Neri, a Polignano la mostra "About her". «Giocosa e profonda come sa essere l’arte»

"Amo tutto di lei" confessa Marco Neri
"Amo tutto di lei" confessa Marco Neri
di Carmelo CIPRIANI
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Venerdì 17 Maggio 2024, 05:00


«Amo tutto di lei» confessa Marco Neri. La protagonista dell'atto amoroso è la pittura, arte che Neri pratica da tutta la vita. A lei, nelle varie stagioni in cui l’artista l'ha declinata, è dedicata la mostra "About Her" in corso da domani (inaugurazione alle 18), presso la Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare. Una grande personale che rivela non solo la coerenza con cui da sempre agisce l'artista, pugliese d’adozione, ma anche l'importanza della sua ricerca visiva, in cui la pittura compendia se stessa, attingendo tanto alla astrazione quanto alla figurazione, l'una confluita nell'altra, l'una in continuità con l'altra. Pacificata l'antica contesa tra le due, Neri ci mostra un volto nuovo della pittura, in cui la geometria è tensione architettonica mentre la figura scaturisce dal ragionato accostamento di superfici cromatiche. Non a torto, dunque, il direttore della Fondazione, Giuseppe Teofilo, per la prima volta in veste di curatore, ha definito Marco Neri "tra i più importanti pittori operanti in Italia". La mostra, accompagnata dai testi critici di Teofilo, di Roberto Lacarbonara e Davide Ferri, si dipana in tutti gli spazi del piano terra della Fondazione: l’artista ha creato un percorso espositivo che dall’esterno del Museo, dove è un grande wallpainting site-specific, approda, come oramai da tradizione per le mostre della Fondazione, all'intervento in Exchiesetta, la piccola cappella di Santo Stefano nel centro storico di Polignano a Mare.


Marco Neri, dalle architetture alle città, al "Quadro mondiale", può descriverci il tracciato della sua ormai quarantennale ricerca pittorica?

«Dipingere, per me, è sempre stato agire fisicamente su una soglia, creando un varco per accedere al mondo che abita in noi nel profondo; da riconoscere a distanza in quella memoria collettiva e insieme personale, prima; in cui calarsi e avventurarsi quotidianamente in totale libertà poi, fino ad arrivare ad abitarlo a mia volta, portando o riportando al suo interno tutto quello che mi sembrava necessario, segnalato dalle emozioni e sgrossato dall'intelligenza.

Così, strada facendo, l'attenzione si è focalizzata su soggetti o temi che ho dovuto isolare di volta in volta per approfondirne la conoscenza, che a ben vedere tanto diversi tra loro non sono e che nell'insieme credo esprimano quella totalità che la forma-paesaggio, nell'arte, da sempre incarna».


Nel 2001 partecipa, su invito di Harald Szeemann, alla 49esima edizione della Biennale di Venezia "Platea dell'Umanità". Come fu notato da Szeemann e che ricordo porta con sé di quell'esperienza?

«Accadde alla fiera di Colonia, nel novembre del 2000. Szeemann si fermò abbastanza a lungo a osservare una mia parete di finestre e disse che rientravano nel tema che aveva in mente per la Biennale del 2001. Tanto che mi telefonò immediatamente il mio gallerista di allora per dirmelo. In quei giorni stavo allestendo a Karlsruhe e lì per lì non diedi alcun peso alla cosa. Poi a gennaio lessi sul Corriere quale sarebbe stato il titolo della Biennale e mi tornò in mente. Ma fu solo quando apprendemmo dalla sua segretaria la sua intenzione di venire a Rimini, in galleria, per vedere il lavoro personalmente e approfondire la nostra conoscenza, che mi resi conto che la cosa stava diventando concreta. Da quel momento in poi l'esperienza fu intensissima. Quei dieci giorni ai Giardini, a tu per tu con Harald Szeemann per fare la mia parte nell'allestimento della sua Biennale, sono stati per me fondamentali, decisamente indimenticabili».


Sulla parete laterale della Fondazione Pascali ha dipinto la scritta "fun". Cosa la diverte? Qual è il messaggio che il dipinto murale deve trasmettere?

«Qualche giorno fa, mentre stavo sul ponteggio a dipingere proprio quella scritta, alcuni bambini, passando, si sono messi a disegnare con le dita sulla mia macchina, parecchio impolverata, delle faccine sorridenti. Per loro era divertente e lo è stato anche per me vederli. Perché dipingere, o disegnare, divertente lo è davvero e a qualsiasi età. Ma non è questo il punto. Anche osservare un'opera o visitare un museo o una mostra può esserlo e sarebbe bello (oltre che divertente) riuscire ad abbattere quelle barriere che separano l'arte contemporanea dalle abitudini di chi non si è mai aperto a questo genere di "divertimento". Pascali ad esempio si divertiva eccome, e ci diverte tuttora mentre ci fa pensare. Il suo giocare a costruire armi (che armi non sono) è fare una scoperta divertente e al tempo stesso piena di senso, tanto più oggi che in troppi hanno ripreso a "giocare" con quelle vere purtroppo. Così il mio "fun" dipinto all'esterno è un invito, rivolto a tutti - in special modo a chi normalmente non frequenta musei - a entrare e a divertirsi, un po’ più profondamente».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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