Il centrodestra pugliese, le Comunali e quattro problemi (ormai strutturali e datati)

Il voto di Foggia conferma i limiti della coalizione nelle elezioni locali. Come se ci fossero due centrodestra, uno nazionale e uno pugliese, e come se il governo Meloni fosse l'unico elemento di tenuta. E il prossimo anno si vota a Bari e Lecce

Un recente tavolo dei coordinatori regionali di centrodestra
Un recente tavolo dei coordinatori regionali di centrodestra
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 26 Ottobre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:20

Il centrodestra davanti allo specchio vede doppio, e la testa un po’ gira. Vertigine elettorale: il centro e la periferia come corpi troppo separati, e per ora non si intravede traccia di una vera strategia, almeno in Puglia. Un pericoloso campanello d’allarme in ottica 2024, quando si voterà a Bari e a Lecce e le amministrative saranno un cruciale viatico verso le Regionali dell’anno dopo. Il ritardo nelle scelte al momento è evidente, l’attendismo anche, la rosa dei nomi per ora sul piatto è ridotta al minimo e non infiamma, e le elezioni di Foggia (meno del 25% per il candidato di centrodestra) pongono interrogativi.


E allora: c’è il centrodestra maggioritario sulla scena nazionale, nell’opinione pubblica, nel sentiment social, nei sondaggi, non eccessivamente intaccato dai primi stress test affrontati dal governo Meloni. E poi c’è il centrodestra su scala locale che, quantomeno in Puglia, è la pallida copia di una coalizione che punta a un ruolo egemone: unita, ma solo nel corto respiro della campagna elettorale; litigiosa a denti stretti, tanto quanto basta per non farsi attraversare da fratture insanabili; intrappolata in un gioco di veti, antichi veleni, ambizioni personali di piccolo cabotaggio; incapace, soprattutto, di proporre un ceto politico realmente alternativo e competitivo con la (vasta) galassia che gravita attorno a Michele Emiliano. La sensazione è che il cemento del governo nazionale sia l’unico, vero fattore di tenuta, e che Giorgia Meloni e la sua agenda (finché reggono) siano l’esclusivo atout, la chiave e il motore per raccogliere voti. Ora le elezioni di Foggia - pur con tutti i distinguo, i “se”, i “ma” e le non poche peculiarità di contesto - riaccendono il dibattito: perché in Puglia il centrodestra non riesce a invertire la rotta quando in ballo ci sono l’amministrazione regionale o le principali partite comunali? Certo, c’è il caso Brindisi: ma il voto nel capoluogo messapico della scorsa primavera sembra perlopiù un episodio isolato, che pure consegnava delle lezioni poco tesaurizzate e per nulla messe a capitale dai partiti della coalizione.

Il centrodestra in Puglia ha allora almeno quattro problemi, ormai strutturali e datati. 

Il primo problema: il collante in Puglia

Il primo, già accennato: non c’è un vero collante di coalizione, escludendo lo “spago del governo Meloni” che tutto lega e tiene insieme e che non sempre basterà. I partiti, già a Roma e dintorni inclini a marcare identità e offerte politiche ben distinte (e a volte distanti) anche in ottica elezioni europee, in Puglia faticano da anni a dialogare e a coagularsi attorno a un progetto comune. Una difficoltà palpabile in prossimità delle scadenze elettorali, ma altrettanto tangibile anche nella sfilacciata e spesso evanescente attività d’opposizione in Consiglio regionale. Al fondo, ci sono incrostazioni e ruggini stratificate nel tempo, tra partiti, tra massimi dirigenti e persino all’interno delle stesse forze politiche. E, nonostante il centrodestra pugliese offra alla causa nazionale cavalli di razza (come Raffaele Fitto), non c’è più una leadership unica in grado di catalizzare scelte e appeal elettorale. L’esempio delle Regionali 2020, quando proprio il ministro del Pnrr e della Coesione era candidato (sconfitto) alla testa della coalizione, è lampante: il “non detto” - sussurrato a mezze labbra dai fittiani - era che non tutti avessero remato nella stessa direzione, come se ci fosse stato il sottile piacere della vendetta da parte di settori del centrodestra. Si procede, quasi sempre, in ordine sparso o giù di lì.

Il secondo problema: fare squadra

Il secondo problema, collegato al primo: la paura del passo di lato, a vantaggio di una maggiore visibilità dell’alleato. Un gioco delle ombre che atrofizza la coalizione e che si traduce in personalismi piuttosto marcati, ma che quasi mai poggiano su personalità forti, politicamente e mediaticamente.

Il terzo problema: il ricambio della classe dirigente

Terzo: il timido ricambio della base dirigente e il limitato allargamento della coalizione al civismo. Da ormai molti anni il centrodestra non riesce a coltivare un vero e proprio vivaio di amministratori e di volti nuovi, e quando pure accade non vengono adeguatamente valorizzati, non di rado finendo tra le braccia di Emiliano. Il reclutamento in senso opposto - e cioè da parte della destra pescando a sinistra - è pressoché nullo, e i flussi sono soltanto da un partito all’altro di centrodestra, circostanza che peraltro accentua malumori e spigolosità. Lo sfondamento nel civismo è quasi inesistente: a Foggia il centrodestra era a cinque liste, il centrosinistra a dieci, e insomma i numeri parlano chiaro. A destra hanno perlomeno un’attenuante, che è tanto causa quanto effetto dell’impoverimento del gruppo dirigente “diffuso”: stare ai margini del governo regionale e delle principali città per interi cicli non aiuta e non consente di sfruttare le leve del potere. Un circolo vizioso.

Il quarto problema: il metodo di scelta dei candidati

Quarto problema, infine: il metodo. Nella scelta dei candidati, soprattutto quando la posta in gioco è alta, il centrodestra si attorciglia tra tavoli locali perlopiù interlocutori, che discutono senza scegliere, finché la palla – a ridosso del voto, spesso troppo a ridosso – non arriva ai livelli nazionali e alle rigide logiche di spartizione della torta nazionale delle candidature. Per Bari e Lecce il rischio è di infilarsi nello stesso vicolo cieco, in un clima alterato dalla cautela difensivistica dei big player pugliesi di centrodestra e da un gioco fin qui al ribasso. Come se una miracolosa soluzione prima o poi dovesse piovere dall’alto, magari giocando di rimessa rispetto alle mosse degli avversari.
In conclusione: il vento nazionale di destra, che ancora gonfia le vele di Meloni &co, non sarà sempre sufficiente. E nel 2024, tra Bari e Lecce, sarà l’ultima opportunità concessa al centrodestra per mettere in discussione la supremazia della coalizione larga di Emiliano.

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