«Conciliare carriera e figli è impossibile»: duemila madri pugliesi si sono dimesse nell'ultimo anno

Foto Pexels
Foto Pexels
di Giuseppe ANDRIANI
5 Minuti di Lettura
Venerdì 8 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10 Dicembre, 16:20

Nel 2022 sono state 1.779 le madri pugliesi che hanno deciso di dimettersi e rinunciare a un posto di lavoro. Due su tre dichiarano di aver preso questa decisione per la “difficoltà nel conciliare il lavoro con la cura del bambino”. Sono i numeri dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che restituiscono un quadro nazionale nel quale sono sempre di più i genitori che decidono di rinunciare alla propria occupazione perché è difficile – detto spesso a denti stretti – conciliare la vita lavorativa con quella professionale. 

I numeri

Tornando ai dati: in Puglia i genitori che hanno deciso di rinunciare al contratto – che sia tramite dimissioni volontarie, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale – sono 2.034.

Appena un anno fa, nel 2021, erano 1.694. L’incremento riguarda tutti i settori economici e tutte le fasce d’età. Ma l’aumento maggiore – il 22% a livello nazionale – è quello di chi si dimette “su base volontaria”. Risulta evidente anche la disparità, frutto di un retaggio culturale e non solo, di genere: a fronte di oltre 1.700 madri che hanno rinunciato al posto di lavoro, i padri sono 255 (ma erano 179 nel 2021). Di solito sono le donne a sentirsi “obbligate” a rimettere l’incarico per pensare alla crescita dei figli.

Tanto per citare i numeri dell’Inl, a livello nazionale: il 63,8% delle madri ha dichiarato di aver avuto difficoltà a conciliare la famiglia con la carriera e per questo ha scelto di non lavorare. Solo una su quattro, invece, si è dimessa perché allettata da un’altra proposta lavorativa. La stessa voce, tra i maschi, arriva al 78,9%. Anche il cambio di residenza o la distanza tra il luogo dove si vive e la sede di lavoro sono motivi “tipicamente femminili”. Anche qui basterebbe, probabilmente, un numero per far comprendere meglio il fenomeno: su 100 dimissioni per difficoltà a conciliare il lavoro con la cura del bambino, solo otto arrivano da uomini. 
In Italia le madri che hanno deciso di dimettersi sono in tutto 44mila. Un trend in crescita rispetto all’anno precedente. «Rispetto al 2021, si assiste ad una crescita delle convalide di dimissioni: +17,1% corrispondente a un complesso di 8.955 provvedimenti in più – si legge nel rapporto dell’Inl, analizzando il fenomeno con i dati nazionali -. Di questa cifra 7.037 sono riferiti a donne e 1.918 a uomini segnando rispettivamente un incremento per la componente femminile del 18,7% e per la componente maschile del 13% rispetto al precedente anno. Questo incremento però non riguarda tutte le tipologie di convalida. A crescere, infatti, sono solo le dimissioni volontarie (+20,1% totale), mentre calano del 39,8% le risoluzioni consensuali e del 29,4% le dimissioni per giusta causa». 
La regione con il maggior numero di madri in fuga dall’occupazione è la Lombardia, dove sono oltre 10mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni. Eppure la percentuale dei padri dimissionari è più bassa al Sud. Il dato si spiega facilmente: al Nord i numeri delle dimissioni convalidate sono più alti perché sono in assoluto maggiori tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna le persone che smettono di lavorare. E questo non riguarda il fenomeno legato ai genitori ma una sorta di “fuga dall’occupazione” che pure è inevitabilmente una tendenza degli ultimi anni. Nel Mezzogiorno, in ogni caso, Campania (2.558), Puglia (1.779) e Sicilia (1.631) sono quelle a vedere più madri pronte a rinunciare alla propria carriera. Al Sud è più raro che tra una donna e un uomo, sia quest’ultimo a ritenere di non dover lavorare per prendersi cura dei figli e della famiglia. Retaggi culturali evidentemente ancora ben chiari.

Non conta la carriera

E ancora: non è neppure così rilevante la mansione, «la qualifica professionale non costituisce un deterrente all'uscita dal mercato del lavoro in condizione di genitorialità», spiega il rapporto dell’Istituto. 
Resta molto alta anche la quota di coloro – soprattutto tra le donne – che lamentano il fatto di non avere «parenti in grado di poter aiutare nella cura dei figli». Il meccanismo sembra tanto banale quanto preoccupante: se non c’è un parente che possa sopperire all’”assenza” del genitore per motivi di lavoro, è dura. E questo vale soprattutto nel Mezzogiorno. Secondo gli ultimi dati elaborati dall’Istat, al Sud il 66% delle richieste di iscrizione ai nidi pubblici restano insoddisfatte per mancanza di posti. «Nell’accessibilità al servizio penalizzate le famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese», scriveva l’Istat appena pochi giorni fa. L’impressione è un sistema che si ritorce su se stesso: meno posti nei nido, meno assistenza e welfare, più donne che non lavorano e che si dimettono (sempre più spesso rispetto agli uomini, come se la cura dei figli fosse un problema solo al femminile). E la giostra ricomincia. Sullo sfondo il problema della denatalità.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA