E' una ragazzina di sedici anni a guidare il movimento della liberazione dall'uso smodato dello smartphone. Si chiama Logan, ha lunghi capelli scuri e un faccino angelico. Trascorreva, ha raccontato, la gran parte delle sue giornate attaccata in modo simbiotico al cellulare, consultando Tiktok, aprendo Instagram, rispondendo alle chat in una sequenza convulsa che sembrava non avere soluzione di continuità, macinando ore e ore su quel video, assorbita da una realtà virtuale. Logan vive a Brooklin dove è cresciuta in una famiglia normalissima e come tutti gli adolescenti che sono nativi digitali le sembrava normale quella attività continua. Fintanto che un giorno ha cominciato ad avvertire qualche crepa. Si è chiesta quante ore passava al giorno così e si è detta che forse erano troppe. Ha così pensato di elaborare una strategia per limitare l'uso, un po' come quando qualcuno vuole smettere di fumare, fino alla decisione drastica che forse occorreva dare un taglio netto a quel comportamento reiterato e compulsivo. In due anni si è accorta che non era l'unica ad avvertire un disagio sotterraneo, carsico. C'erano altri suoi amici e coetanei. Piano piano ha preso quota una sorta di movimento luddista con l'idea di recuperare un certo grado di indipendenza dai nostri smartphone.
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Se nell'Ottocento, nell'Inghilterra della prima rivoluzione industriale, si fece largo il Luddismo nato da una protesta operaia, caratterizzato dal sabotaggio dei macchinari come il telaio meccanico, considerati una minaccia dai lavoratori salariati, perché causa dei bassi stipendi e della disoccupazione, nell'era dell'intelligenza artificiale e della cultura digitale una ragazzina ha dato vita a un movimento che punta a rendere le persone non schiave della tecnologia.
Logan Lane ha raccontato al New York Times di aver iniziato a chiedersi se vivere una vita in costante connessione fosse effettivamente una buona cosa.
Prendersi una pausa dal digitale fa bene al corpo e alla mente