Il sogno di De Donato e la "école barisienne"

Nella celeberrima collana "Dissensi" illustrata da Moscara i grandi nomi della cultura internazionale

Il sogno di De Donato e la "école barisienne"
Il sogno di De Donato e la "école barisienne"
di Oscar IARUSSI
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Giovedì 14 Marzo 2024, 10:59

«Sono a tal punto smarrito che se incrocio le gambe non so più quale sia la destra e quale la sinistra». Sembra scritta oggi, vero? È una frase del grande letterato e sceneggiatore russo Viktor Sklovskij, ex rivoluzionario di San Pietroburgo che come tanti avrà vita difficile in epoca staliniana (morì a Mosca nel 1984). A perpetuarne il valore ha pensato negli ultimi anni lo scrittore Paolo Nori, che lo evoca in chiusura di Una notte al Museo Russo, appena uscito per i tipi di Laterza.

Ma il primo a farlo conoscere in Italia fu un altro editore barese, Diego De Donato, pubblicando nel 1967 La mossa del cavallo di Sklovskij, titolo inaugurale della collana «Dissensi» destinata ad accogliere saggi di autori cruciali quali Noam Chomsky, Franco Fortini, Jurgen Habermas, Gunter Grass, Guy Debord E nei «Dissensi», le cui eleganti copertine si devono all'ingegno grafico dell'artista leccese Giancarlo Moscara, appariranno via via i saggi degli studiosi pugliesi Giuseppe Vacca, Franco Botta, Arcangelo Leone De Castris, Giuseppe Cotturri e Franco Cassano.

L'impresa di Diego De Donato mette insieme «visioni, passioni, legami», dice bene il titolo della mostra che s'inaugura oggi a Bari e resterà aperta fino al 7 aprile nello Spazio Murat di Piazza del Ferrarese, proponendo inoltre una serie di incontri e due esposizioni fotografiche di Agnese De Donato (sorella di Diego) e dell'Archivio di Michele Ficarelli.

Ideata e realizzata dalla Fondazione Gramsci con il contributo della Regione Puglia, l'iniziativa punta a rinverdire le memorie di una Bari d'altri tempi, appassionata e talora spericolata, a partire da uno dei suoi protagonisti, appunto De Donato, scomparso novantenne nel novembre 2019. Per l'occasione verrà presentata una storia ragionata, De Donato editore. Saggi, testimonianze, cataloghi (Ronzani ed.), che si aggiunge a un'accurata ricerca di Luca Di Bari (I meridiani, Dedalo 2012).

La carriera

La carriera editoriale di De Donato comincia nel 1947 allorché, neppure ventenne, rileva e imprime una svolta alla «Leonardo da Vinci», una vecchia tipografia di Città di Castello di cui il padre Carlo era comproprietario. Tra i primi libri pubblicati è subito un successo Segreto Tibet di Fosco Maraini, orientalista e padre di Dacia. Assecondando l'intuizione del filone dei viaggi in chiave antropologica, più tardi De Donato vara una collana fotografica (testi più immagini) in cui appare Verde Nilo dello storico dell'arte Cesare Brandi. Nel 1965 tocca a una bellissima raccolta di scatti sulle feste religiose in Sicilia che rivela il talento del ventiduenne Ferdinando Scianna. Il marchio «Leonardo da Vinci» va avanti ancora per poco, poi nel '66 l'azienda cambia nome e assume quello del fondatore, diventando un logo delle stagioni a cavallo del Sessantotto e sino ai primi anni 80.

Una sfida vincente, non l'unica nella Bari dove operavano Vito Laterza, impegnato a innovare la tradizione crociana, Raimondo Coga della Dedalo, Vito Macinagrossa dell'Adriatica, Mario Adda, Nicola Cacucci. Intorno a loro c'era un milieu di nuovi intellettuali e di accademici non chiusi negli specialismi, di traduttori e librai.

Fra tutte, l'esperienza della De Donato resta la più prossima alla politica tout court, in particolare nell'alveo del PCI. Le feconde discussioni «baresi» dell'epoca presagirono certi nessi dell'economia neocapitalistica e della società di massa (ma anche della letteratura), orientando - almeno in parte - le battaglie di dirigenti comunisti della statura di Pietro Ingrao e Alfredo Reichlin. Alla cosiddetta école barisienne sbocciata intorno alla casa editrice (sulle prime la definizione era uno sfottò) contribuirono intellettuali prestigiosi di un paio di generazioni. Oltre ai succitati autori dei «Dissensi», bisogna almeno ricordare Franco De Felice, Vito Amoruso, Mario Santostasi, Franco Buono, Biagio De Giovanni, Pietro Barcellona, Chiara Saraceno, Aldo Schiavone, Franco Fistetti, fino a Isidoro Mortellaro, ultimo direttore editoriale nel biennio 1982-83. D'altro canto, con la guida del raffinato germanista Giorgio Zampa, la De Donato pubblica nel corso del tempo titoli di Rainer Maria Rilke (I quaderni di Malte Laurids Brigge), Carlo Levi, Romano Luperini, Folco Quilici, Luciano Canfora, Franco Rositi, Eligio Resta, Herbert G. Gutman E addirittura riesce a strappare all'Einaudi la prima edizione italiana di Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov.

«Sono un editore per caso, ho investito in cultura perché non volevo fare l'avvocato», ci disse una volta Diego De Donato, laconico e fattivo, di pura scuola barese... Eppure, volendo «trovare un senso a questa storia», come canta Vasco Rossi, bisognerà pur convincersi che Bari lungo il 900 rifulge soprattutto nella luce dell'eresia coraggiosa, dai giovani antifascisti di villa Laterza intorno a Benedetto Croce alla école barisienne degli studiosi marxisti negli anni Sessanta/Settanta. Un nesso tra cultura e politica oggi inconcepibile. Viviamo da tempo in una stagione «senza intellettuali», sostiene un recente saggio dello storico Giorgio Caravale per Laterza. Ci restano il populismo dei leader, il settarismo dei «cerchi magici», il cinismo e il narcisismo degli opinionisti. «All'insegna dell'orizzonte» si chiamava una collana della De Donato, che, dal lungomare Nazario Sauro in cui aveva sede, guardava lontano, verso l'America Latina, l'Africa o la Russia di Sklovskij.
Questi, insieme alla seconda moglie Serafima Suok, nel 1967 fu ospite di Diego a Bari e ad Alberobello (lo testimonia una foto della mostra). Prima di ripartire Sklovskij volle comprare un cappotto da Mincuzzi in via Sparano e regalarlo a un contadino pugliese ancora in lutto per il figlio perso in guerra nell'Unione sovietica. Come dicevamo, altri tempi.

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