Rifiuto di genitorialità, la psicologa forense Viola Poggini: «Nuovo modo per intervenire con la riforma Cartabia». Segnali e conseguenze

"Spesso è la figura materna a essere rifiutata, non solo il padre. Quale età riguarda? Solitamente bambini che hanno 9, 10 e 11 anni", specifica la professionista

Rifiuto di genitorialità, la psicologa forense Viola Poggini
Rifiuto di genitorialità, la psicologa forense Viola Poggini
di Alessandro Rosi
7 Minuti di Lettura
Lunedì 22 Aprile 2024, 16:16

«Non vedo più mia figlia di 9 anni. Gli esperti mi dicono che la manipola e io soffro tantissimo per questa situazione». Nell’intervista al Messaggero Mario Biondi ha descritto quella che la comunità scientifica descrive come una dinamica di “rifiuto genitoriale”, come spiega la psicologa forense e consigliera dell’ordine degli psicologi del Lazio Viola Poggini

Quando si verifica?

Quando uno dei figli rifiuta uno dei due genitori, in una situazione separativa che vede i genitori in grande conflitto. Sono quindi escludi tutti quei casi in cui è presente una situazione di violenza intrafamiliare, relativamente al quale ovviamente il rifiuto assume significati diversi.

Di cosa si tratta? 

È una dinamica, non possiamo chiamarlo disturbo. E questo perché, a vario titolo, coinvolge tutto il nucleo familiare e spesso anche le famiglie d'origine dei due genitori o i nuovi partner e le famiglie allargate.

C’è un’età specifica? 

I casi di rifiuto spesso riguardano bambini che hanno 9, 10 e 11 anni. Non bambini piccoli. Questo perché i bambini un po' più grandi faticano a gestire una situazione di conflitto genitoriale, avvertendo il conflitto dei due genitori come un conflitto interno che li coibolge su un piano profondo. I figli si sentono infatti “un pezzo mamma e un pezzo papà” e questi due riferimenti, materno e paterno, devono riuscire a co-abitare dentro di noi, integrandosi il più possibile. Quando il conflitto è così inconciliabile, questi ragazzini avvertono un conflitto interno. Per cui, per risolvere questo conflitto interno (che altrimenti diventa schiacciante) scelgono uno dei due genitori e in qualche modo rimuovono e negano l'altro. In questo modo si sentono alleggeriti da questo conflitto interno che avvertono. Queste situazioni sono l'esito, la risposta di un figlio a una situazione di conflitto difficile da gestire.

Il figlio quale dei due genitori sceglie?

Spesso il figlio in queste situazioni sceglie il genitore che avverte come più sintonizzato sulle proprie necessità. Magari una figlia femmina può scegliere la mamma perché c'è un genere che le accomuna e quindi si sente più accolta nei bisogni. O può essere scelto il genitore che fino a quel momento è stato più presente nella loro crescita.

Si tende a pensare che il genitore rifiutato sia il padre. È davvero così?

Non c'è una correlazione tra madre e genitore favorito e padre genitore rifiutato. È il genitore collocatario, cioè quello che il minore ha vissuto spesso come più presente nella propria vita o sempre più vicino, anche prima della separazione. Spesso è la figura materna, ma non è detto.

Capita, in diverse situazioni, che sia la madre rifiutata.

Ci sono dei segnali che possiamo cogliere?

Uno dei segnali, oltre all'inconciliabilità del conflitto tra due genitori, è l'alleanza che via via può costruirsi tra il figlio e uno dei due genitori. Può iniziare con un conflitto di lealtà del figlio, che non si sente più libero di scegliere ma tende a compiacere i due genitori. Noi lo chiamiamo conflitto di lealtà. In alcuni casi questi figli possono entrare più in risonanza con  i vissuti dei genitori relativamente alla separazione e, pertanto, avvertire preoccupazione che per esempio il genitore “preferito” possa sentirsi solo, abbandonato nel momento in cui il figlio dovesse dedicare attenzioni e affetto all'altro genitore. Sono figli che tendono in alcune situazioni a un’inversione di ruoli, per cui sono loro che si prendono cura del genitore piuttosto che il contrario.

Esempi?

Bambini che tendono ad assumere dei comportamenti di accudimento nei confronti del genitore favorito. L’altro giorno, per esempio, mi ricordo il caso di una ragazzina che diceva: “Io tutte le sere prima di andare a dormire vado a controllare che mamma sia ben coperta, perché ho paura che prenda freddo”. L'inversione di ruolubtra genitore e figlio può essere un segnale da tenere sotto controllo.

C’è un modo per intervenire?

