Vent'anni senza Lucio Battisti, quel "canto libero" che manca al Paese

Vent'anni senza Lucio Battisti, quel "canto libero" che manca al Paese
di Vincenzo MARUCCIO
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Domenica 9 Settembre 2018, 10:02 - Ultimo aggiornamento: 11 Settembre, 18:56

Vent'anni senza Lucio Battisti. Ma l'anniversario, questa volta, è solo un pezzo di verità. Il genio che abbiamo amato se n'era andato, artisticamente parlando, molti anni prima. E lo aveva fatto scegliendosi un'altra vita. Di sua spontanea volontà. Lo aveva annunciato in un'intervista nel 1979: che sarebbe scomparso dalle scene, che non ne poteva più di firmare autografi, che avrebbe cercato nuovi stimoli professionali. Cominciò la collaborazione con Pasquale Panella, il paroliere del non sense, e i dischi che ne seguirono da Don Giovanni in poi s'inoltrarono lungo le strade di un ermetismo fino ad allora sconosciute alla musica italiana. Sperimentazioni linguistiche, sonorità scarne, la dichiarata volontà di piacere a pochi dopo aver venduto milioni di dischi.
Oggi, a 20 anni dalla morte, di quel Battisti resta un meritevole tentativo di portare l'avanguardia stilistica nell'arte popolare più amata dagli italiani. Un capitolo da studiare dell'enciclopedia della nostra canzone, un passaggio da vivisezionare per capire la biografia del personaggio. Importante, ma forse sopravvalutato. Un'eredità mai raccolta perché, forse, da raccogliere c'era molto meno di quanto si dicesse in quel periodo. Coinciso con il ritiro a vita privata: niente concerti, niente piazze, il volto neanche sulle copertine dei dischi. Lontano dal (grande) pubblico che ne aveva fatto la fortuna. Elogiato da quella stessa critica intellettualoide che, dopo averlo bollato come il cantante delle shampiste, lo riscopre improvvisamente solo perché Hegel diventa il titolo di un suo album dell'era panelliana.
Battisti in chiaroscuro, come si dice in questi casi, e, allora, non avremmo dubbi nell'indicare l'uno e l'altro. Perché il nitore, la lucentezza, il bagliore appartengono al Battisti che con chitarra, capigliatura folta e foulard al collo a notte fonda ogni tanto rivediamo in televisione. I titoli li conosciamo tutti ed è inutile ripeterli anche perché l'elenco sarebbe lunghissimo. Ma un luogo comune va sfatato una volte per tutte: scontato per chi mastica di musica, ma necessario per chi si ferma in superficie e si ammanta di vuoti snobismi preferendo, a priori, il minimalismo solo perché la parola fa tendenza. Battisti quello del periodo in chiaro - continuiamo a cantarlo non solo perché è facile fischiettarlo sotto la doccia. Il segreto è un altro: la semplicità che si sposa all'innovazione, l'armonia della melodia che si rinnova pescando nei generi più diversi. Il beat di Acqua azzurra acqua chiara, il rock progressive di 29 settembre, il rythm'n'blues del Tempo di morire, i ritmi latini del Nostro caro angelo e l'elettronica addirittura con il crepuscolarismo di Una donna per amico e Una giornata uggiosa che sono l'altra faccia di una stessa medaglia. Non c'è artista italiano che, come lui e in così pochi anni, si sia messo ogni volta in discussione e senza mai ripetersi. Più di tanti cantautori engageè capaci solo di replicare se stessi.
Un Battisti necessario in questi tempi bui e cupi, fatti di muri e furbi moralismi, in cui la libertà andrebbe innanzitutto ritrovata con leggerezza senza pregiudizi ideologici (come quelli che pagò Battisti per simpatie fasciste solo presunte).

Un Canto libero, per esempio, per ricominciare daccapo in un Paese oggi incattivito e incapace di sognare. Una misteriosa alchimia, una speranza, una luce. Inseguendo (come ai tempi di Mogol) il miracolo dell'ispirazione e, quasi sempre, trovandolo. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

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