Tap, Lezzi sfida Salvini: «Sbagli, al Sud non serve». Il leader della Lega: «Io vado avanti»

Tap, Lezzi sfida Salvini: «Sbagli, al Sud non serve». Il leader della Lega: «Io vado avanti»
di Francesco G.GIOFFREDI
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Lunedì 6 Agosto 2018, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 12:33

Di questo passo, il gasdotto Tap rischia d'essere il simbolo di una potenziale, geometrica frattura nell'alleanza di governo gialloverde. Se non addirittura la vera e propria causa scatenante, insieme col Tav e col pacchetto delle grandi opere del dissenso, di un divorzio tra cinque stelle e Lega. Nonostante i riservati appelli alla cautela e al basso profilo sul dossier Tap arrivati da palazzo Chigi a ministri e sottosegretari, ieri Barbara Lezzi è passata al contrattacco, ancora una volta marcando l'antico profilo no al gasdotto, senza se e senza ma. E la ministra del Sud, pentastellata salentina, lo ha fatto replicando a muso duro al vicepremier leghista Matteo Salvini: «In Italia servono le infrastrutture ed in particolar modo ne hanno estremo bisogno il Sud e le aree interne del Centro-Nord. È la carenza di questo genere di investimenti che ha provocato una perdita ulteriore di posti di lavoro al Sud di 300mila unità durante gli anni della crisi. Non si è mai osservato il riparto della quota ordinaria degli investimenti per popolazione. Al Sud spetterebbe almeno il 34% e siamo a poco meno del 29%. Strade sicure, ferrovie, scuole, ricerca, università, bonifiche, anti-dissesto idrogeologico, energia pulita. Questi sono gli investimenti che l'Italia aspetta», e non il gasdotto da 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno.
Motivata dalla levata di scudi oltranzista di Alessandro Di Battista («il Movimento deve fare il Movimento, ribadendo i no sani che abbiamo detto, perché ci abbiamo preso i voti su quella roba là», ha detto sabato da Puerto Escondido l'ex deputato), Lezzi ha così rintuzzato la doppia sortita salviniana delle scorse ore. Il vicepremier aveva infatti spiegato, e ieri l'ha ulteriormente confermato: d'accordo la valutazione costi-benefici dell'opera così come da contratto di governo, ma «se alla fine arriverà quel gasdotto, l'energia per famiglie e imprese costerà il 10% in meno», e insomma «bisogna andare avanti». Principio sbandierato dal vicepremier non solo per Tap, ma per tutte le grandi opere.

+++Leggi anche: Grandi opere, il no di Lezzi a Salvini+++

A dire il vero però, quello di Lezzi rischia d'essere uno strappo in solitaria: gli altri ministri pentastellati ora tacciono, lo stesso Luigi Di Maio (vicepremier e titolare dello Sviluppo economico) traccheggia e non si sbilancia, il premier Giuseppe Conte ha già confermato la strategicità del metanodotto e della diversificazione delle fonti d'approvvigionamento energetico, pur garantendo la «valutazione delle criticità segnalate dalle comunità locali» (dopo l'incontro con il sindaco di Melendugno Marco Potì) e comunque ricordando «gli impegni già presi dal precedente governo». C'è un dato di fatto, incontrovertibile: di stop categorico al progetto non parla più nessuno nell'esecutivo gialloverde almeno con toni perentori. L'unica eccezione resta Lezzi. Eppure proprio la pentastellata salentina era stata la prima a ricordare «il trattato internazionale ratificato dall'Italia e di cui dobbiamo prendere atto»: ma evidentemente le contestazioni del territorio e le incertezze sul dossier Tap del governo l'hanno convinta a ritornare sui primordiali passi, quelli del no muscolare al gasdotto.
L'ipotesi della exit strategy da Tap rischia però d'essere molto più che residuale, anche per questo governo. Lo stesso Conte ha rassicurato Donald Trump, una settimana fa, sulla «strategicità dell'opera» («ne siamo consapevoli»). E i vincoli giuridici, i paletti degli accordi internazionali e i costi esorbitanti che un addio all'opera comporterebbe (da 20 a 70 miliardi) si affacciano sempre più nella valutazione costi-benefici in corso ai ministeri e a palazzo Chigi.

Conte probabilmente incontrerà di nuovo le comunità locali, magari non a stretto giro. Ma presto potrebbero essere convocate anche Tap e Snam (che fa parte del gruppo Cassa depositi e prestiti, è socia al 20% del Consorzio Tap e realizzerà l'infrastruttura d'interconnessione da San Foca alla rete nazionale). Il che vuol dire che nell'agenda del governo potrebbero presto entrare due temi: un eventuale spostamento dell'approdo qualche chilometro più a nord, e il pacchetto di ristori ambientali e investimenti compensativi per addolcire la pillola del gasdotto. Strategie ovviamente incompatibili con l'addio tout court al progetto.

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