C’era anche lui, trent’anni fa, tra i 27mila che dall’Albania si riversarono per le strade di Brindisi. E aveva lo stesso sguardo sperduto di tutti gli altri: «Non cercavamo ricchezza, ma libertà», racconta. Oggi è un medico del 118 di Brindisi e, strano il destino, è lui a salvare vite. In prima linea nella lotta contro il covid, con la tuta che ha sostituito il camice e la stessa forza d’animo di sempre.
Pjerin Gjoni, albanese di Durazzo ma ormai italiano per cuore e passaporto, ha 65 anni e ricorda ogni dettaglio dei freddi giorni di marzo del 1991 che segnarono per sempre la sua storia e la storia di Brindisi. «Fu il maltempo a salvarci. C’era mare grosso, dovettero per forza lasciarci arrivare, altrimenti ci avrebbero rimandato indietro. Ma non andò così». La macchina dell’accoglienza fu allestita in poche ore: «Il sindaco di Brindisi, Pino Marchionna era giovanissimo. Le luci della città rimasero accese per tre giorni, fummo accolti in casa dalla gente. Quello che è accaduto allora meriterebbe di essere ricordato sempre, con una ricorrenza fissa. Siamo fratelli, siamo popoli legati dagli stessi sentimenti di disponibilità nei confronti del prossimo». Gjioni aveva 35 anni e una laurea in medicina. Ma non poté far valere il suo pezzo di carta anche in Italia. Dovette iscriversi all’università, a Bari: “Mi sono specializzato anche in virologia, ma ho scelto il 118”. Per salvare vite, per restituire ogni giorno alla “sua gente” quello che gli è stato dato.
«È un po’ nel nostro Dna, quello del mio popolo. Se si riceve qualcosa, poi lo ricambiamo in misura dieci volte superiore», dice. Nel prossimo weekend si celebrerà il trentennale dell’esodo dei profughi albanesi.
«Sarebbe bello – spiega – ritrovarsi tutti qui, un giorno. Tutti coloro i quali sono stati accolti all’epoca. C’è chi è diventato imprenditore, chi ha studiato e ha fatto carriera. Brindisi sarebbe invasa». Non fu facile per nessuno. E oggi è più che mai necessario non dimenticare: «Ci ospitarono senza conoscerci. Sono stato un mese intero in casa di un medico e di sua moglie, prima di trovare la mia strada. I brindisini meritano un piedistallo, ci hanno dato tanto, a noi spetta restituire almeno un po’ di quello che abbiamo avuto». Oggi il figlio di Pjerin è un ingegnere informatico. Molti fra i suoi connazionali sono tornati in patria. Di tempo ne è passato, i chilometri che separano la costa brindisina da quella albanese, meravigliosa come sempre e ormai terra di grandi occasioni, sono sempre gli stessi. Solo un piccolo pezzo di mare.