Celiachia male di famiglia: la prevenzione inizia in gravidanza

Il progetto Neocel della Federico II di Napoli coinvolge i consanguinei dei pazienti seguiti dal Policlinico

Celiachia male di famiglia: la prevenzione inizia in gravidanza
di Maria Pirro
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Giovedì 9 Marzo 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 10:48

Andrea D. P. a cinque anni piangeva: aveva la pancia gonfia e una stipsi ostinata.

Per questo motivo, la mamma lo aveva portato, su indicazione del pediatra, nell’ambulatorio che cura la celiachia al Policlinico della Federico II di Napoli, e, un attimo dopo, aveva eliminato pizza, pane e pasta dalla credenza di casa. Sua zia aveva già sofferto di un’anemia dovuta al malassorbimento del ferro e, da ragazza, aveva subito diversi aborti spontanei prima di individuare l’origine di tutti i mali nell’intolleranza al glutine. Sua nonna, invece, aveva scoperto in tarda età di soffrirne: solo quando si era fratturata il femore, non dopo una rovinosa caduta, ma per l’osteoporosi grave causata dalla stessa malattia, la celiachia, che ha colpito anche altri due nipotini, in questi ultimi casi, però, senza conseguenze sulla salute. Per uno, lo screening è stato predisposto a 24 mesi, in anticipo sui sintomi; per l’altro, il più piccolo, sin dalla nascita, grazie al progetto “Neocel”, che coinvolge i consanguinei dei pazienti seguiti nel centro universitario. La ragione è chiara: fattori genetici determinano un rischio maggiore di sviluppare la malattia rivelatasi sistemica, che può cioè attaccare qualsiasi organo o apparato, rallentando la crescita. Ma, a incidere, è pure l’alimentazione nei primi anni di vita. La prevenzione, dunque, è fondamentale. Meglio se comincia in gravidanza, prosegue con l’allattamento e, sin dall’infanzia, passa attraverso una dieta attenta. Vuol dire, ad esempio, che con il semolino e i biscotti non bisogna esagerare perché possono scatenare la reazione immunologica. «E, ancora prima dello svezzamento, il bimbo a rischio mostra segni di infiammazione che potrebbero essere dovuti anche a quel che ha mangiato la mamma nei mesi precedenti al parto e che dimostrano l’importanza di approfondire questi e altri aspetti tramite test specifici, in modo da prevedere contromisure persino in utero», dice Renata Auricchio, professore associato di Pediatria alla Federico II, che riassume i risultati dell’ultima ricerca scientifica pubblicata su Front Imunol.

IL RAPPORTO

La celiachia è infatti «questione di famiglia»: ne soffre una persona su 5-10 tra i parenti di primo grado, e una su 70 in Italia, ovvero l’1 per cento della popolazione, stando ai risultati del rapporto annuale presentato in Parlamento. Ma, nella realtà, gli intolleranti al glutine sono di più: per ogni diagnosi, cinque non vengono intercettate, anche se il protocollo per il monitoraggio oggi è meno invasivo e più rapido. «Non si pratica quasi mai la biopsia intestinale, si valutano i dosaggi degli anticorpi anti-transglutaminasi tramite un semplice prelievo di sangue», spiega Riccardo Troncone, già presidente della Società internazionale per lo studio della malattia celiaca, che certifica un aumento considerevole di casi. «Riconducibili appunto a fattori come l’alimentazione non equilibrata e le infezioni virali contratte presto. In particolare, la dieta occidentale, quella povera di sostanze che fanno bene come frutta, verdure, legumi, sembra favorire gli effetti collaterali», rimarca. Il professore universitario con Auricchio segue tremila bambini alla Federico II. «Tra loro, 200 bimbi sono stati coinvolti nel progetto “Neocel” che ha consentito di rilevare un marcatore specifico per questa patologia», aggiunge. E altri lavori scientifici sono in corso negli Stati Uniti (coordinati da Alessio Fasano) e in Svezia (con lo studio Teddy guidato da Daniel Agardh, incentrato sul pericolo di diabete tipo 1, frequentemente associato alla celiachia).

Insomma, la cura deve iniziare a tavola, il prima possibile: è l’unico rimedio al momento efficace.

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