Xylella, 10 dieci anni dopo. Intervista a Silletti: «Potevo salvare la Puglia ma il mio Piano fu boicottato»

Il commissario per l’emergenza ricorda i momenti più “caldi” del suo mandato

Xylella, 10 dieci anni dopo. Intervista a Silletti: «Potevo salvare la Puglia ma il mio Piano fu boicottato»
di Maria Claudia MINERVA
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Domenica 19 Marzo 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 18:09

A fine 2014 lo stato sulla diffusione di xylella in Puglia si mostrava allarmante e difficile da contrastare, al punto che la Regione Puglia prospettò l’esigenza di intervenire con mezzi e poteri straordinari. Il 10 febbraio 2015 il consiglio dei ministri deliberò l’istituzione dello “stato d’emergenza” e fu nominato commissario Giuseppe Silletti, allora comandante regionale del Corpo forestale dello Stato.
Generale Silletti, fino ad allora, aveva mai sentito parlare di xylella?
«Si, anche perché logisticamente la Forestale ha sede nel palazzo dell’agricoltura di Bari, per cui si parlava spesso di quello che stava accadendo nel Salento, sia con l’assessore Nardoni che con il direttore Papa Pagliardini. Tra l’altro, essendo io un agronomo, con tesi sulla patologia vegetale, la xylella era un argomento molto interssante».
Si aspettava di essere nominato commissario?
«Era stata prospettata la possibilità di far operare il Corpo forestale dello Stato e la scelta cadde su di me che ero comandante regionale».
Quale fu il primo provvedimento da commissario?
«La predisposizione del Piano di contrasto al batterio, elaborato entro venti giorni, che doveva tenere conto delle normative italiane ed europee».
Quali, invece, le prime difficoltà?
«Non ci furono difficoltà a scrivere il Piano di contrasto alla xylella, anche perché al mio fianco avevo i ricercatori, i tecnici dell’Osservatorio fitosanitario, i docenti delle Università impegnati nella ricerca. Un team di persone che lavorò per elaborare lo strumento migliore contro la batteriosi. Il tutto poi passava dal parere del Comitato scientifico nazionale».
Lei organizzò anche molti incontri nei territori per illustrare il Piano.
«Sì, incontrai agricoltori, associazioni, istituzioni, andai nei campi, ma quando si trattò di comunicare la necessità di abbattere gli ulivi malati per salvare quelli sani, allora cominciò una sorta di ostilità, che divenne sempre più forte, al punto che nemmeno il piano per la comunicazione fu più efficace. Difficile andare avanti quando si ha di fronte un muro invalicabile. Era come stare in guerra».
Contro il suo Piano furono, infatti, promosse manifestazioni con le quali si bloccarono strade, ferrovie e centri urbani. Tra Veglie e Oria vennero organizzate ronde per impedire gli abbattimenti.
«Ad agosto decidemmo di abbattere gli ulivi di Oria, il prefetto di Brindisi, dottor Prete, mi aiutò molto. Organizzammo circa 200 uomini delle forze dell’ordine, tra polizia, carabinieri, guardia di finanza e corpo forestale, le operazioni di abbattimento cominciarono alle due di notte. Era mai possibile che per applicare la legge si dovesse procedere in questo modo? Quando sento chiedere le differenze tra dieci anni fa e oggi, mi viene da dire: allora c’era la guerra, oggi è un’altra storia».
Quasi contestualmente partirono innumerevoli ricorsi al Tar, fino ad arrivare al sequestro delle piante malate da parte della Procura di Lecce. Anche lei fu iscritto nel registro degli indagati, insieme ad altre nove persone, con l’accusa di essere tra gli untori della xylella. Come si sentì, essendo anche un uomo dello Stato?
«Molto male. Non riuscivo a capire perché, nonostante la mia buona volontà e la mia buona fede, ero stato fermato, proprio da chi avrebbe dovuto aiutarmi. Io rappresentavo lo Stato e tutte le altre istituzioni, Procura compresa, avrebbero dovuto aiutarmi, come recita l’articolo 120 della Costituzione quando parla di leale collaborazione. Quella diffidenza giudiziaria sul mio operato mi mise, soprattutto sul piano morale, in grande difficoltà. Per il resto, ero tranquillo, perché agivo nel rispetto assoluto della legge».
A pochi giorni dall’apertura del fascicolo e dal sequestro degli alberi, si dimise. Perché?
«Perché non ero più nelle condizioni di eseguire il piano nella parte più importante. Le mie dimissioni, però, non furono mai approvate dalla Protezione civile, un gesto simbolico ma significativo, voleva dire che il capo della Protezione civile si fidava del mio operato».


