Pesca a strascico vietata, gli effetti per i consumatori: prodotti importati (e più cari)

I vincoli imposti lasciano il campo libero a libici e tunisini

Pesca a strascico vietata, gli effetti per i consumatori: prodotti importati (e più cari)
Pesca a strascico vietata, gli effetti per i consumatori: prodotti importati (e più cari)
di Carlo Ottaviano
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Sabato 24 Giugno 2023, 08:38

Come sempre saranno gli anelli più deboli della filiera a subire i danni maggiori dello stop alla pesca a strascico nei mari europei. I primi a soffrirne i pescatori, che vedranno crollare la propria capacità di pesca e quindi i ricavi. Poi i consumatori finali, costretti a comprare pesce proveniente da altre aree, spesso privo dei corretti requisiti sanitari e della stessa bontà, comunque gravato da maggiori costi di trasporto. 
A specularci – doveroso anche in questo caso ripetere l’avverbio sempre – gli intermediari e i commercianti poco seri che faranno schizzare in alto perfino il valore del pescato delle vicine marinerie di Tunisia, Libia o Egitto che nello stesso nostro Mar Mediterraneo rastrellano esattamente le stesse specie. 
Una prova provata c’è stata nell’autunno del 2021 quando la serrata della marinerie per denunciare il caro gasolio fece impennare il già alto import di pesce, mediamente del 35% in più al dettaglio (a catena pagammo di più anche il prodotto da acquacoltura sotto costa). La contraddizione, però, sta nel fatto che le marinerie di altri paesi non devono rispettare i vincoli che già da anni pesano sulle quelle europee.


REGOLE FERREE
Negli ultimi 15 anni l’UE ha imposto delle ferree regole (riguardanti ad esempio i periodi di fermo biologico, dimensioni del pescato, tutela di specie a rischio estinzione) giustamente a tutela dell’ambiente e della fauna marina sempre più ridotta. Ma mentre le barche europee allargavano la maglia delle reti (per non catturare i pesci più piccoli), le flotte nord africane continuavano a pescare a strascico senza alcuna limitazione. Col risultato che la flotta tunisina nel 2021 ha superato la quantità di merluzzo pescato dall’Italia e nel 2022 ha pareggiato i conti sul gambero rosa. E presto l’Egitto – si stima – potrebbe superarci anche sul gambero rosso. Già oggi ha più pescherecci specializzati della Sicilia, «con un buon 70% illegali», denunciano i pescatori di Mazara del Vallo. 
Come denunciano gli imprenditori del settore, la sostenibilità ambientale deve andare di pari passo con quella economica, perché il rischio è un ulteriore crollo della capacità di pesca italiana. Nel nostro Paese i pescherecci sono solo 12 mila, un quarto di 15 anni fa; il numero degli addetti cala di anno in anno (attualmente il settore impiega 125 mila, acquacoltura compresa). Alla scadenza del 2030, indicata come termine ultimo per l’entrata in vigore del divieto di pesca a strascico, si perderebbe un altro 50% di ricavi, secondo le stime di Federpesca, Coldiretti e l’Alleanza delle cooperative.


LE IMPORTAZIONI
Già oggi l’80% del consumo ittico in Italia proviene dalle importazioni: in pratica, è come se ogni anno in aprile smettessimo di mangiare pesce pescato nei nostri mari, per passare a quello importato fino alla fine dell’anno. Ne compriamo per 5 miliardi di euro (per il solo tonno, per esempio, spendiamo nelle Americhe 500 milioni l’anno). Il primo fornitore extra-Ue – più di un quarto del totale – è la Norvegia. Seguono la Cina (10%) e con un 5% ciascuna Islanda, Ecuador, Marocco, Vietnam e Stati Uniti. I prodotti più importati sono il salmone e merluzzo nordico (dalla Norvegia e dall’Islanda), i gamberi (dall’Ecuador e dal Vietnam), il merluzzo nordico), il tonnetto striato (dall’Ecuador). 

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