«Infiltrazioni mafiose»: il Governo scioglie il Consiglio di Parabita

«Infiltrazioni mafiose»: il Governo scioglie il Consiglio di Parabita
di Alessandro CELLINI
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Sabato 18 Febbraio 2017, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 21:46

Quattro righe stringate che segnano il destino di una comunità. Così, a distanza di quasi due mesi dalla ricezione del dossier da parte del ministro dell’Interno, il Consiglio dei ministri «ha deliberato lo scioglimento per infiltrazioni da parte della criminialità organizzata del Consiglio comunale di Parabita». La decisione è arrivata ieri, al termine della riunione di Governo. Tutto azzerato, dunque: si conclude così un iter amministrativo iniziato con il lavoro della commissione per l’accesso agli atti andato avanti per mesi, proseguito con la relazione del prefetto di Lecce Claudio Palomba, relazione finita poi sulla scrivania del ministro Marco Minniti, al quale toccherà adesso - alla luce della decisione del Consiglio dei ministri - sottoporre la questione dello scioglimento al presidente della Repubblica. Ma la decisione è presa. E politicamente pesa come un macigno.
Quello che succederà ora è scandito dal Testo unico degli enti locali, ovvero il decreto legislativo 267 del 2000. Verrà nominato un commissario straordinario per un periodo che andrà dai 12 ai 18 mesi, prorogabili fino a 24. Solo dopo - ma è una prospettiva ancora lontana, non solo temporalmente ma anche politicamente - si potrà pensare alle elezioni.
L’origine del terremoto che ha sconvolto Parabita è da ricercare nell’inchiesta diretta dal procuratore aggiunto Antonio De Donno e condotta sul campo dai carabinieri dei Ros. L’operazione, denominata “Coltura”, permise di far scattare le manette ai polsi di 22 persone: tra queste, anche l’ex vicesindaco ed ex assessore ai Servizi sociali del Comune di Parabita Giuseppe Provenzano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L’inchiesta svelò un presunto intreccio particolarmente stretto tra l’amministrazione locale - nella persona di Provenzano - e i clan del posto, a capo dei quali c’era Marco Giannelli. E rivelò come per quest’ultimo l’ex vicesindaco fosse un “santo in Paradiso”, per usare le stesse parole intercettate durante le indagini.
Ma più di ogni altra cosa, a offrire un quadro limpido della vicenda c’è la sentenza emessa il 12 ottobre scorso dal giudice per l’udienza preliminare Michele Toriello, a carico di 19 imputati che avevano scelto il rito abbreviato (Provenzano, invece, ha optato per la strada del rito ordinario). Scrive il giudice che sussistono «numerosi significativi elementi a supporto dell’ipotesi secondo cui l’assessore ai Servizi sociali del Comune di Parabita Giuseppe Provenzano abbia fornito il proprio concorso esterno al sodalizio mafioso». E più avanti, richiamando il provvedimento con cui il Tribunale del Riesame in sostanza confermava l’impostazione data nel corso delle indagini, evidenzia «la disponibilità manifestata dal Provenzano nei confronti del clan, rivelatrice di un pesante condizionamento mafioso nei confronti dell’amministrazione comunale». «Nel caso del Provenzano - si legge ancora - è emerso dalle indagini come l’accordo prevedesse non solo e non tanto il “pagamento” di somme di denaro o di altre utilità in cambio dell’appoggio elettorale da parte del clan mafioso, ma anche la costante messa a disposizione da parte del “politico” della funzione pubblica da lui impersonata in favore dei futuri e molteplici interessi del clan, assumendo il ruolo efficacemente descritto dallo stesso Provenzano del “santo in Paradiso”».

E il “santo in Paradiso” si comportava come un vero e proprio «factotum amministrativo del clan». Difficile, per chiunque abbia avuto un ruolo nella gestione del caso politico, ignorare queste parole. Ed ecco dunque che Parabita diventa il primo Comune sciolto per mafia nel Salento negli ultimi venticinque anni.

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