Delitto Carvone a Brindisi, spunta un nuovo collaboratore di giustizia: «L'imputato mi confessò l'omicidio»

In corso il processo sull'esecuzione del 19enne ammazzato sotto casa la sera del 19 settembre 2019. In aula il padre in lacrime e le preghiere davanti alla statua di Padre Pio

Piero Carvone durante l'esame di ieri in Corte d'Assise
Piero Carvone durante l'esame di ieri in Corte d'Assise
di Erasmo Marinazzo
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Martedì 26 Settembre 2023, 20:25 - Ultimo aggiornamento: 20:26

«Stavo fumando una sigaretta, ho sentito degli spari e poi ho visto mio figlio per terra. Sono sceso per soccorrerlo. Era vivo. Non mi ha detto niente». Era stato un fiume in piena fino a quel momento Piero Carvone, nel ripercorre le ultime ore di vita del figlio Giampiero ammazzato a 19 anni a colpi di pistola la notte del 19 settembre 2019 davanti alla loro casa di via Tevere, nel rione Perrino, nonché le iniziative prese per fornire agli inquirenti gli indizi per risalire all’autore. Rammentando le fasi in cui ha visto morire il figlio sotto i suoi occhi il volto si è contratto, gli occhi sono diventati lucidi e ha pianto riuscendo a trattenere a stento il dolore di un padre incapace di accettare la perdita di un figlio appena affacciatosi nel mondo degli adulti. 

Il nuovo collaboratore: in carcere per omicidio

Ha testimoniato ieri mattina nell’aula Metrangolo della Corte d’Assise di Brindisi (presidente Maurizio Saso, a latere il giudice togato Simone Orazio e la giuria popolare), Piero Carvone, poco dopo che il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero, ha annunciato l’esistenza di un verbale in cui un nuovo collaboratore di giustizia, Emanuele Guarini, 49 anni, di Mesagne, sostiene di aver raccolto dall’imputato Giuseppe Ferrarese, 27 anni, di Brindisi, la confessione di essere stato a sparare i tre colpi di pistola a calibro 7.65 che uccisero Giampiero Carvone. Confessione che sarebbe stata fatta durante la detenzione nello stesso carcere.
«Invito Giuseppe Ferrarese ad assumere una condotta processuale conseguente a queste dichiarazioni, in relazione alla linea difensiva», le parole del magistrato rappresentante dell’accusa e che ha condotto l’inchiesta con i poliziotti della Squadra mobile. Gli avvocati difensori Cosimo Lodeserto ed Emanuela De Francesco hanno avuto un breve colloquio con Ferrarese attraverso la cella di sicurezza, riservandosi ogni decisione dopo avere estratto copia del verbale delle dichiarazioni del collaboratore in carcere per scontare una condanna definitiva a 30 anni di reclusione con l’accusa di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio di Nicolai Lippolis nella faida della Scu del 1998 in Montenegro.

Il padre: «Pregai davanti alla statua di Padre Pio»

Intanto Piero Carvone ed i suoi familiari si sono costituiti parte civile con l’avvocato Marcello Tamburini nel processo che sta verificando la sussistenza dell’accusa di omicidio volontario con l’aggravante di avere agevolato il clan mafioso contestata a Ferrarese. Ed al 54enne Orlando Carella, di Brindisi anche lui, assistito dall’avvocato Giuseppe Guastella, l’accusa di minacce aggravate dal favoreggiamento dell’associazione mafiosa della testimone che nel corso delle indagini e nell’incidente probatorio (ha validità di testimonianza in aula) ha sostenuto che non fosse vero che Ferrarese trascorse con lei la notte in cui fu ammazzato Giampiero Carvone. Di questa circostanza ha parlato anche Piero Carvone dopo avere ricordato i momenti drammatici vissuti la notte dell’uccisione del figlio: «Seguii l’ambulanza in macchina e poi cercai di stare accanto a mio figlio quando fu condotto in sala operatoria, poi fui fermato. Uscì il medico, chiese chi fosse il padre e mi chiamò da parte: mi diede una speranza che Giampiero potesse farcela. Eravamo in ospedale Antonio Perrino, raggiunsi la statua di padre Pio, mi inginocchiai e gli chiesi di prendere la mia vita per salvare quella di Giampiero.

Mi accorsi che il medico mi aveva mentito».

Le piste battute dal genitore

Piero Carvone ha riferito anche di avere valutato tre diverse piste per risalire agli autori dell’omicidio del figlio: la prima, quella del litigio a schiaffoni di un anno prima fra Giampiero ed il figlio di un noto esponente della criminalità organizzata brindisina. La seconda quella degli amici e la terza la possibile ritorsione per il furto di una Lancia Delta appartenente ad una parente di un altro personaggio di caratura criminale. «Venni a sapere dal verbale di un processo in cui ero stato testimone che Ferrarese avesse dichiarato di avere dormito a casa di una donna la notte dell’omicidio di Giampiero. La conttattai, negò tutto. Poi registrai la confessione e la consegnai ai carabinieri».

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