L'analisi/Spread, lo "sconosciuto" che fa scattare l'allarme e si abbatte su imprese e famiglie del Sud

L'analisi/Spread, lo "sconosciuto" che fa scattare l'allarme e si abbatte su imprese e famiglie del Sud
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 31 Maggio 2018, 13:06 - Ultimo aggiornamento: 14:39
Soltanto «reazioni emotive», nessun fondamentale economico a rischio frana o implosione. Ignazio Visco, il governatore di Bankitalia, ha spiegato e rassicurato: il comportamento dei mercati alla crisi istituzionale italiana non è l'indice di una falla strutturale («la fiducia nel nostro Paese è grande», ha spiegato), ma è appunto solo una «reazione emotiva». E però, proprio sui mercati finanziari l'effetto palla di neve non dev'essere sottovalutato, mai: basta poco perché si manifesti la valanga, prima di tutto sotto forma di arrampicata vertiginosa dello spread (il differenziale tra tasso d'interesse del Btp e del Bund, rispettivamente il titolo di Stato italiano a 10 anni e il fratello tedesco: tra poco spiegheremo perché è così cruciale questo indice, per tutti). L'instabilità politica è un primo sintomo che può irritare o svegliare i mercati, ma successivamente può essere (e lo è stata) la sensazione - anche soltanto vaga, sottotraccia, evocata dal governo M5s-Lega - di un addio dell'Italia all'Euro a ingrossare la palla di neve, fino a renderla slavina.

Effetto domino su prestiti e risparmi. Un effetto domino, insomma. Che non travolge soltanto l'algido, sfuggente e lontano mondo della finanza o delle banche: incide sulla carne viva delle imprese, dei risparmiatori, delle famiglie. Insomma: sull'economia reale. Al Sud più che altrove, inevitabilmente: lo spread disordina gli equilibri bancari (spiegheremo anche questo), e gli istituti di credito così sono costretti per restare sulla linea di galleggiamento a rivalersi ritoccando al rialzo i tassi d'interesse su prestiti e mutui, con effetti diretti su imprese e famiglie; e normalmente al Mezzogiorno non solo l'erogazione del credito è più difficoltosa, ma il costo del denaro è di per sé superiore. «Le imprese meridionali - spiega infatti Valerio Elia, docente di Ingegneria economica all'Università del Salento - hanno una redditività più bassa, quindi le banche concedono più difficilmente prestiti. E quando questo accade, si fanno comunque pagare un rischio maggiore: il differenziale del tasso d'interesse per le imprese del Sud è del 2% in più rispetto a quelle del Centro-Nord». Tradotto: i prestiti già di per sé qui costano di più, e lo spread alle stelle non può che aggravare ulteriormente il quadro. Una specie di mazzata finale, per il Mezzogiorno.

Addio all'euro e interessi su. Una exit strategy dall'euro accelererebbe con effetti vistosi e poderosi questo meccanismo a valanga. L'Italia ha un debito pubblico di circa 2.300 miliardi di euro, debito che di fatto colloca sul mercato grazie alla vendita di titoli di Stato: è questo il nostro salvagente, e ciò che riempie la camera d'aria del salvagente non è altro che la capacità di rientrare alla lunga da quel debito. Tradotto: la credibilità del sistema Italia. Più il sistema è solido, meno i titoli sono rischiosi e offrono quindi agli investitori rendimenti più bassi. Tuttavia, nel momento in cui i mercati (cioè coloro i quali detengono i titoli) captano il possibile mancato rispetto dei vincoli europei o addirittura la ventilata uscita dall'Euro, scatta in varia misura il tilt. E gli investitori, soprattutto stranieri, vendono i titoli di Stato italiani. Il risultato? Lo spread schizza verso l'alto: l'Italia, in sostanza, rispetto alla Germania è costretta a pagare interessi sul debito più elevati, perché è considerata meno affidabile alla luce dell'instabilità politico-istituzionale. Ma perché proprio la Germania? Cos'è questa tirannide di Berlino? Il Paese teutonico è semplicemente considerato dal punto di vista finanziario tra i più stabili al mondo, ergo è un termine di paragone. Funziona così: se lo spread è (come ieri) a 247 punti, vuol dire che la differenza tra rendimento del titolo di Stato italiano e rendimento di quello tedesco è del 2,47%. Il rendimento è la remunerazione per il rischio accollato acquistando il titolo (e si può immaginare quanto può essere considerato turbolento un Paese con 2.300 miliardi di debito pubblico): rischio e rendimento volano alle stelle se subentrano altri fattori, dall'instabilità alla condotta no-Euro.
Spread su, dunque, equivale ad aumento dei tassi d'interesse sui titoli e maggior esborso per lo Stato. Ma non solo: alla lievitazione dei tassi consegue anche il crollo del prezzo dei titoli, circostanza che per le banche è una specie di shock. Le banche detengono infatti titoli di Stato per pascere il capitale, ma se il valore dei titoli diminuisce, le banche dovranno rimpolpare il capitale in qualche modo. «Gli istituti di credito - spiega Elia - hanno in pancia titoli che finiscono nel capitale: se si svalutano a causa dello spread, aumenta il rischio della banca, che si ripaga aumentando il tasso d'interesse di prestiti e mutui. Adesso peraltro si discute in Europa di parametri più restrittivi sul capitale accumulato dalle banche: devono accantonare più capitale rispetto alle sofferenze. Ma accantonando di più, sei portato a erogare meno prestiti. È questo il meccanismo col quale si trasmette la tensione dello spread». E si torna sempre lì: il colpo al Sud è ancora più esiziale. Riassumendo: lo spread dilatato comporta tassi d'interesse più alti per lo Stato, casse pubbliche impoverite, aumento dei tassi di prestiti e mutui, stretta al credito, riflessi sui bond delle aziende (anche qui i tassi crescono, perché risentono della credibilità dello Stato).



L'aiuto della Bce. Bando ai complotti però: non c'è una manina che porta su volutamente lo spread, o che invita gli investitori a vendere i titoli italiani. Detto che lo spread non è un'invenzione di questi anni, se la volatilità del sistema Paese si consolida, sono spesso degli algoritmi (tarati per ridurre i rischi) a vendere titoli di Stato e azioni di imprese italiane.
A calmierare gli effetti dello spread in questi anni ci ha pensato la Bce, la Banca centrale europea guidata da Mario Draghi: grazie al quantitative easing ha comprato titoli di Stato per 350 miliardi. «La Banca centrale europea - spiegavano ieri le agenzie - pur mantenendo uno sguardo vigile sull'andamento dei mercati data la crisi politica in Italia, al momento non vede ragioni per intervenire»: insomma, continuerà ad acquistare titoli, ma ritiene prematuro preoccuparsi dei depositi bancari. I fondamentali economici del Paese non sono in pericolo, la crescita si sente, «e infatti grazie a Industria 4.0 - aggiunge Elia - salgono gli investimenti fissi lordi delle imprese. Il punto è che vanno male le esportazioni».
Intanto lo spread ha frenato, attestandosi a 247 punti (l'altroieri era a 290), anche se gli effetti dell'incertezza si sono visti sul mercato primario dei Btp. Dall'11 maggio lo spread s'è impennato di 150 punti base: il calo del valore dei titoli di Stato detenuti dalle banche italiane è stimato in 5,2 miliardi. Ma l'effetto domino è su imprese e risparmiatori.
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