l’interfaccia naturale dei traffici provenienti dall’estremo Oriente attraverso il canale di Suez, e che potrebbero diventare l’emporio per l’intero continente europeo. Non solo. Arriva in netto ritardo anche rispetto ad altre regioni meridionali, come la Campania, nell’attuazione delle zone economiche speciali che pure potrebbero rappresentare un carta da giocare in funzione della via (marittima) della seta. Ieri su queste colonne, Isaia Sales ha parlato di “ultima chiamata” per il Mezzogiorno dopo i treni persi negli anni scorsi su portualità e piattaforme logistiche. Eppure, quando uomini di governo hanno parlato solo di Genova e di Trieste come terminal della via (marittima) della seta, nessuna eco si è sentita da Bari. Forse perché non sono stati Renzi, Calenda o De Vincenti a dirlo. O forse perché in tre anni sono stati cambiati ben quattro assessori regionali allo Sviluppo e nessuno ha avuto il tempo di approfondire i dossier. Come se lo sviluppo fosse semplicemente un optional o una poltrona da distribuire.

Su questo e su tanto altro ancora, a cominciare dall’azzardata e autolesionistica rincorsa dei governatori del Nord nella battaglia per le autonomie regionali che tanti danni arrecherà alle popolazioni meridionali, si dovrebbe parlare e riflettere a un anno e mezzo dalle elezioni regionali. Sarebbe necessario e urgente tornare ad alzare lo sguardo sulla Puglia che dovrà essere, uscire dal presentismo, chiudere la stagione del ricorsismo e di un “suddismo” senza alcuna prospettiva. Invece, da mesi ci si accapiglia sulla data delle primarie nel centrosinistra, si inseguono e si realizzano allargamenti spuri e pluridirezionali della maggioranza, si chiudono accordi politici ed elettorali trasversali con portatori di voti a destra e a sinistra, si assiste ad assessori di una giunta di centrosinistra partecipare a tavoli di centrodestra o appoggiare candidati presidenti di Provincia del centrodestra. Trame e accordi presentati e salutati in Puglia come “trincea democratica”, bollati invece come “inciuci” e “relazioni opache” quando lo fanno (o l’hanno fatto) gli altri. Ma la colpa non è solo di Emiliano. Dov’è il Partito democratico? Esiste ancora? Ed esiste ancora un centrodestra in Puglia? Esiste un M5s che si interroga seriamente anche sulla regione che verrà, uscendo dal guscio delle sole battaglie propagandistiche sui costi della politica? Ed esiste ancora un’intellettualità capace di uscire dalla vuota retorica del vecchio meridionalismo per inchiodare alle proprie responsabilità chi governa nel Sud? Molti, troppi i dubbi. Il “movimentismo immobilista” alla fine sta contagiando tutti. Perché lo sguardo è già sulle prossime elezioni, non verso l’orizzonte.


 
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