Sangiorgi: tre fratelli, «un corpo unico». L'altro volto dei Negramaro

Giuliano, Luigi e Salvatore Sangiorgi
Giuliano, Luigi e Salvatore Sangiorgi
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 10 Dicembre 2017, 18:45
Facciamo così. Proviamo a raccontare tutto da un altro punto di vista. Diverso. Non sarà facile, non sarà impossibile. Molto è stato detto, ogni cosa vista, condivisa, moltiplicata; i retroscena svelati, spiegati, sezionati, ricuciti. Ogni strofa imparata a memoria, ogni canzone ripetuta, cantata, urlata. Ogni rimando corredato di senso. Come i più belli, come i più dolorosi. Come la vita, che scorre densa, attraversa i giorni, si sedimenta nelle emozioni e alla fine, distillata dai ricordi, setacciata dai brividi, dalla memoria, affiora sulla pelle, scivola dalle dita. Diventa musica, si trasforma in poesia. Detto così è semplice. E infatti lo è, detto così. Poi si spengono le luci, tacciono le voci. E c’è un’altra storia da raccontare. Proviamoci.

Il messaggio d’invito strizza l’occhio (ogni tanto scappa, come prima le citazioni: bravo chi le scova). “Ho pensato che potrebbe essere interessante raccontare i Negramaro da un altro punto di vista: tutto quello che si muove alle loro spalle, nell’ombra. I dubbi, le tensioni, infine il successo... E quindi raccontare di voi, che siete molta parte di tutto questo. Importanti accanto a un fratello importante. L’altra faccia di uno stesso fenomeno. Bene: mi pare di avervi lisciato abbastanza. Qual è la vostra risposta affermativa?”. Salvatore e Luigi aprono la porta. Per il nuovo studio è il primo giorno di vita. Sono arrivati i mobili, appena affisse al muro le targhette con i loghi delle società. “Edizioni musicali Sangiorgi”, “Casa 69”. La prima tiene insieme i tre fratelli, loro e Giuliano. La seconda i sei componenti della band, e quindi anche Emanuele Spedicato, Ermanno Carlà, Danilo Tasco, Andrea Mariano e Andrea “Pupillo” De Rocco. L’una rimanda a San Giuseppe da Copertino: lo stesso disegno che Giuliano aveva tracciato e fatto stampare sul primo album, “Negramaro”; l’altra, invece (simbolo stilizzato da Ermanno, che con Irene Pagliara, la moglie, cura l’artwork del gruppo), rimanda alla factory in cui la band made in Salento ha abitato a lungo, a Parma, civico 69, un numero un programma, ognuno una stanza, ogni stanza un’idea, a fare sintesi solo (solo?) il caos creativo confluito in un album multiplatino, il più rock. Poi la Rivoluzione. Ora è già futuro. Un anno fa non c’era nulla. Non c’era più neanche la band.

Lo studio è in via Cosimo Mariano 168. Non Milano, non Roma. Copertino. «La scelta rientra in una logica di sostegno del territorio», spiegano. Per meglio dire, ci sono tutti gli studi lì al primo piano: le edizioni musicali da una parte e gli avvocati dall’altra. E cioè sempre loro: Salvatore e Luigi, i grandi di casa, 43 e 40 anni. Giuliano segue a breve distanza, 38. Stesso percorso per tutti: il Classico al Palmieri di Lecce, come i genitori, e poi Giurisprudenza. Il piccolo ha “divagato” strada facendo per seguire passione e inclinazione, Dio gliene renda merito: dal tocco e toga alla toccata e fuga. La famiglia è anche questo. «Siamo l’evoluzione naturale di un corpo unico», dicono i due in nome e per conto anche del terzo. Lo rappresentano in tutto, sempre. «Si fida e si affida», giurano. Uno l’estro, l’altro l’energia, l’altro ancora l’equilibrio. Sulle identità fate voi.

