Se la scuola dimentica la letteratura del Sud

Se la scuola dimentica la letteratura del Sud
di Antonio ERRICO
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Domenica 3 Giugno 2018, 19:30 - Ultimo aggiornamento: 20:45
Probabilmente può servire una premessa. Anche se generale e generica, può servire. Questa: tutta la storia della letteratura italiana, dalle origini ai giorni nostri, è una storia del Sud. Sarebbero troppo semplici gli esempi, per cui non ne facciamo. Ma nelle “Indicazioni nazionali” per i licei, in relazione al Novecento, gli autori meridionali non ci sono. Di conseguenza, il Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, ha chiesto la modifica delle Indicazioni.

Nei giorni scorsi, al Salone del libro di Napoli, è stato lanciato un appello che di seguito si riporta: “Il Salone del libro e dell’editoria ‘Napoli città libro’ aderisce all’appello del Centro di documentazione sulla poesia del Sud chiedendo a tutti gli scrittori e gli operatori culturali che vi parteciperanno di firmarlo per uno studio della letteratura italiana rispettoso della ricchezza culturale dell’intera Nazione. A partire dal 2010, anno in cui furono approvate le Indicazioni nazionali per i licei, il Miur ha indicato a titolo esemplificativo 17 autori come oggetto di studio e a queste “Indicazioni” si sono sostanzialmente uniformati i libri di testo presenti nelle scuole superiori. È citata una sola donna, Elsa Morante, dimenticando autrici come Grazia Deledda, Alda Merini, Maria Luisa Spaziani. Nessuno dei 17 autori è nato a sud di Roma. Mancano in questo caso, per citarne solo alcuni, autori come Salvatore Quasimodo, Eduardo De Filippo, Leonardo Sciascia, Alfonso Gatto. Da sette anni si chiede una modifica e un ampliamento di questo elenco in modo da offrire ai giovani un panorama complessivo dell’identità culturale del nostro Paese”.

Ho l’impressione che si sia imboccato un vicolo cieco dal quale non si esce perché non si può uscire. Forse. La dimostrazione è costituita proprio dall’ultima parte dell’appello dove si citano autori adottando la formula “per citarne solo alcuni”. Ma chiunque si mettesse a lavorare in questo senso, non potrebbe fare altro che citarne solo alcuni, e quando una commissione di esperti dovesse arrivare ad una proposta completa di tutti gli autori del Novecento, le Indicazioni non potrebbero contemplarli tutti. Di conseguenza si dovrebbe fare una scelta presumibilmente con il criterio della significatività o della rappresentatività. Però a quel punto la domanda inevitabile sarebbe: significativi e rappresentativi per quale motivo e rispetto a cosa.

Sappiamo tutti che la storia del Novecento, e quindi la storia della letteratura, è caratterizzata da una condizione di molteplicità, spesso anche da tensioni, da contrasti, da contrari, non di rado connotati ideologicamente. Quindi dal vicolo non si esce. O forse sì.

Vorrei provare a fare un ragionamento, cominciando da quella che è la natura delle Indicazioni Nazionali. Non si tratta di programmi. Si tratta, appunto, di indicazioni, che in quanto tali possono essere integrate con modalità e percorsi che le norme sull’autonomia scolastica non solo consentono ma promuovono. Peraltro, c’è un punto nella Nota introduttiva alle Indicazioni che esplicitamente fuga ogni dubbio. Quello in cui si lascia “all’autonomia dei docenti e dei singoli istituti ampi margini di integrazione e, tutta intera, la libertà di poter progettare percorsi innovativi e di qualità, senza imposizioni di metodi e di ricette didattiche. Ciò ha comportato la rinuncia ai cataloghi onnicomprensivi ed enciclopedici dei programmi tradizionali”. Nessuno, quindi, potrebbe obiettare qualcosa se ad Ungaretti, Saba, Montale, si accostassero Bodini, Pagano, Fiore (Tommaso e Vittore). È successo, succede.

Non solo. Anche se può sembrare paradossale, l’assenza di nomi nelle Indicazioni lascia ampi spazi di discrezionalità e di programmazione in relazione a quelle che sono le specificità dei territori e le loro problematiche storiche, geografiche, antropologiche. Così, per esempio, Ernesto De Martino può indubbiamente e agevolmente rientrare in un percorso, mentre risulterebbe alquanto improbabile il suo inserimento nelle Indicazioni specifiche di letteratura del Novecento. Poi: Carmelo Bene ce lo metteremmo? Quasi certamente no, perché collocato in ambito diverso, ma è un autore del Sud e ha scritto opere straordinarie: una straordinaria più delle altre, che è “‘l mal de’ fiori”, poema multilingue con una parte in dialetto salentino che attacca così: “Ahi! Nu parlamu d’osce marammie!”

“Per citarne solo alcuni”. Appunto.

Dal vicolo cieco non si esce. O forse sì. Dal vicolo cieco forse si può uscire con l’unica condizione che si pone come riferimento culturale, pedagogico, didattico insostituibile. Gli insegnanti. Non c’è alternativa. Sono loro che hanno gli strumenti per programmare e realizzare lo studio della letteratura del Sud al tempo del Novecento e anche al di là di quel tempo. I libri di testo hanno una funzione di assai secondario rilievo. Servono quando servono. Se ne può fare anche a meno, senza dolore del cuore.

Ciascun insegnante ha la possibilità di configurare una programmazione anche – o soprattutto - in funzione interdisciplinare, con caratteristiche di inquadramento, di analisi, di approfondimento della letteratura del Sud nelle sue connessioni storiche, geografiche, linguistiche, senza prescrizioni in ordine agli autori e senza vincoli di correnti e di scansioni temporali. Perché, forse, le strutture su cui fondare i processi di insegnamento e apprendimento della letteratura del Sud – come di qualsiasi altra disciplina o parte di una disciplina - sono costituite dai nuclei tematico-semantici, dalla loro genesi e dai loro esiti concettuali e formali.

Ancora. Ci stiamo occupando dell’insegnamento della letteratura del Sud nei licei. Va bene. Ma forse è riduttivo. Questo tipo di insegnamento dovrebbe interessare e coinvolgere le scuole di ogni ordine e grado. A cominciare dalla scuola dell’infanzia. Con le fiabe del Sud, con le forme dell’oralità, con quelle di transcodifica. Per continuare nella scuola primaria, nella media. Qualche volta si è fatto, poco meno di vent’anni addietro; qualche volta si fa. Le visioni del mondo e dell’esistenza non si elaborano dai quindici anni in su. Si conformano prima.

Certo, se chi abita le terre del Sud ritrovasse nelle Indicazioni per le scuole superiori – tutte: licei, tecnici, professionali – qualche autore del Sud, avrebbe una vampata di orgoglio. Ma la vampata sarebbe più intensa, durerebbe molto di più se sapesse che i ragazzini conoscono le opere di Verri e di Toma, di Pagano e di Bodini, “per citarne solo alcuni”, appunto, e solo con riferimento ai paesaggi che ci sono intorno, al Sud del Sud. Indipendentemente dalla loro presenza nelle Indicazioni. E’ stato fatto. Si fa ancora. Si può fare meglio. Si può fare di più. Con la preghiera, però, accorata, di evitare ogni tipo di campanilismo e di improvvisazione e di provincialismo. I campanilismi, le improvvisazioni, i provincialismi fanno male a tutti, anche ai poeti e ai narratori dell’est, dell’ovest, del nord e del sud.



 
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