Casse svuotate e strani silenzi: sulle Fse solo annunci a effetto speciale

Casse svuotate e strani silenzi: sulle Fse solo annunci a effetto speciale
di Renato MORO
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Domenica 4 Febbraio 2018, 20:47 - Ultimo aggiornamento: 21:36
Quando nacquero le Ferrovie Sud Est, nel 1931, in Europa soffiava il vento delle dittature mentre il mondo contava le tappe sempre più veloci del progresso. La società vide la luce ad agosto. Un paio di mesi prima a New York era stato inaugurato l’Empire state building, che sarebbe rimasto il più alto grattacielo al mondo fino agli anni Sessanta; un paio di mesi dopo Guglielmo Marconi illuminò da Roma, con un segnale radio, il Cristo Redentore di Rio De Janeiro. Sono passati 86 anni. I grattacieli di Dubai guardano dall’alto in basso quelli della Grande Mela e premendo un pulsante (finto, perché col touch screen i pulsanti non esistono più) oggi è possibile far fare le piroette ai robottini che mandiamo a spasso su Marte. Non è cambiato nulla, invece, sulle strade ferrate del Salento. Anzi, se diciamo che si sono fatti grandi passi indietro e che il sistema ferroviario di casa nostra è un disastro non sbagliamo. Gli arresti effettuati giovedì su richiesta della Procura di Bari sono soltanto l’ultimo anello di una lunga catena di fallimenti e se riflettiamo un momento non possiamo non ammettere che in fondo non aggiungono nulla di nuovo a quando già si sapeva o sospettava.

Le Fse più che una società di trasporti sono state - almeno per un decennio - una sorta di grande Bancomat da cui prelevare soldi pubblici per scopi privati o comunque poco nobili. Un’attività che ha arricchito pochi - secondo il pm che indaga e che ovviamemte dovrà prima o poi sottoporre la bontà delle sue conclusioni al giudizio di altri magistrati - e ha impoverito l’azienda succhiandole la linfa vitale.

Oggi le Ferrovie Sud Est sono soltanto il fantasma di quello che potrebbero essere in un territorio che della carenza di trasporti è riuscito - con responsabilità distribuite in maniera bipartisan - a fare l’emergenza più evidente. Eppure si tratta di un’opera pubblica che con i suoi 474 chilometri di strada ferrata e quattro province collegate dovrebbe e potrebbe essere un’eccellenza. Un’opera pubblica, ricordiamocelo, che a costruirla oggi ci farebbe aspettare come minimo mezzo secolo a causa dei tempi occorrenti per mettere su un bando e un progetto, gli inevitabili ricorsi e le prevedibili proteste dei proprietari terrieri e dei custodi dell’ambiente.

I mezzi sono vecchi e tutti a gasolio, a volte circolano ancora le preistoriche littorine e vecchia è anche la strada ferrata, tanto che poco più di un anno fa ha è stato deciso di istituire il limite dei 50 orari per motivi di sicurezza. Certo le Ferrovie dello Stato, ora proprietarie della società salvata dal fallimento, hanno cominciato a investire in modernità e sicurezza, ma è ancora troppo presto per poter sostenere di essere davanti a una svolta.

Restano comunque le porcherie che per anni avrebbero caratterizzato l’attività della vecchia gestione. E resta la sensazione che le vicende giudiziarie siano una sorta di spina nel fianco di una politica che ha preferito e preferisce ignorare l’argomento. Un esempio: quando questo giornale ha promosso e portato avanti la battaglia per ottenere che il Frecciarossa proseguisse la sua corsa da Bari fino a Lecce nessuno - da destra a sinistra - s’è risparmiato nel dire la sua e nel condividere l’iniziativa; ora che nell’ordinanza di custodia la Procura ha messo nero su bianco le presunte ruberie, invece, sembra esserci la consegna del silenzio. Perché? Bella domanda. La risposta più plausibile è che le Sud Est siano state una sorta di terreno di caccia per tutti, senza distinzione di colore o appartenenza, e ciò rende perlomeno imbarazzante occuparsene.

Non appare imbarazzante, invece, distribuire promesse e fantasticare su progetti che al momento possono soltanto fare mostra di sé nella vetrina delle belle parole. Diffidate, insomma, di chi fa intravedere le magnifiche sorti e progressive di una metropolitana di superficie moderna, veloce e puntuale. Qui, per colpa di chi ha dilapidato le ricchezze della società e di chi per anni ha preferito non vedere e non sentire, siamo all’anno zero. Anzi, siamo tornati al 1931. Abbiamo bisogno di rotaie vere, poi di treni veri che non puzzino di vecchio e non marcino alla velocità di un podista, quindi di corse e orari adeguati alle esigenze degli utenti, di un management capace e di personale motivato. Gli effetti speciali, quelli che vengono annunciati da decenni, lasciamoli per una seconda fase. Se mai verrà.


 
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