Calenda: ripartiamo dalle paure, solo così il progressismo tornerà

Carlo Calenda
Carlo Calenda
di Francesco G. GIOFFREDI
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Martedì 27 Novembre 2018, 14:12 - Ultimo aggiornamento: 16:55
Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo economico: il suo "Orizzonti selvaggi" parte da (auto)critiche coraggiose - in parte spiazzanti - al campo dei progressisti. E da un assunto originale: la politica post-ideologica ha finito per essere ideologica, perché ha sostituito la rappresentanza con la tecnica, così innescando la reazione populista. Per voi è una spirale difficile da spezzare, lei stesso dice che si votano le forze populiste a prescindere dalle soluzioni che offrono.
«Bisogna innanzitutto cercare di non di esorcizzare le paure dei cittadini, profonde e spesso giustificare, evitando l'errore commesso dai progressisti negli ultimi 30 anni: liquidare quelle paure come un riflesso della stupidità o della incapacità dei cittadini di comprendere. Fanno parte invece del momento storico, caratterizzato da cambiamenti anche brutali e violenti».

Il tema per il campo progressista è non trascurare i divari, le diseguaglianze, cogliere il grido d'allarme. Fare il proprio mestiere, e riannodare un rapporto con la società. Così sconfessa in parte la retorica della globalizzazione e l'ideologia del futuro?
«C'è stata una promessa mancata: meno garanzie per più opportunità. Il che amplifica le paure e impedisce a tutti di stare nel cambiamento. La globalizzazione è fatta di successi e insuccessi, ma di questi ultimi bisogna parlarne perché altrimenti non si recupera credibilità, ed è lì che vince il populismo: dà false risposte, ma almeno riconosce la paura e gli errori. Noi, penso al Pd, continuiamo a fare le manifestazioni per l'Italia che non ha paura. Invece la politica si fa proprio per chi ha paura».

Purché non sia cavalcata in modo strumentale...
«La paura va affrontata con realismo, riconoscendone la parte razionale per combattere quella irrazionale. Altrimenti manca la credibilità per dire cosa si può o non si può affrontare. Nei singoli Paesi sono invece aumentati i divari economici e culturali: i primi puoi accorciarli, i secondi perché richiedono più tempo. Ma è un compito di cui deve farsi carico lo Stato».

Calenda, del suo libro stupisce anche questo: riporta al centro lo Stato, il potere pubblico. Addio idea di Stato leggero?
«Il nostro New Deal deve passare dall'educazione dalla culla all'algoritmo, dalla capacità di migliorare le attitudini e le competenze nel corso della vita. Su questo come su altro lo Stato può avere un ruolo di indirizzo forte. Ma non può certo nazionalizzare Alitalia se ci sono investitori privati».

In Italia il Pd e il progressismo arrivano in ampio ritardo a queste analisi.
«E siamo ancora in ritardo. Il dibattito nel Pd si divide ancora tra chi ritiene che debbano essere rafforzati i messaggi motivazionali degli ultimi 30 anni (tipo "la paura non ha ragione di esistere") e chi si riscopre socialista e pensa che la soluzione sia la patrimoniale e nazionalizzare qualsiasi cosa. In entrambi i casi, categorie del passato».

In tutto ciò occorre una democrazia decidente: l'Italia resta ancora il Paese dei veti, del potere esecutivo imbrigliato? E il tema delle riforme non andrebbe riaffrontato?
«Assolutamente sì. Le democrazie sono in crisi perché appaiono rispetto ai regimi autoritari meno capaci di decidere e proteggere. Il minimo sindacale è una riforma della Pubblica amministrazione e una clausola di supremazia che ci tuteli dai veti».

Nella sua analisi sottostima la variabile ambientalista, che è un altro rifugio di paure.
«Sotto la veste dell'ambientalismo in alcuni casi c'è un rifiuto della modernità in ogni forma, penso anche ai vaccini. Il rifiuto della modernità è anche rinunciare a espiantare e ripiantare degli ulivi per avere il 15% di fabbisogno italiano di gas grazie al Tap. Ma l'ambientalismo - meglio: la sostenibilità - è anche una grande opportunità, un driver di crescita e modernizzazione. Non deve sfociare però nell'ideologismo e nella retorica della società agricola, che poi era la più ingiusta di tutte».

In tal senso lei ha sempre considerato la Puglia un banco di prova.
«Beh sì, anche perché considero Emiliano la quintessenza di questo populismo un po' becero e incoerente, che cerca di fiutare in modo opportunistico l'aria del rifiuto della modernità, cercando di costruirsi una carriera politica senza nemmeno riuscirci. È molto più rispettabile un leghista o un pentastellato rispetto alla caricatura che ne è Emiliano».

Ma Emiliano sostiene di fare proprio ciò che lei auspica: ascoltare le paure e farsene carico.
«No: lo fa con la cultura dei veti, che non è il superamento della paura affrontandola, capendola e rispondendo in modo razionale. Nel suo caso i veti si manifestano nei ricorsi, che peraltro perde. È il populista per antonomasia, che dice frasi senza senso tipo sono il difensore del Creato».

