Fiorella Mannoia: «Sui diritti delle donne c'è tanto da fare, la musica può servire»

Fiorella Mannoia: «Sui diritti delle donne c'è tanto da fare, la musica può servire»
di Alessandra LUPO
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Domenica 2 Luglio 2023, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 18:40
I diritti delle donne su cui c’è da lavorare tanto, intervenendo sulla mentalità. Ma anche la responsabilità di chi fa musica e può arrivare alla persone e poi la vocazione all’accoglienza che l’Italia come paese deve continuare a dimostrare. 
Nelle pause del suo tour al fianco del musicista jazz e amico di sempre Danilo Rea, Fiorella Mannoia fa tappa in Puglia dove ad agosto dirigerà il Concertone de La Notte della Taranta. 
Fiorella Mannoia, l’ultima volta che fu su quel palco si ruppe un piede. Non proprio un bel ricordo quindi?
«Dico sempre che mi ruppi un piede ma ne valse la pena. Quella volta cantai e ballai talmente tanto che non mi accorsi della fatica ma mi resi conto di cosa voleva dire essere pizzicati dalla Taranta». 
Di fatto in questo momento sta portando avanti un tour decisamente più tranquillo al fianco di Danilo Rea. Una scenografia minimale di luci e palco, in tempi di intelligenza artificiale e maxi schermi. È la sua maniera di fare appello a un ritorno all’essenza? 
«Sì, è un ritorno all’essenziale: c’è una voce e un pianoforte, e tantissime candele a terra. Non ci sono effetti speciali e proiettori».
Il pubblico come reagisce?
«Ci sta dando grandi soddisfazioni. Poi la scaletta è davvero ricca, un viaggio nella musica attraverso le canzoni che hanno fatto parte della nostra vita. La gente le conosce, canta con noi: è una festa. Poi, suonando insieme a un jazzista, non si esegue mai due volta la stessa canzone. Noi ci conosciamo da tanto tempo e questo ci da modo di guardarci negli occhi e poterci prendere la nostra libertà artistica. Un repertorio che ha fatto parte della nostre vite e che in un momento come questo, in cui la musica è un po’ carente di melodie e anche di contenuti».
Un ritorno anche alla sostanza quindi?
«Sì, delle canzoni e di tutto il resto, credo che ce ne sia bisogno».
A proposito di sostanza, lei è da poco stata in Emilia per Italia Loves Romagna, dove ha rilanciato il progetto “Una nessuna centomila”, in sostegno delle donne vittime di violenza, che avrà una seconda edizione. E a Milano ha ritirato il premio “Donne, Non Pupe” . L’ultimo periodo ci ha dimostrato che in fatto di violenza di genere non c’è limite al peggio. Parlarne ha un’utilità?
«Parlarne serve a mettere il problema al centro, perché questo problema sembra trovare soluzione e non dobbiamo stancarci di combattere e denunciare perché il rischio è che una donna uccisa non faccia più notizia. Continua a morire una donna ogni tre giorni e il movente è sempre uno: la non accettazione del rifiuto. La non accettazione che una donna possa lasciare un uomo. Il nostro impegno più grande deve essere quello di cambiare la mentalità, sia maschile sia femminile, perché anche noi dobbiamo cambiare il modo di pensare e questo va fatto al più presto e in tutti i modi».
In questo crede che la musica possa parlare un linguaggio che arriva dove gli altri si fermano ?
«Certamente la musica ha un grande potere di aggregazione, anche rispetto alle altre forme espressive. Il potere che ha la musica di raggiungere gli essere umani non ce l’ha nemmeno la politica. Dai palchi abbiamo la possibilità di prendere posizione, di lanciare imput di riflessione. Per questo abbiamo una grande responsabilità e dobbiamo utilizzarla».
Per questo ha promesso di voler dare voce alle donne anche dal palco della Notte della Taranta?
«Diciamo che anche nei canti popolari salentini la figura femminile è preponderante, sia che si tratti di canti d’amore sia che si tratti di canti di lavoro, di matrimoni combinati».
La denuncia della condizione femminile si faceva strada anche attraverso la musica di tradizione, quindi...
«In questo contesto la condizione femminile viene spesso descritta nella sua realtà. Noi cercheremo, sempre nel rispetto della tradizione, di dare corpo a questo contenuto, anche valorizzando le voci dell’orchestra». 
Un aspetto a cui intende dare voce e corpo anche attraverso le scelte artistiche. Si parla di una serie di brani che lei interpreterà. Sappiamo che ha scavato molto negli archivi scovando perle come Niceta Petrachi, La simpatichina. E altro ancora. Ci anticipa qualcosa?
«T’aggiu amata comu na rosa”, è infatti un uno dei sei titoli che ho deciso di tenere per me e interpretare, Ma non farò altre anticipazioni».
C’è qualcosa che l’ha colpita di più di questo patrimonio?
«Mi ha colpita letteralmente tutto. Sia in termini di contenuto che musicali. Parlo a nome anche di Carlo Di Francesco: un percussionista che si trova ad arrangiare il patrimonio della Taranta è come se si trovasse su una giostra. Siamo venuti a contatto con canzoni e melodie, ma anche con i musicisti dell’orchestra, che ci hanno portati in un vero viaggio. Anche all’interno delle contaminazioni che abbiamo avuto in questo paese». 
Lei ha infatti parlato della Taranta anche come di trionfo del meticciato. Un meticciato che si deve alla enorme contaminazione culturale che ha da sempre caratterizzato il nostro paese. E che torna spesso di grande attualità anche sul piano politico. 
«Nella musica di tradizione si rintracciano contaminazioni greche, arabe, albanesi. La figura dell’italiano non ha senso: siamo un miscuglio di spagnoli, francesi, austriaci, arabi. Noi siamo un misto di tutto e nella musica popolare delle varie regioni vengono fuori con chiarezza tutte le nostre contaminazioni».
Anche in questo crede che la musica possa dare un messaggio di apertura e superamento di alcuni schemi di pensiero?
«La musica non ha mai avuto la pretesa di cambiare il mondo. Almeno io non l’ho mai avuta però se riesce a dare un motivo di riflessione e ragionamento su quello che siamo e dove stiamo andando è già una gran cosa». 
Dove stiamo andando?
«Se parliamo di meticciato credo che contrastare l’immigrazione oggi sia come cercare di raccogliere l’acqua dell’Oceano con il cucchiaio. Il mondo sta cambiando, i popoli si spostano come nella storia hanno sempre fatto. Noi dobbiamo solo cercare di essere pronti a questo cambiamento perché negarlo e mettersi di traverso non serve a niente. Il rispetto delle regole va ribadito ma dobbiamo metterci in testa che siamo in una nuova era: sta cambiando il clima e sta cambiando l’umanità, che si allontana dalla guerra e dalla carestia, e noi dobbiamo cercare di rimanere umani e accogliere come meglio possiamo. Chi nega che questo stia avvenendo mente».
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