Il Salento del Fascio e la marcia su Roma (prima puntata)

Il Salento del Fascio e la marcia su Roma (prima puntata)
di Ettore BAMBI
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Mercoledì 26 Ottobre 2022, 04:50 - Ultimo aggiornamento: 07:17

Approda nelle librerie in queste ore, pubblicata dalle Edizioni Milella, la ristampa, aggiornata, della ricerca di Ettore BambiStampa e società nel Salento fascista”, già pubblicata nel 1981 dall’editrice Lacaita.
Il libro sarà presentato a Lecce il prossimo 10 novembre alle 17.30 in un incontro con l’autore che si svolgerà nell’auditorium del Museo Castromediano. La serata sarà aperta dai saluti del direttore dell’Archivio di Stato di Lecce Donato Pasculli e della giornalista di Nuovo Quotidiano Francesca Sozzo componente del Consiglio regionale dei giornalisti di Puglia. Con l’autore dialogheranno poi Gigi De Luca, dirigente Cooperazione territoriale europea e Polibibliomuseali della Regione Puglia, Carlo Alberto Augieri delle Edizioni Milella e il rettore dell’Università del Salento Fabio Pollice. La manifestazione sarà introdotta da una selezione di filmati d’archivio dell’Istituto Luce e di fotografie del ventennio nel Salento della collezione Giuseppe Palumbo.
Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo alcuni stralci del libro che raccontano come sia stata vissuta la Marcia su Roma nella Provincia di Lecce, territorio all’epoca comprendente anche Brindisi e Taranto.

Nel 1923 si contavano nel Salento 800 squadristi e la provincia di Lecce era la prima nel Sud per numero di fasci - 135 - e quantità di iscritti - 29.018 - inferiore solo a Roma, Pavia, Cremona, Cagliari e Bologna.
In città, il gruppo dirigente del Fascio era ancora quello formatosi nelle scuole superiori, principalmente nell’Istituto tecnico commerciale, fondamentalmente privo di legami diretti col partito, salvo i contatti che, tramite Starace, si potevano instaurare con il movimento di Caradonna nel foggiano. I nomi, Alvino, Bortone, Tarantini, Tortorella, Piccinni, erano gli stessi che, nel maggio 1921, avevano curato la pubblicazione di un foglio unico del Fascio di Combattimento leccese, XXIV Maggio, sequestrato dalla questura perché non autorizzato. Allora si scriveva col linguaggio tipico dell’arroganza squadrista: «L’avvenire è nostro, di coloro che sono ritornati stanchi, e si son ribellati allo scempio che si faceva dei più santi amori, e si son rivoltati contro coloro che, or non è molto, sputacchiavano e bastonavano i mutilati per le vie d’Italia... Ora è necessario combattere... Sempre, senza eccezione, la storia ha tenuto conto per la potenza politica di un popolo, dell’aver voluto fronteggiare il pericolo e dell’aver saputo patire e tener duro... A chi l’avvenire? A noi!». E ancora: «Il fascismo racchiuda in una fiala di cristallo il sangue sgorgato dalle ferite di tanti morti che devono essere difesi, che devono essere vendicati. Il fascismo vuole ed avrà la valorizzazione della vittoria, vuole abbattere e distruggere tutti coloro che cercarono e cercano tuttora di insozzare la Patria... Il fascismo vendicherà i suoi caduti e vendicherà l’Italia... ». Ebbene, dopo un anno, gli studenti del Fascio di Combattimento potranno ancora gestire l’attività del Partito in Terra d’Otranto e saranno in trenta ad andare a Napoli per ascoltare Mussolini nell’ottobre: fra loro, Ernesto Alvino, Giuseppe Camassa, Umberto Mele, Alberto Marti, Ugo Tarantini, Oronzo Portaccio. A Roma, invece, saranno solo in tre, quando scatterà immediata l’istituzionalizzazione in provincia e i personaggi cambieranno.