Giuliano è appena rientrato per festeggiare con mamma Carmelina la posizione numero uno in classifica del nuovo album, “Amore che torni”, il primo che alla “Sugar” di Caterina Caselli ora affianca le due etichette di casa. Pizza, verdure cotte, spumante. Nipotini. Qui si festeggia senza orpelli. Papà Gianfranco lo sa da lì. Non c’è più dall’11 gennaio 2013. «I nostri genitori si sono sposati giovanissimi, sono sempre stati complementari: siamo cresciuti assieme, gli insegnamenti li abbiamo appresi per osmosi». Uniti senza essere chiusi. «Ci hanno fatto vedere noi stessi negli altri. Educati al rispetto, alla solidarietà. Alla cultura. Non c’erano molti soldi, facevamo scorpacciate di libri. E quando arrivò la prima ondata di albanesi mio padre spese tutto per riempire il portabagagli di alimenti e indumenti, e noi dietro a lui e alla mamma per portare in auto pacchi e pacchetti al porto di Brindisi. Indimenticabile. Allo stesso modo più tardi usò buona parte della sua liquidazione per donare il fonte battesimale a una chiesa di periferia, lui che era insieme mangiapreti e amico del cardinale De Giorgi. Non volle né targhe né ringraziamenti. Papà non imponeva, non chiedeva. Semplicemente faceva. La libertà e l’umanità su tutto. Un trascinatore, un capobanda. Come Giuliano». La dote conviviale è patrimonio genetico del ramo materno della famiglia. Massima espressione nonna Stella. Se passate e suonate, ancora oggi troverete sempre un posto a tavola e un piatto pronto. Da piccoli mamma, zie e cugini erano tutti lì a studiare, la crema alla nocciola pronta nella scatola di latta. Se la diversità è ricchezza, la numerosità deve essere allegria. Si parte da qui per capire.

Evoluzione di un corpo unico, dicono. «Tolto il talento di Giuliano, siamo uguali». Stessa passione per la Vespa, per dire. Solo un esempio. Spiega molto. Il grande di casa la ebbe in regalo, il piccolo la prese in usufrutto: nel senso che la usò e la fece fruttare. «Con quella andavamo su e giù da Porto Cesareo in tre. Non prima l’uno e poi l’altro, no: proprio tutti assieme. Un giorno Giuliano se ne tornò con un modello più vecchio: sosteneva che vintage fosse più cool...». Con i primi guadagni ne ha comprata una ciascuno; Salvatore e Luigi, invece, avevano già provveduto con le chitarre. Osmosi. E simbiosi. Lo hanno seguito agli esordi, incollando manifesti dappertutto, per i primi concerti nei pub, il Triade di Copertino, il Candle di Lecce, il Mata Hari di Cutrofiano... Lo seguono ora per i mega-eventi, San Siro a Milano, l’Olimpico a Roma... Avvocati on the road. «Cambiano le dimensioni, ma le emozioni restano immutate. Eravamo sempre insieme, continuiamo a esserlo. Ogni volta è sempre il “nostro” concerto. Una grande festa come agli inizi, quando ad ascoltarli erano in dieci nei locali di provincia». Rapporti solidi. Resistenti agli urti. Serve? Hai voglia.

La piega professionale è nella specializzazione, loro avvocati amministrativisti - il primo pratica da Loredana Capone, il secondo da Ernesto Sticchi Damiani - chiamati a destreggiarsi tra le insidie di materie in evoluzione e di nicchia: il diritto d’autore, la proprietà intellettuale. Hanno messo su famiglia, Salvatore e Luigi, due colleghe per mogli, Maria Antonietta Raone e Marina Elia; avviato la nidiata: Maria Sole e Filippo da una parte, Francesco dall’altra. Giuliano si tiene alla larga dall’altare ma veleggia felice con Ilaria Macchia, scrittrice e sceneggiatrice. E tutto è come prima. Identico. Incluse le litigate tra fratelli, pure furibonde. Incrociare i punti di vista serve, diciamo così. Meglio che incrociare i guantoni, insomma. Anche se, all’occorrenza... «La nostra fortuna è stata avere accanto donne animate dai nostri stessi interessi culturali». Così la famiglia tiene. E porta in dote nuove espressioni. Maria Sole, la più grande tra i nuovi arrivi, è ritratta sulla copertina dell’ultimo disco ed è la voce narrante di “Fino all’imbrunire”. «Abbiamo riflettuto molto in famiglia sul coinvolgimento di nostra figlia nel lavoro di zio Giuliano - spiega Salvatore -. Alla fine abbiamo acconsentito perché l’arte, al di là della sua funzione sociale, è strumento di crescita personale. Ma abbiamo comunque protetto la piccola, per quanto non potevamo prevedere i tanti regali in arrivo dai fans dei Negramaro: il suo volto è solo stilizzato sulle copertine e lei non partecipa ai video, sostituita da coetanee “professioniste” coadiuvate da uno psicologo».

