Il palazzo perde pezzi, il futuro ha la forma delle macerie, una stagione politica sembra essere mestamente al tramonto e la maggioranza in Regione che fa? Nulla. O meglio: s’attorciglia sempre sullo stesso, stanco rito dei rimpasti di giunta misurati col bilancino di precisione, tra vaghi incontri a porte chiuse, trattative, tavoli del poco dire e del molto alludere, quote da spartire, equilibri da tutelare, alleati da ascoltare, malcontenti da sedare. Una liturgia trita e ritrita, consunta, spesso inconcludente e questa volta del tutto fuori traccia: il cortocircuito politico-giudiziario che sta travolgendo la Regione e «la coalizione che governa la Puglia» (così la chiama Michele Emiliano) richiederebbe molto di più. E invece no: avanti col risiko di nomi e caselle, esce questa ed entra quello cercando di non scontentare quell’altro, come se nulla fosse o stesse accadendo, o come se fosse per la giunta un “normale” passaggio dall’estetista di fine mandato.
Emiliano e la sua maggioranza danno l’impressione d’essere in una bolla, impauriti e disconnessi. Sono come l’orchestrina del Titanic: continuano a suonare la stessa musica, mentre la nave affonda e il valzer del toto-assessori indispone chi è fuori dal palazzo.
Eppure i segnali restano micidiali, inequivocabili e alla Regione occorrerebbe, per il bene di tutti e della stessa «coalizione che eccetera», una discontinuità netta, una sterzata decisa. Un’idea, un’intuizione, una revisione robusta di assetti, visione e metodo della giunta, della macchina amministrativa e dell’ultimo tratto di mandato, interpretando la (difficile) fase. Non saper più cogliere lo spirito del momento è tra gli indizi della fine di un’epoca. Né aiutano i leader nazionali, da Schlein a Conte, troppo timidi o strumentali nel pretendere un cambio di passo.