Ma cos’era stata la marcia su Roma per Lecce e il Salento? Una manifestazione di alcuni giovani studenti del capoluogo, di Squinzano e di Campi che sulle note di Giovinezza, avevano presidiato, senza provocare incidenti, l’ufficio telegrafico e quello postale, la stazione e le porte della città; contemporaneamente, se si deve dar fede alle testimonianze dello storico fascista G.A.Chiurco, pare che si fossero mobilitate tutte le squadre della zona al comando del console tenente Gino Martinesi, decorato al valore, mentre i Fasci erano diretti dall’avvocato Guido Franco e tutta la legione salentina dipendeva dal console cavalier Aldo Palmentola, reduce. In provincia, si erano avuti incidenti a Nardò, Tuglie, dove fu ucciso un socialista, Acquarica del Capo, dove furono percossi i combattenti, a Sogliano, un altro socialista ucciso, a Galatina, centro in cui gli scontri e lo stato d’assedio si protrassero per diverso tempo, data la consistenza della cellula socialista, provocando omicidi, incendi, devastazioni al punto tale da indurre il maresciallo De Bono a rivolgersi al Prefetto di Lecce per sollecitare la repressione; a Maglie, poi, dove prima della Marcia era stata costituita una sezione di “Sempre pronti”, fu devastata sotto la protezione della Pubblica Sicurezza la sede della Lega socialista. Questi episodi, caratterizzati comunque da violenze non certo maggiori rispetto a quelle degli scontri che da circa tre anni imperversavano nella provincia, non sono riportati sui giornali, salvo i casi in cui sia possibile dare una certa versione dei fatti, nella quale le rappresaglie fasciste possano apparire giusta vendetta contro autentici delinquenti. Diremmo quasi, però, che questa volta l’omissione della cronaca o la modificazione della notizia, oltre a derivare da un’effettiva scelta editoriale, sono sintomi di una prima e immediata pausa di riflessione di tutti i periodici salentini, fra i quali in questo periodo, come abbiamo visto, non ci sono organi d’opposizione, avendo cessato le pubblicazioni L’Italia Meridionale, Il Dovere, La Folla e La Libera Parola. Eppure, negli articoli dei mesi successivi all’avvento del fascismo, pare di scorgere prima una preoccupazione poi una disillusione costanti, specie per i due vecchi settimanali liberali, ma in generale per tutte queste testate nate per la passione di avvocati innamorati di giornalismo inclini a giustificare, sì, ma non a chiudere totalmente gli occhi su ciò che gradatamente si rivelava nella sua autentica essenza. E in tale processo avrà parte preponderante la riflessione intorno al Sud e al Salento: mentre negli articoli di politica nazionale i dubbi e le critiche sono velatissime e criptate, quando si accennerà ai sacrosanti interessi della regione si potrà dichiarare ufficialmente il proprio dissenso. Può essere utile dunque un confronto analitico parallelo di questo primo periodo di perplessità della stampa borghese salentina.
Sul Corriere Meridionale del 18 novembre appare l’editoriale “Il nuovo governo di fronte alla Nazione”, dove l’esame tecnico-politico del governo fascista è notevolmente equilibrato: dopo aver riconosciuto nella restaurazione dell’autorità statale la questione pregiudiziale per la rinascita del paese, si scrive: «Il fatto che un partito politico, fino a ieri costituente la causa maggiore della debolezza governativa, si sia impadronito del governo, realizzando quella identificazione di sé medesimo con lo Stato che era nelle sue pretese precedenti, non sopprime l’esistenza della questione pregiudiziale e non ne altera gli elementi fondamentali, anche se cambia le circostanze in cui essi vengono collocati. Il problema si sposta dall’esterno all’interno: invece di avere - come fino a ieri - un Governo impotente di fronte ai partiti, abbiamo un Partito-governo, un Partito-Stato. Rimane ora a vedere se nel binomio trionferà il secondo elemento od il primo, se, cioè, il Partito salito al potere (e che di fatto ne è l’unico detentore, anche se ha creduto opportuno associarsi) si assoggetterà allo Stato, si subordinerà alle esigenze statali; o se invece lo Stato sarà assorbito dal Partito stesso, o ... dai sostenitori e dai gregari del movimento, appartenenti, quelli, in buona parte a classi industriali e agrarie, abituate a utilizzare lo Stato per i loro interessi personalistici, o per lo meno desiderosi di sfuggire il più possibile alla sua pressione fiscale... Ora che il Partito è divenuto governo, insomma, quali dei diversi elementi in contrasto prevarranno su esso? ... Ecco il punto».