Dopo il sequestro, i negazionisti festeggiarono, e il governatore Emiliano disse che se ci fossero state le condizioni la Regione si sarebbe costituita parte civile. Quale fu la sua reazione a quelle parole?
«Di grande rammarico e delusione: io stavo nella legalità, gli altri no. Motivo per cui non ho mai accettato il decreto di sequestro, perché non rispettata le norme imposte dall’Europa e condivise dall’Italia».
Il suo piano prevedeva lo sradicamento di tremila alberi, riuscì ad abbatterne 1.500. E, poi, fu boicottato. Di chi fu la colpa?
«Di tutti quelli che erano contro il Piano. Essere contro gli abbattimenti significa essere contro la legge. La Corte di Giustizia Europea sentenziò che le norme erano corrette e anche il Piano, che le aveva assorbite. Quella fu la mia grande vittoria».
E i politici?
«Alcuni di loro hanno delle colpe, altri sono stati alla finestra, guardandosi bene dal prendere una posizione chiara. Altri ancora, tra cui Fitto, L’Abbate, Palese, Amati, Pentassuglia, invece, si schierarono a favore del Piano perché si erano resi subito conto della gravità della situazione».
L’infezione andò avanti e scattò la procedura d’infrazione. Allora il governatore raddrizzò la rotta in direzione Ue, ma lei si era ormai dimesso. 
«Dopo le mie dimissioni, nel 2016 quando l’Ue avviò la procedura di infrazione contro l’Italia per non aver tagliato gli alberi malati, il presidente Emiliano disse che non poteva abbattere gli alberi perché c’era un decreto di sequestro. Dopo un po’ la Procura decise di dissequestrare le piante, ma l’infezione ormai dilagava».
Ha fatto pace con il presidente Emiliano?
«Ci siamo parlati».
La gestione della xylella resta difficile, anche a 10 anni di distanza. Le associazioni agricole, in questi giorni, sono tornate a chiedere la nomina di un commissario. Se la chiamassero, accetterebbe di nuovo l’incarico?
«Sì, ma solo a ben altre condizioni, cosi come si fa nei Paesi civili. Gli olivicoltori baresi sono molto preoccupati dell’avanzamento della xylella, il loro futuro è in pericolo, hanno bisogno di aiuto e per poterli aiutare è necessario un fronte comune con una struttura capace ed efficiente. 
Crede che la batteriosi in Puglia possa essere sconfitta?
«Temo di no, nel mio Piano c’erano i presupposti per farlo, lo dimostra il caso recente del focolaio di Canosa, dove il batterio della xylella è stato repentinamente eradicato e sconfitto. Io avevo individuato una trincea di dieci chilometri tra l’Adriatico e lo Jonio, oltre la quale il batterio non sarebbe dovuto passare. Poi sappiamo tutti com’è andata. Confido molto negli studiosi che continuano incessantemente il loro lavoro nella ricerca».
Tornasse indietro, cosa non rifarebbe?
«Rifarei tutto quello che ho fatto.

Ho solo agito rispettando la legge. Quanto accaduto ormai fa parte della storia, spero sia di monito per il futuro».

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