L'Autonomia regionale e i divari col Nord/ Il tempo per il Sud di rimediare ai ritardi

Fitto, Calderoli e Casellati: conferenza stampa ddl Autonomia
Fitto, Calderoli e Casellati: conferenza stampa ddl Autonomia
di ​Rosario TORNESELLO
5 Minuti di Lettura
Domenica 5 Febbraio 2023, 14:46 - Ultimo aggiornamento: 14:56

Finisce una delle settimane più pazze degli ultimi mesi. Lo scriviamo qui, in prima pagina, ma il pensiero va all’idea di tempo tracciata nel “Periscopio” di Giacinto Urso, affiorato in ultima pagina non per ragioni di merito ma per questioni di stile: è la persona autorevole a fare importanti il luogo e lo spazio. Il tempo, variabile fondamentale. Ci arriviamo.

Giorgia Meloni chiude un periodo intenso – di provvedimenti e polemiche – a Stoccolma: il destino è capace di nascondere sottili ironie dove meno te lo aspetti (e nei nomi, anche). Il caso Cospito, ma non solo. «Abbassiamo i toni», chiede ora la premier. E recuperiamo il senso del limite, verrebbe da aggiungere. E dello Stato, anche. E dell’umanità, ad abundantiam.

L’Italia, invece, chiude questo scorcio freddo di febbraio (anche il meteo si diverte) con un provvedimento che ghiaccia i rapporti tra Nord e Sud. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata ha gestazione multipla: comincia di fatto con la riforma del Titolo V della Costituzione, a sua volta varata nel 2001 dal centrosinistra per inseguire e arginare la Lega sul terreno del federalismo, e si conclude con la bozza Calderoli (mister “porcellum”, do you remember?), manovra concessa da Fratelli d’Italia a un partner – la Lega, ancora – in crisi di consensi alla vigilia di un appuntamento elettorale decisivo, forse vitale. 

La Costituzione, quella intanto ognuno la legge come meglio crede. L’inviolabilità e la segretezza delle comunicazioni, la terzietà del giudice, la presunzione di innocenza, il fine rieducativo della pena. Basta analizzare in controluce la settimana appena trascorsa per apprezzare tutte le variegate sfumature di colore che ciascuno dà alla legge fondamentale dello Stato. Così l’autonomia nella riforma del 2001: ventitré materie concorrenti tra il governo centrale e le Regioni, preludio al caos senza una chiara clausola di primazia dello Stato. Un esempio per tutti: qualcuno ricorda il balletto della Dad in periodo Covid e la differente applicazione della didattica a distanza tra le varie regioni? E i diversi pronunciamenti dei Tar? E l’impazzimento nella modalità Ddi, didattica digitale integrata, fino all’apoteosi in salsa pugliese della Dod, la didattica on demand rimessa alle famiglie secondo il più pratico (e anche meridionale, perché no) dei principi, fate un po’ come vi pare? Prendete e moltiplicate. Questo sarà. O non sarà, molto più semplicemente. Perché molte cose non tornano.

Qualche indizio. La legge quadro appena varata dal governo (sempre quella, il ddl Calderoli) è una matassa oltremodo inestricabile. Intanto i livelli essenziali delle prestazioni per i diversi servizi, nodo centrale e tutto ancora da definire per evitare di avere cittadini variamente schierati in campo, dalla Serie A alla B e anche oltre, fino ai dilettanti.

E poi la copertura finanziaria ancora da trovare, perché nessun onere aggiuntivo deve derivarne per lo Stato (detto più semplicemente: se non ci sono i soldi per finanziare il potenziamento di alcuni servizi, bisognerà procedere con i tagli a carico di altri. E capirai: dove? a danno di chi? a svantaggio di cosa?). E infine, l’iter volutamente complicato: le commissioni paritetiche, i negoziati Stato–Regione, i decreti attuativi, i Dpcm (arieccoli), il dibattito in Parlamento, l’approvazione dei consigli regionali, il varo finale del governo. Un groviglio di passaggi che sembra costruito ad arte. Per ottenere un risultato senza dubbio. Già, ma quale?

E qui si arriva all’ultima pagina e al “Periscopio” di Urso. Che tra i molti pregi ne ha uno in particolare, richiamare alla regola fondamentale del buon senso per un bravo statista: dare tempo al tempo, sottraendo dall’azione la fretta. Il tempo, la variabile da cui tutto discende e su cui misurare i fatti, i progetti, i programmi, le capacità e anche le finalità. Dare «cadenze differenziate» (non autonomie), «mostrando saggezza e padronanza delle cose». Sarà il tempo a dire molto e a spiegare tanto, se non proprio tutto. L’autonomia è insieme slogan e propaganda elettorale, allora come ora, o progetto reale? Incarna l’idea di Stato della premier (assente alla conferenza stampa di Calderoli, certo non proprio un caso) e della sua formazione politica? E fin dove arriverà la capacità del Sud e dei suoi rappresentanti, al di là delle prese di posizione e delle frasi al fulmicotone, di fare squadra per essere artefici del proprio destino? 

Quesiti legittimi. Perché da queste parti basta con lamenti e piagnistei, d’accordo. Ma basta anche con le inefficienze e le disorganizzazioni, basta con le spartizioni e le prevaricazioni (se non vere e proprie collusioni). Basta con un’idea di potere declinata in termini di tornaconto personale e non di servizio, ancor di più quando alle poltrone e agli incarichi ci si avvita con provvedimenti legislativi (regionali) ad hoc. Perché c’è un’autonomia contestata ma anche un’autonomia in lungo e in largo praticata. E vai a capire qual è peggio, se il punto di discrimine è nelle «surroghe autocratiche» ben descritte da Urso. C’è molto della retorica del Sud che ha proprio qui, nel Meridione, l’origine dei suoi stessi mali. Prima che il Nord se ne vada, vero o falso che sia, sarebbe opportuno eliminare le cause endogene di arretratezze e ritardi. E in questo – ma solo in questo – non diamo tempo al tempo. Non possiamo più permettercelo.
 

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