Come si nota, l’elogio si unisce al dubbio, e già l’indagine tende a proiettarsi al di là della facciata boriosa con la quale Mussolini è andato al potere; senza dimenticare il discorso sullo stato del Sud, ammonitore di per sé, e indice di una coscienza critica, almeno in quel campo, non barattabile: «...Pur avendo la migliore fiducia negli intendimenti e nell’attività di Governo, crediamo che i pugliesi - i quali insieme a quasi tutti i meridionali non avrebbero avuto un rappresentante al Ministero senza la postuma assunzione dell’on.Caradonna - abbiano diritto, nella qualità di gente trascuratissima per una lunga serie di anni, di reclamare che i lusinghieri propositi, risuonati nei giorni scorsi nelle orecchie meridionali sempre allettate da sirene cadute di poi in sonno profondo, vengano tradotti in atto...».
La Provincia di Lecce, da parte sua, già il 5 novembre aveva scritto: «...Però se per disgrazia il fascismo dovesse fallire allo scopo e deludere la grande aspettativa della nazione, noi non perderemo per questo la fiducia nei destini di nostra stirpe ma grideremo: abbasso il Governo, viva l’Italia!» , invitando nel contempo i fascisti del Salento a «dare esempio costante di disciplina e moderazione»; mentre L’Ordine, confuso dalle nuove disposizioni della Santa Sede, è costretto a difendersi dall’accusa di essersi convertito al fascismo, e deve faticare non poco per aggirare l’ostacolo: «...L’accusa, se fosse vera, non ci disonorerebbe, perché quando il fascismo, lasciata da parte la violenza che nella prima affermazione era indispensabile, entra nella più perfetta legalità e forma un Governo con propositi concreti di pacificare gli animi, se non siamo disonesti o settari, si diventa non diciamo fascisti, ma caldi ammiratori di un uomo come Mussolini...». 
Sintomatico, infine, il numero di fine anno del Tallone d’Italia, che identifica nel fascismo «il movimento giovanile di rinnovamento» davanti al quale ci si deve scostare ammirati, ma avverte che «...il fenomeno del fascismo che ora qui, nell’estremo Salento, si propaga, minaccia di diventare simbolo o strumento di competizioni paesane, di traviare il nuovo concetto di vita che esso rappresenta»; e dopo aver sottolineato che il giornale non ha mai celato la sua simpatia per il movimento, aggiunge: «Ora rimane per la stampa in genere, e per quella meridionale in specie, il compito più difficile: moderare l’esuberante esaltazione derivante dal successo, frenare l’eccessivo entusiasmo che, facendo velo alla ragione, può togliere di vista le contingenze della realtà. Ora che il fascismo ha vinto, è necessario che la gioventù, dopo aver espresso con canti e feste la propria esultanza, ritorni al lavoro proficuo, alle occupazioni della vita quotidiana; nella loro spensieratezza giovanile, i fascisti mostrano di credere che la loro vittoria basti da sola ad assicurare l’acquisto di quella somma di beni che costituiscono gli scopi del loro programma. No, la vittoria porta con sé una lunga serie di doveri. Gli studenti specialmente, dopo il felice risultato devono tornare ai loro libri, lasciando la politica a chi ne ha la responsabilità...», dove è tipico questo «richiamare nei ranghi» i giovani dopo che lo scopo era stato raggiunto. Ma è il prosieguo dell’articolo che rivela la presenza di un nuovo problema, meglio, dell’inasprimento sotto diverse forme degli antichi tarli della vita politica meridionale: «I partiti nazionalista e fascista nelle nostre città, e più spesso nelle nostre borgate, stanno degenerando, si stanno trasformando in fazioni locali, in clientele personali, quali si lamentavano prima della guerra. Il pericolo è gravissimo e tanto più imminente quanto maggiore è l’inesperienza dei seguaci...».

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