Pacificazione (quando ripartire non significa dividere)

La contesa politica e le contrapposizioni strumentali. Da "fascismo/antifascismo" a "ripresa e resilienza", passando per gli stabilimenti balneari: quanti ostacoli da superare

Pacificazione (quando ripartire non significa dividere)
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 26 Febbraio 2023, 12:36

Il tema c’è ed è un groviglio di sensibilità, senza dubbio; con un intreccio di valutazioni opposte. Ma è il tema, in questo momento. Anche se volessimo sottrarlo al peso (e alle suggestioni) della storia per calarlo nelle contingenze dell’attualità e dell’economia. Di una vera e propria economia di guerra, giacché i dati vanno inquadrati in una cornice che non può prescindere da due battaglie epocali, per quanto diverse tra loro e tuttavia concatenate: la lotta al Covid (ne siamo pressoché fuori) e l’invasione russa in Ucraina (ne siamo completamente dentro). E il tema eccolo: la pacificazione. Parola conflittuale, a dispetto dei contenuti. Una pacificazione necessaria, per essere chiari.

Ne ha parlato, appena una settimana fa a Lecce, in occasione della prima uscita pubblica nella sua città dopo l’incarico di governo, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega alla sicurezza della Repubblica, Alfredo Mantovano. Occasione, la presentazione del libro di Giovanni Pellegrino, “Dieci anni di solitudine”. Teatro Paisiello stracolmo. Si parlava dei passaggi del testo più delicati e spinosi. Mantovano l’ha chiesta; sollecitata; anzi, auspicata: pacificazione. A tutti i livelli. Nazionale, politico e istituzionale. Un’impresa, se poi basta una scintilla per rinfocolare contrasti mai sopiti e rivalità il più delle volte sterili.

Il paese stenta a uscire dall’opposizione “fascismo e antifascismo”, prolungando a dismisura una fase tragica e lacerante ormai da racchiudere nei libri di storia. Sacrosanta, opportuna e necessaria la contrapposizione al fascismo, ma solo se e fin quando il fascismo c’è. Gli emuli in orbace sono ridicoli più che pericolosi, con o senza busti esposti in salotto. E la nostalgia – lo dicono anche le canzoni – è canaglia: finché non si fanno danni, ognuno è libero di credere in quello che vuole, ma altra cosa è obbedire e combattere. I violenti restano violenti, spesso con l’aggravante dell’imbecillità. Trattarli come tali è argine sufficiente a qualsiasi deriva. Per le organizzazioni fasciste c’è la Costituzione. Per i rabbiosi e truculenti, il codice penale. A che serve, allora, agitare sempre e comunque i fantasmi del passato? Una contesa politica giocata su questo non giova a nessuno. E all’Italia per prima.

Pacificazione, allora. E a tutti i livelli, si è detto. Non a caso, giacché i riferimenti si sprecano. Questo è un nuovo tempo (anche storico) di ricostruzione. Altri i conflitti, altre le urgenze. Ma sulla necessità di ripartire, di ripartire in fretta, di ripartire bene (non come sinonimo del verbo dividere, giacché l’ambiguità è sostentamento dei furbi), ecco, su questo non si possono proprio avere dubbi: bisogna darci dentro e lavorare. Abbiamo pagato dazio su troppi fronti, abbiamo chiesto un prestito, dobbiamo onorare gli impegni e (ri)avviare uno sviluppo anche per dare un senso alle parole che accompagnano i progetti: Next generation Eu. Prossima generazione: obiettivo da statisti. Invece siamo ancora alle prese con strategie da vuoti polemisti: l’orizzonte non va mai oltre la prossima elezione. Ce n’è sempre una a breve scadenza.

Pacificazione, insomma. Guardiamo a noi.

La Puglia. Capirai: il Consiglio regionale rischia di diventare una palude. Una fetta della maggioranza ha cambiato casacca, ma senza lasciare incarichi e postazioni; il governatore minaccia l’Aventino, neanche l’assemblea fosse cosa sua. E sullo sfondo si moltiplicano i conflitti con il governo centrale sul fronte delle materie concorrenti e della potestà legislativa (ah, autonomia va cercando, ch’è sì cara). Il piano casa è l’ultimo pasticciaccio, ma in buona compagnia e in stretta connessione temporale con altre faccende tutt’altro che di poco conto, su cui pure si addensano nubi minacciose: la legge sulle compensazioni energetiche e la norma “salva-mandato” (o “affossa-Decaro”, a seconda degli angoli visuali), che prolunga di nove mesi (emolumenti inclusi, ovviamente) la consiliatura anche in caso di dimissioni del governatore. Poi sì, è vero: anche ad altri e alti livelli gli attriti non mancano, per quanto derubricati alla voce “dialettica istituzionale”. Vedi le bacchettate del capo dello Stato al governo sul fronte dei balneari e sulla necessità di rispettare gli indirizzi comunitari, dunque di non rinviare le gare sulle concessioni, argomento su cui Lega e Forza Italia fanno orecchio da mercante. Europa sì, Europa no. Europa bum.

E poi, per finire, l’opposizione del governatore al ministro dagli ampi poteri, con delega a Pnrr, Sud, coesione territoriale e Affari europei. Settori, cioè, con cui una regione come la Puglia deve confrontarsi per immaginare un futuro e uno sviluppo che siano strutturali e di sistema, non invece occasionali, intermittenti, legati a un’idea, a una stagione, a una congiuntura, a una moda, a un capitano d’industria, a una startup, a un comparto, a un’impresa, a un tramonto, a uno scorcio di mare, pur nel vuoto di infrastrutture e servizi. Forse sono solo ruggini di una campagna elettorale ormai lontana, ma che tuttavia deve aver immesso in circolo più tossine di quante se ne potessero immaginare. In quasi cinque mesi dal varo del nuovo governo neppure un incrocio in pubblico tra i due, e ce ne sarebbero state di occasioni. Come per sottolineare la distanza e l’assenza di dialogo – e con essa gli ostacoli – con cui occorrerà fare i conti per superare gap e ritardi; come, ancora, se problemi non ce ne fossero già abbastanza per potersi concedere il lusso di una ruvidità molto poco istituzionale. «Raffaele Fitto sta seduto su una montagna di denaro ma non difende il Mezzogiorno», l’ultima salva di benvenuto fragorosamente concessa da Michele Emiliano al giro di boa di una consiliatura segnata da non pochi – diciamo così – incidenti. Alla fine, come sempre, varranno i fatti più delle parole. Per i giudizi c’è tempo. Non così per le cose da fare, tutte straordinariamente impellenti.

Sono giorni importanti per gli appelli alla pace, per quanto ancora una volta inascoltati. Ci sono lutti e disastri che offuscano il futuro. E poi ci sono i richiami alla pacificazione, al dialogo, all’intesa, pur nel rispetto delle posizioni e delle legittime (se non strumentali) opposizioni. Perché occorre ripartire, appunto. E ripartire in fretta. Mentre qui ci dimeniamo per dividere, piegando su un comodo e misero sinonimo. Guarda un po’ cosa si nasconde negli equivoci, a volte.
 

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