La Pfm canta De André. «Abbiamo sempre osato, ma la musica d'autore non ha più appeal»

Franz Di Cioccio voce e batteria e Patrick Djivas al basso
Franz Di Cioccio voce e batteria e Patrick Djivas al basso
di Claudia PRESICCE
6 Minuti di Lettura
Venerdì 1 Marzo 2024, 05:00

La formazione della PfmPremiata Forneria Marconi che arriverà stasera in Puglia è di quelle da far girare la testa: Franz Di Cioccio voce e batteria, Patrick Djivas al basso, Lucio Fabbri al violino, Marco Sfogli chitarra elettrica, Alessandro Scaglione alle tastiere, Eugenio Mori alla batteria. Poi tre special guest: Flavio Premoli pianoforte e moog, Luca Zabbini tastiere e voce, Michele Ascolese alla chitarra acustica. È quella completa delle grandi occasioni, degna di celebrare il tour dei sold out della progressive band italiana più famosa al mondo: “PFM canta De André Anniversary” 45 anni dopo l’incontro con Faber.

Un live dedicato a Faber

Al centro c’è la memoria di un’intesa artistica che cambiò la storia della musica d’autore italiana tra PFM e il cantautore poeta genovese. E c’è il mito inossidabile PFM: per la rivista “Classic Rock” la PFM è al 50esimo posto tra i 100 migliori artisti più importanti del mondo, “Rolling Stone” UK ha inserito l’album “Photos of ghost” al 19esimo posto tra i dischi più importanti della musica progressive, e nel 2019 la rivista “Prog UK” ha messo Franz Di Cioccio tra le 100 icone della “musica che hanno cambiato il nostro mondo”. Sipario dunque oggi a Bari al Teatro Team (ennesimo sold out) e domani sera a Gallipoli al Teatro Italia alle 21 (ingressi da 34 euro).

Dai ricordi di ieri al presente, due decani della PFM si raccontano qui come ragazzini divertiti dal far musica e dagli incontri fortunati, loro che dai primi anni Settanta il mondo lo hanno girato davvero, visto cambiare, restando fedeli suonatori di sogni. Tenaci e felici. Sarà per questo che i giovani, di ieri e di oggi, continuano ad esserne incantati.


Franz e Patrick quale segreto nasconde il successo di questo tour dopo 45 anni? Si potrebbe pensare sia anacronistico, perché celebra la memoria di un antico incontro in un mondo che invece tutto mastica e ingoia veloce. E poi perché racconta di due storie musicali diverse, riunite sul palco in una favola nuova fatta da rock e poesia, cosa fuori tempo in stagioni di individualismi.
Franz: «Il segreto è che noi siamo in effetti musicisti di esperienza avendo battuto davvero tanti palchi e paesi, e ogni volta rifacciamo tutto con una passione interna e un’emotività incredibili. Questo tour riporta al pubblico bellissimi momenti letterari, cioè le canzoni di Fabrizio, insieme a momenti musicali nostri. Non facciamo con lui “una” canzone, facciamo la Pfm che fa musica libera improvvisando nell’humus della parte letteraria scritta da Fabrizio, una musica che riempie e veicola poesia. La risposta del pubblico arriva in base alla proposta artistica che abbiamo inventato, unica oggi perché l’abbiamo imparata dai colleghi dell’epoca: Bob Dylan faceva queste cose, ma anche Jackson Browne».
Patrick: «Mi piace la parola “anacronistica”, perché è vero che oggi non si capisce come mai facciamo sold out tutte le sere, noi quando lo dovrebbero fare i ragazzi. Ma d’altro canto la musica è stata sempre una marcia in più della società, soprattutto dei giovani: negli anni Settanta la musica riuscì ad accomunare i ragazzi di tutti i paesi come una lingua universale e crearono i ragazzi un mercato enorme e quindi una realtà da considerare. Oggi è proseguita con l’invenzione dell’informatica, e hanno cambiato il mondo. La musica ha avuto sempre un ruolo sociale importante, e oggi il mainstream è ancora accanto ai giovani. Loro non hanno più le parole, gli mancano perché non si incontrano, si scrivono brevemente, non sono abituati a discutere tra loro. E per questo i brani oggi hanno poca musica e grande quantità di parole. La musica segue le problematiche della società. E poi Fabrizio resta un faro luminoso capace sempre di parlare a tutti, poesia che comunica. Con la nostra musica è facile amarlo ancora di più».


Se doveste raccontare a chi non c’era che cosa è cambiato dentro di voi, com’eravate prima e come siete stati dopo l’incontro con De Andrè, da dove iniziereste?
Franz: «Io ho incontrato Fabrizio in vacanza e abbiamo capito che c’erano molte affinità da cui partì la nuova storia. Lui aveva questa poetica tra le mani, ma sembrava Jackson Browne senza una band. E allora io gli raccontavo nel resto del mondo che cosa facevano Bob e Jackson con i loro musicisti, e che lui non poteva stare da solo. Lui sentì il profumo di un sogno da coltivare, e col tempo abbiamo pensato di fare un disco insieme. Ecco l’incipit, lui decise contro tutti che lo sconsigliavano a misurarsi con gli spazi enormi della mia batteria e la spinta forte del nostro basso. Ma dissuadere Fabrizio non è facile, ha deciso e ha fatto il salto con la PFM. Arrivò in studio che non immaginava quello che sarebbe successo e ne fu sbalordito: gli abbiamo messo in mano una situazione artistica forte ed era felicissimo, non credeva alle sue orecchie. Abbiamo avvolto la sua poesia».
Patrick: «Ognuno di noi è cambiato intimamente dopo quell’incontro: io ho imparato da Fabrizio la capacità di realizzare le cose dando enorme spazio alla fantasia. Lui sapeva organizzare un’enorme fantasia e farla diventare testo perfetto, e per me fu una lezione di vita. E poi ci sono stati cambiamenti nel lavoro: Fabrizio divenne ottimo arrangiatore e dette molta più importanza alla musica rispetto a prima, diventando l’artista più completo che c’era in Italia. E noi dopo di lui abbiamo fatto il disco “Suonare suonare” che dava rilievo ai nostri testi: lui ci spiegò che dovevamo scriverli noi».


Che cosa è rimasto oggi della musica impegnata di quella stagione di canzone d’autore?
Patrick: «Qualcosa è rimasto e ogni tanto si sente, manca forse la continuità della proposta. Ci sono rap nel mainstream di oggi che convincono, penso ad Anastasio con cui siamo stati a Sanremo che è davvero dotato. Musicalmente ci sono poi musicisti straordinari in Italia che però non hanno visibilità, perché la musica d’autore non ha più l’appeal che aveva negli anni Settanta. Matteo Mancuso è uno dei migliori chitarristi del mondo, amato dagli americani, ma in Italia poco noto. E c’è molta più scuola rispetto alla nostra stagione: chi ha talento naturale può crescere. Ognuno dovrebbe dare sempre il massimo di sé, in ogni campo».
Franz: «Credo che sia necessario osare e inventare esperienze senza aspettare che qualcosa si muova intorno. Noi con Fabrizio abbiamo fatto canzoni insieme, non ha scritto per noi; la PFM ha sempre avuto voglia di osare. Oggi siamo ancora felici di suonare, di fare il nostro concerto “diverso”, e oggi di tornare in Puglia».

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