Montanari, i sogni incompiuti del marxismo

Montanari, i sogni incompiuti del marxismo
di Andrea CHIRONI
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Giovedì 22 Febbraio 2024, 19:15 - Ultimo aggiornamento: 19:46

Marx lo stiamo ancora aspettando. È all'ironia di un titolo beckettiano che Marcello Montanari, già Ordinario di Storia delle dottrine politiche dell'Università di Bari, affida la sua lettura delle tante declinazioni assunte dal marxismo teorico italiano nel volume "En attendant Marx. Il marxismo in Italia dal 1945 al 1989" (edizioni Biblion). En attendant Marx, quindi, che già dal secondo Dopoguerra non ha trovato chi lo sapesse interpretare fornendo le risposte adeguate alle esigenze di una realtà, quella italiana, con specificità poco affini a quelle dei Paesi socialisti.
La rivoluzione c'era stata anche da noi, nel 1948, e si chiamava Costituzione. Solo che bisognava liberarla dalla visione di tappa intermedia verso una società socialista e riuscire invece a inquadrarla nella sua dimensione di strumento per la realizzazione di una società pienamente democratica. Se l'avversario era sempre il capitale, insomma, e la sua saldatura al sistema dei saperi, allora era lì che il marxismo italiano sarebbe dovuto intervenire.

Citando Gramsci, l'autore afferma che «il primo intellettuale moderno è il capitano di industria perché lui conosce come si produce e come si vende un bene», quindi il lavoratore ha bisogno di quella conoscenza per evitare di essere espropriato. Perché la democrazia è sapere, «un sapere che deve essere in grado di intervenire sugli apparati ideologici dello Stato per indirizzarli in una direzione diversa» da quella del capitale. Qui sta il senso dell'attesa: il marxismo avrebbe dovuto ripensare profondamente sé stesso poiché a cambiare la società non avrebbe più potuto essere un solo soggetto, la classe operaia, ma tutti coloro che possiedono la conoscenza.
Emerge forte l'importanza degli intellettuali: «Come sosteneva Hegel - spiega Montanari -, il ruolo dell'intellettuale è stare insieme al popolo. Mito e ragione devono stare insieme. Con l'obiettivo di progettare una crescita complessiva della società. Ho l'impressione - prosegue - che la scienza sia invece sempre più unita al capitale finanziario e quindi costruisca una situazione di subordinazione dei ceti più deboli. Finora c'è stata una saldatura tra il capitale e il sistema dei saperi. L'unica parentesi è stata la breccia del '68, un momento nel quale questo rapporto capitale-sapere si è divaricato. Poi, però, si è ricomposto». Il riferimento, ampiamente trattato nel libro, è al nuovo soggetto dell'"intellettuale di massa", che aveva nel movimento studentesco sessantottino la sua espressione più plastica. In quell'occasione, fu l'avvio del processo di informatizzazione a garantire la ricostituzione del rapporto interrotto con il Sessantotto. Oggi invece siamo immersi nel dibattito sull'intelligenza artificiale (Ai), ma come leggerla in chiave marxista? «Può darsi - spiega Montanari - che questo sia un ulteriore rafforzamento tra capitale e sistema dei saperi. In Italia se ne discute tanto, ma sul terreno della riflessione filosofica sull'Ai si è indietro». Nel volume, che ripercorre il pensiero dei teorici del marxismo dal Dopoguerra fino alla caduta del muro di Berlino, l'autore rintraccia e riassume le varie tendenze dei pensatori marxisti italiani, analizzando come la riflessione non sia riuscita a proporre una lettura di Marx adeguata alle istanze specifiche dei vari momenti della storia italiana e internazionale. Ripensare Marx, quindi, deve diventare prioritario per un partito di sinistra che «abbia l'aspirazione di essere nazional popolare ed egemonico. Un partito si deve preoccupare di avere una politica per la scienza, per la scuola, questo significa sviluppare capacità egemonica in tutti i settori intellettuali. Indirizzare la ricerca, non nel senso di obbligare a servire, ma avere la capacità di orientare la ricerca nei vari settori. Porre problemi». La riflessione di Montanari offre una prospettiva che destruttura la narrazione proposta dalla destra italiana, offrendo un punto di vista diverso: «Solo in un momento storico limitato - chiude - non c'è stata un'egemonia culturale della destra. In alcuni settori specifici ha sempre prevalso la sinistra. Ma al di là dell'occupazione di postazioni e incarichi in Italia una vera egemonia culturale della sinistra non c'è mai stata. L'egemonia in Italia per un largo periodo è stata quella cattolica, il che francamente è stato qualcosa di positivo. Ma quando si dice che bisogna smantellare l'egemonia della sinistra, in realtà si vuol dire che bisogna smantellare l'egemonia della Costituzione italiana. L'attacco non è alla cultura di sinistra ma ai fondamenti della nostra democrazia».
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