Come Ordine Psicologi Lazio abbiamo avviato qualche anno fa un protocollo di ricerca e intervento con il tribunale ordinario di Roma, sezione famiglia, prendendo in carico 10 nuclei familiari in cui era presente un rifiuto genitoriale. Abbiamo sperimentato un lavoro in collaborazione tra magistrati, avvocati dei genitori e psicologi. Un intervento a diverse voci per il trattamento di questa dinamica. Che si è concluso con il ripristino della situazione, mentre in alcuni casi non è stato possibile perché tale era oramai lo scollamento tra il figlio “rifiutante” e il genitore rifiutato. In queste situazioni si è privilegiato un lavoro comunque con la coppia genitoriale. L'auspicio è che in un futuro prossimo, anche crescendo, magari il figlio poi riesca a ripristinare il rapporto con il genitore rifiutato. Spesso il ripristino della frequentazione segue il ripristino, seppure solo della comunicazione, tra i due genitori. Questo intervento è possibile grazie alla riforma Cartabia.

Come funziona il nuovo articolo della riforma Cartabia?

L'articolo 473-bis.26 ha introdotto la figura dell'ausiliario del giudice che può intervenire quando c'è una situazione critica di tipo relazionale, quindi anche nei casi in cui sia necessario per ricomporre le relazioni all'interno del nucleo familiare, con l'obiettivo di intervenire proprio sul rifiuto genitoriale. Il procedimento rimane aperto. Lo psicologo svolge un intervento specialistico con la famiglia. Essendo infatti una dinamica familiare richiede un intervento a diversi livelli, con ciascun genitore, i minori e le due diade, madre-figli e padre-figli. 

Principali problemi?

Spesso il genitore rifiutato è portatore di una forte sofferenza e di un desiderio di ripristino della frequentazione il prima possibile. Questo desiderio si scontra spesso con le necessità del minore, che rifiuta il genitore, di vedere rispettata una gradualità nel ripristino della frequentazione.

Se fatto in tempi brevi può essere dannoso? 

In tempi brevi è altamente improbabile che si riesca a realizzare l'intervento. Il minore deve avere la possibilità di “bonificare” l'immagine del genitore rifiutato che nel corso del tempo si è andato via via costruendo. Partendo non necessariamente da fatti reali, ma anche da percezioni sue personali. 

Come trattate queste situazioni?

Per esempio, una delle cose su cui noi lavoriamo tanto e spesso con questi genitori e con questi figli è che non esiste una verità sola rispetto a un fatto accaduto, ma percezioni diverse che sono tutte ugualmente vere. Ed è da quelle percezioni che dobbiamo partire non dai fatti in sé. 

Da cosa si parte con il genitore rifiutato?

C’è un lavoro che viene fatto con il genitore rifiutato che gli consenta di tollerare con più facilità la questione del tempo e la necessità di ripartire da piccole esperienze col proprio figlio che possono essere in qualche modo riparative.

E con il minore?

C’è un lavoro che viene fatto con il minore per aiutarlo a riavvicinarsi al genitore rifiutato, evitando pregiudizi legati ad esperienze e percezioni passate. Spesso si cercano momenti relazionali che avvengono anche alla presenza dell'ausiliario, in un'ottica riparativi. In questi casi lo psicologo o la psicologa svolgono una funzione di facilitazione della relazione.

Il genitore favorito che ruolo ha?

Il genitore favorito riveste un ruolo centralissimo nella ripresa della frequentazione con l'altro genitore. Perché è quello che può traghettare il minore in maniera più efficace all'altro genitore. Però spesso anche il genitore favorito deve bonificare l'immagine che ha dell'altro genitore. Deve tratteggiare una linea di confine tra quella che è stata la sua esperienza personale come partner da quella che potrebbe essere invece l'esperienza del proprio figlio o della propria figlia rispetto all'altro genitore. Differenziare quindi la propria esperienza con quella che può essere l'esperienza del figlio.

Un caso recente che siete riusciti a risolvere?

Abbiamo trattato una famiglia in cui padre e figlia non avevano più rapporti da diversi anni. Non c'erano neanche i contatti telefonici. Il primo passo è stato ripristinare il contatto telefonico tra madre e padre e la madre che era la collocataria della minore aveva proprio, come dire, il compito, ma l'avevano condiviso i due genitori, di telefonare tutte le sere al padre della bambina davanti alla figlia raccontando la giornata della propria bambina. In modo tale che la minore avvertisse che era la madre stessa a creare un ponte con il padre. Perché se il bambino il ponte lo deve attraversare sono i due genitori che lo devono costruire.

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