Torneranno i vecchi tempi, allora. Torneranno anche gli uccelli, ti diranno come volare, per raggiungere orizzonti più lontani, al di là del mare. Intanto da lontano, molto lontano, è tornato Giuliano. Se ne era andato. Novembre 2016. “Giuliano ha abbandonato”, nella chat del gruppo. Vicenda nota. Lo hanno raccontato loro stessi, i Negramaro, nella conferenza per il lancio di “Amore che torni”, poco meno di un mese fa. La “Rivoluzione” aveva raccolto successi, riempito stadi e palazzetti. Obiettivo centrato, svolta compiuta. Ecco, ma poi? «Forse una crisi di crescita. C’era la voglia di andare avanti, ma senza sapere come. Buio totale. Dalla “Sugar” spingevano per il rinnovo dei contratti, non sapevamo più come fare per prendere tempo. In quel momento, davvero, la band ha smesso di esistere. “Giuliano ha abbandonato”. Sembra una storiella, ma vedere quella scritta sulla chat di gruppo è stata una deflagrazione, la fine di un sogno. Giuliano è partito ed è volato negli Stati Uniti. Solo. Ha analizzato la situazione, vissuto la solitudine, scritto dei brani. Ed è tornato. L’abbraccio con Andrea Mariano che gli annunciava la gravidanza della moglie ha ricomposto la frattura; le lacrime hanno lavato via le incomprensioni. Sono tornati più uniti di prima. Più forti. Con la stessa voglia di fare, di sedersi intorno a un tavolo e discutere all’infinito pur di arrivare a una scelta condivisa. Non decidono mai a maggioranza, solo all’unanimità. Loro sei, col supporto nostro, del commercialista e dell’esperto web. La costituzione di “Casa 69” accanto alle “Edizioni Sangiorgi” ha riempito di progettualità imprenditoriale la vena artistica dei Negramaro. Il frutto di questo travaglio, di questa lunga gestazione, è proprio “Amore che torni”». Dal buio al primo posto in classifica, in 12 mesi. Ecco l’anno luce.

Salvatore fa l’avvocato perché ci crede, perché gli piace. Perché è convinto della funzione sociale dell’avvocatura, modello comporre le liti prima di arrivare in aula, altro che “dum pendet rendet”. Luigi anche, ma avrebbe fatto altro, potendo: il portiere di calcio. Era nelle giovanili del Lecce e nella rappresentativa regionale Allievi, gli occhi della Juventus addosso negli stessi anni in cui a Parma iniziava ad emergere Buffon. Entrambi pararigori, Luigi con una qualifica in più: portiere filosofo, per via degli studi. Poi la vita ha imboccato altre strade. Ed eccoli, ancora assieme. Uno stesso pianerottolo, tre studi, tre stili: Salvatore classico; Luigi sobrio; Giuliano artistico. Ma la linea telefonica è unica per un “corpo unico”. Solo che spesso, se chiamate, a rispondere saranno le consorti avvocatesse. Perché, vuoi o non vuoi, hai voglia a dire, a suonare, a cantare: senza le donne si fermerebbe il mondo. Amore, quando torni?


 
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