MONASTIER (TREVISO) - Scivola sulla pista da ballo bagnata dai cocktail e si rompe polso e piede. Il locale della movida trevigiana, Casa di Caccia, condannato anche in appello a risarcire con oltre 40mila euro la donna ma la battaglia della 66enne mestrina vittima dell'incidente non è ancora finita. Infatti, la società Gicar srl della famiglia Venerandi che all'epoca dei fatti, nel 2012, gestiva il noto locale notturno di Monastier è stata messa in liquidazione e proprio all’indomani della sentenza è stata pure cancellata e dovrà essere quindi intraprendere anche un’azione “fallimentare” per recuperare gli oltre 40mila euro di risarcimento stabiliti in ben due gradi di giudizio, che però di fatto sfiorano i 60mila euro contando anche le ulteriori rivalutazioni e le spese legali. La colpa del locale? Quella di non aver ripulito la pista di ballo resa una "saponetta" dai cocktail versati dai presenti. Proprio l'effetto scivoloso ha fatto cadere a terra la donna che si è fratturata un polso e un piede.
Cade sulla pista da ballo, la storia
L’infortunio risale a oltre dieci anni fa, precisamente alla notte di Ferragosto del 2012. La malcapitata si era recata in compagnia di amici alla Casa di Caccia per passare una serata di festa ballando e ascoltando musica ma durante un ballo è scivolata su una chiazza di liquido, verosimilmente del drink rovesciato da qualche altro cliente, che aveva reso la superficie insidiosa. Una caduta rovinosa che le ha causato la frattura del polso destro e del quinto metatarso del piede destro, con le relative conseguenze: gesso, lunga inattività, visite mediche, fisioterapia e un’invalidità permanente residuata quantificata nell’11% dal consulente tecnico medico legale che avrebbe poi nominato il giudice. Non bastasse, infatti, la sessantaseienne è stata costretta ad adire le vie legali. Così la donna si è affidata allo Studio3A-Valore Spa che ha provato subito la strada dell'accordo stragiudiziale con la società che allora gestiva il locale, la Gicar srl della famiglia Venerandi, che si è però opposta.
LA SICUREZZA
La legge impone al titolare di un pubblico esercizio di tutelare la salute e la sicurezza dei clienti, pertanto, il legale ha proceduto a una citazione in causa avanti il tribunale civile di Treviso seguita dall’avvocato Andrea Piccoli.
LA SENTENZA
In definitiva, concludeva la sentenza, “la società non ha fornito prove che la condotta della danneggiata, intervenendo nella determinazione dell’evento, si sia tradotta in un impulso autonomo dotato dei caratteri dell’imprevedibilità e inevitabilità, unica condizione per escludere la responsabilità del custode. Nulla quaestio che la responsabilità dell’accaduto vada imputata a Gicar srl che, in qualità di gestore dell’immobile in cui si è verificato il sinistro, va ritenuta custode del bene ad ogni effetto di legge, avendone avuto la disponibilità di fatto e trovandosi rispetto alla cosa in una relazione qualificata con relativo obbligo di custodia”. Chiarito “l’an”, il giudice aveva poi determinato il “quantum”, cioè il risarcimento dovuto, quantificandolo in 40.249,89 euro tra danno biologico, danno patrimoniale, interessi al tasso annuo del 3 per cento e refusione delle spese di lite.
LE PRIME CURE
Nonostante la condanna su tutta la linea, però, Gicar, attraverso il proprio legale, ha pure appellato il verdetto di primo grado, costringendo la danneggiata ad un ulteriore grado di giudizio ma nei giorni scorsi la Corte d’Appello di Venezia ha depositato anche la sentenza d’appello, confermando integralmente quella di prime cure. La quarta sezione civile, presieduta dal giudice dottore Marco Campagnolo, ha infatti rigettato come infondati entrambi i motivi di appello proposti dalla società, sia quello con cui Gicar tornava a sostenere la sua “ricostruzione alternativa” del fatto, “che non trova alcun conforto probatorio” spiega la Corte, confermando il pieno credito alla versione fornita dalla sessantaseienne, “confermata univocamente dai testi oculari introdotti dalla parte lesa senza contraddizioni, perplessità o incertezze”, sia quello con cui si contestava la quantificazione del risarcimento, per pervenire alla quale, asserisce la Corte d’appello lagunare, “il giudice di primo grado si è scrupolosamente attenuto, con riferimento al danno biologico, temporaneo e permanente, alle conclusioni della espletata consulenza tecnica, rispetto alla quale peraltro i consulenti di parte non hanno sollevato alcuna osservazione critica”. Confermata quindi anche la somma stabilita del giudice di primo grado, ma la società che gestiva Casa di Caccia dovrà sborsare diversi altre somme tra interessi, essendo trascorsi altri tre anni, e spese legali essendo stata condannata anche a rifondere alla controparte tutte le spese di lite del secondo grado, per una cifra complessiva che sfiora i 60mila euro.
IL PASSIVO
Tutto finito, dunque? Non proprio, perché nel corso di questo decennio Gicar è stata messa in liquidazione con in capo un pesante passivo e proprio all’indomani della sentenza d’appello è stata pure cancellata dal Registro Imprese della Camera di Commercio non avendo presentato il bilancio negli ultimi tre anni. Adesso quindi bisognerà pure procedere con un’istanza di fallimento e con l’insinuazione nel passivo, ma con buone speranze di poter finalmente recuperare quanto dovuto considerato che la famosa discoteca è gestita sempre dalle stesse persone e dalla stessa famiglia, sia pur attraverso assetti societari diversi.