«Se Emiliano viene ricandidato, lascio il Pd»: conferma?
«Sì. Se viene ricandidato vuol dire che il Pd ha definitivamente perso la dignità. Andrebbe espulso dal partito perché ha rappresentato la peggior mancanza di serietà».

E chi candiderebbe al suo posto?
«Teresa Bellanova, un'ottima candidata. Ma ce ne sono molti altri: chiunque andrebbe meglio di Emiliano».

Capitolo Tap: non ritiene che tutto nasca da un errato approccio iniziale, agli albori della vicenda? Poca condivisione, dialogo carente.
«Furono fatte valutazioni su tutti i possibili approdi, ognuno dei quali - ad esclusione di San Foca - presentava dei problemi. È un'opera a impatto zero, sotto Lecce passano tubi più grandi. È una delle peggiori follie di cui si è parlato, non è nemmeno uno scavo a cielo aperto, gli espianti degli ulivi sono stati fatti con la massima attenzione. Persino il M5s su Tap e Ilva ha lasciato in braghe di tela Emiliano, conformandosi alle nostre soluzioni, le uniche possibili».

Quanto all'ex Ilva, la polemica di queste ore è sull'immunità penale a Mittal. Ed Emiliano torna alla carica con la decarbonizzazione. Occasioni perse dal vostro governo?
«L'immunità agisce solo nel caso in cui l'investitore realizzi perfettamente e nei tempi il piano ambientale. Quanto alla produzione a gas: non esiste alcun impianto di quelle dimensioni nel mondo, il più grande in Europa è di Mittal e produce un ventesimo di Taranto. A parte la qualità del prodotto, il prezzo del gas dovrebbe essere uguale o inferiore a quello americano. Il che ovviamente non è possibile. Inoltre la proposta di AcciaItalia (l'altra cordata, ndr) prevedeva solo l'aggiunta al prodotto a carbone di un quantitativo a gas, fermo restando uno sconto sul prezzo del metano».

Non avete colto i segnali, in questi anni. Per esempio, il Jobs Act ha trascurato l'area grigia tra precariato e digitalizzazione?
«Dobbiamo rendere strutturali gli incentivi per le assunzioni, il tema centrale è il costo del lavoro a tempo indeterminato, avrei speso in tal senso gli 80 euro. Il lavoro sarà sempre più flessibile e articolato, per questo l'investimento sulle competenze è fondamentale. Avevamo appena cominciato al Mise con Industria 4.0, promuovendo investimenti per uscire dalle fragilità e difendendo le crisi quand'erano storture della globalizzazione, ma il nuovo governo sta smontando tutto».

Vi portate addosso lo stigma di governo delle élite.
«Non abbiamo dato l'impressione di capire la profondità del disagio, di voler cambiare tutto e di dare risposte. Abbiamo governato bene, ma nell'ordinario».

Si è detto deluso dal Pd. Ma sosterrà Minniti.
«Di tutto quello che ci stiamo dicendo se ne fregano, vogliono solo difendere un laghetto sempre più piccolo. Sarà solo un referendum pro o contro Renzi. Di certo non possiamo affrontare le europee col solo Pd: dobbiamo mettere insieme un Fronte repubblicano che unisca su una piattaforma ben definita Pd, +Europa e figure della società civile - come Bentivogli e Giovannini - rappresentative di mondi. Al congresso Pd sosterrò Minniti, lo stimo e ho apprezzato il suo lavoro; Zingaretti è una persona lodevolissima, ma nessuno dei due sarà la risposta ai problemi dei progressisti».

Renzi tornerà?
«È stato uno dei migliori premier della storia italiana, ma ha fatto anche gravi errori politici. Resta un pezzo importantissimo del mondo progressista, mi auguro sappia lavorare con gli altri».

Lei lancia la sfida della democrazia progressista: sarebbe?
«È la democrazia dei valori liberali, ma che sposta il punto di equilibrio nel rapporto tra individuo e comunità e individuo e Stato. Negli ultimi 30 anni si è affermata una democrazia liberista, che ha come unico valore la crescita economica: oggi è condizione necessaria, ma non sufficiente. Il punto di riferimento dev'essere l'avanzamento della società, non dell'economia in senso stretto».

IL TOUR CON LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
Tour pugliese per Carlo Calenda: l'ex ministro dello Sviluppo economico da oggi (martedì) a venerdì presenterà in otto tappe il suo libro Orizzonti selvaggi - Capire la paura e ritrovare il coraggio (Feltrinelli). Oggi Calenda sarà a Taranto (17.30, libreria Ubik) e poi a Nardò (20.30, sala Roma: a dialogare con l'ex ministro ci sarà Claudio Scamardella, direttore di Quotidiano). Domani sarà la volta di Lecce (ore 18, libreria Feltrinelli) e di Tricase (20.30, palazzo Gallone). Giovedì invece tappa a Brindisi (alle 18.30, palazzo Nervegna, sala dell'Università) e a Gallipoli (20.30, Bellavista Club: Calenda dialogherà con Rosario Tornesello, caporedattore di Quotidiano). Infine venerdì gli ultimi due appuntamenti: Martina Franca (alle 15, palazzo Ducale - sala degli uccelli) e Bari (alle 18, libreria Feltrinelli).
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