Quale futuro per il turismo? Il Salento rinnovi il suo brand

di Roberto DE DONNO
4 Minuti di Lettura
Lunedì 17 Settembre 2018, 19:44 - Ultimo aggiornamento: 19:51
Arriva un momento in cui un brand debba essere r-innovato, pur conservando la propria struttura storica e la sua peculiarità. Occorre rimodulare nuovi piani di sviluppo grazie a strategie maggiormente in grado di immaginare il futuro.
La visione, la creatività applicata, l’intelligenza relazionale, ma anche l’ingegno tecnico non devono mancare mai se si è intenzionati a tradurre in una buona pratica l’esito dello studio del prodotto che si intende ri-lanciare sul mercato. Innovazione non fa rima con standardizzazione perché la versatilità di un qualsiasi marchio non può soggiacere a regole, spesso lente rispetto al ritmo dei cambiamenti sociali ed epocali, votate ad una forma di istituzionalizzazione omologante. Una reale innovazione si addice piuttosto ad una altrettanto appropriata declinazione di una visione ad ampio raggio e di lungo periodo della politica aziendale, o di quella del territorio. Se l’obiettivo deve consistere nel tradursi in un valore di mercato di successo, occorre che il brand costituisca il risultato di una maieutica che esprima a tutto tondo l’anima dell’azienda, o, per analogia, diremo il genius loci del territorio.
Pare che quest’estate il turismo nel Salento abbia subito un calo di presenze%. Statistica significativa se se ne coglie il senso alla luce di quello che oggi il nome Salento rappresenta. Per un attimo rendiamo questo dato avulso da connotazioni particolari (come l’età o lo stato sociale) dei turisti in meno, e si ragioni, piuttosto, sul perché si sia verificato tale decremento. Cos’è successo al Salento? Al di là di ciò che è praticamente accaduto (chiusura di locali di tendenza o controlli più dettagliati su un proliferare di speculazione diffusa), sarebbe opportuno badare, piuttosto, a come il nostro territorio si è mostrato al mondo in questi ultimi anni. Si rifletta sulla discesa ripida, si osi pure dire quasi a picco, del “fenomeno culturale” Salento verso un più scontato e banale “caso” Salento.
All’epoca della ri-scoperta delle antiche masserie rurali il nostro territorio espresse una notevole potenzialità più che altro basata su una cultura enogastronomica realizzata in dimensioni agresti dal fascino antico. Tant’è che la riqualificazione di tanti ruderi ha fatto conoscere in Italia e nel mondo una sfaccettatura molto affascinante del nostro territorio, basata su un’organizzazione socio-culturale contadina e su colture pregiate, entrambe dal gusto sano e genuino. È stata proprio la originalità del “luogo” Salento a dar vita al suo fenomeno, dapprima come sito vintage (dal francese, vendemmia, intesa come vini d’annata di pregio, di cui il nostro territorio può senz’altro fregiarsi), poi diffusosi in maniera sempre più massiccia sino a diventare un “caso”, la contingenza di un exploit senza precedenti. Nel frattempo, però, ci si è lasciato indietro quel sapore di nicchia diventato troppo di massa.
Il mare, fregiato da ripetute golette blu, da bene prezioso ed esclusivo, è stato trasformato in polo d’attrazione reificante una regione che, oltre all’acqua limpida, possiede molto di più. Dov’è finita l’antica cultura rurale salentina fatta di narrazioni contadine, aneddoti, storia, castelli, borghi, campagna, terra rossa, ulivi, muretti a secco, vendemmia, ricette, feste paesane patronali, musica e tarantelle? Cosa raccontiamo oggi al mondo? Il Salento cos’è altro oltre al mare? Come stiamo coniugando il suo daimon con l’immaginario che di esso hanno gli estranei? In che modo stiamo “vendendo” questo nostro brand? Siamo in grado di esternalizzare il marchio Salento facendo leva su una compagine di gruppo in grado di analizzare il trend di conoscenza della personalità del posto? Per fare turismo non ci vuole nulla, ma per accogliere dei viaggiatori, invece, si necessita di formazione e conoscenza vera dello stato dell’arte, del territorio e pure di colui che vi sosta come ospite. Si è mai pensato di istituire la figura del direttore marketing territoriale, uno per ciascuno dei novantasei comuni della provincia di Lecce, coordinati da un’agenzia di sviluppo che ne rappresenti il brand unico di un territorio unito?
Le persone, in questo mondo liquido contemporaneo, desiderano approcciarsi ai prodotti soprattutto in quanto questi raccontano una storia dalla quale si possano trarre valori come etica, responsabilità, comprensione dei bisogni, interpretazione accurata delle esigenze, concretezza, sostenibilità. Tutto ciò per dire: non omologazione ma diversità. Il marchio, qualunque esso sia, ma in special modo quello territoriale, deve dimostrare capacità specifiche e non stardardizzate. Esso deve far parlare di sé in quanto crea e trasmette emozioni, affinché, una volta conosciuta la dimensione locale, tornati nel logorio della fagocitazione globale, il posto che si è visitato diventi il luogo per eccellenza, la dimensione locale del ben-essere perché vi ci si dimora in modo eccellente.
Oggi esiste un gran numero di masse di mercati, non più di mercati di massa, in cui l’identità e concretezza rappresentano i driver in assoluto più importanti per rispondere a bisogni sempre più segmentati e complessi. Cosa fare, dunque, allo stato attuale delle cose? Intanto urge definire i processi di sviluppo del territorio rimodulando il brand ad ampio raggio con una visione quantomeno ventennale, formarsi in maniera efficace alla luce del cambiamento del mercato e dei canali distributivi necessari per diffondere i prodotti locali, creare infrastrutture efficienti, destagionalizzare con pacchetti diversificati a seconda del target di riferimento durante l’intero anno, aprirsi a nuove forme di circolarità del rapporto cliente-azienda, avvalersi delle nuove tecnologie.
In sostanza, è giunta l’ora di non essere più un fenomeno per caso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA